L’ANALISI GIURIDICA
di avv. Alessia Bartolini
l 12 settembre scorso la Camera dei deputati ha dato il via libera all’introduzione del reato di propaganda del regime fascista e nazi-fascista punito ai sensi del nuovo art. 293 bis c.p. che, riformulato rispetto alla proposta originaria, recita: “Salvo che il fatto costituisca più grave reato, chiunque propaganda i contenuti propri del partito fascista o del partito nazionalsocialista tedesco, ovvero dei relativi metodi sovversivi del sistema democratico, anche attraverso la produzione, distribuzione, diffusione o vendita di beni raffiguranti persone, immagini o simboli a essi chiaramente riferiti, ovvero ne fa comunque propaganda richiamandone pubblicamente la simbologia o la gestualità, è punito con la reclusione da sei mesi a due anni. La pena è aumentata di un terzo se il fatto è commesso attraverso strumenti telematici o informatici”. Disegno di legge trasmesso, poi, al Senato il 14 settembre.
L’approvazione da parte della Camera ha acceso nuovamente il dibattito sulla validità, in termini di opportunità, e sulla costituzionalità del nuovo reato fortemente voluto dal deputato del PD Emanuele Fiano.
Chi è contrario all’approvazione di questa proposta di legge sottolinea la strumentalizzazione elettorale della stessa ma, in particolare, la sua superfluità in quanto, oltre a distrarre e rallentare il Parlamento (il Senato) dalla decisione sulla riforma della cittadinanza con l’introduzione o meno dello ius soli, l’art. 293 bis c.p. non appare indispensabile nel nostro sistema penale alla luce delle leggi che già puniscono l’apologia del fascismo: la c.d. legge Scelba n. 645/1952, seguita, poi, dalla Legge Mancino del 1993 .
In particolare, la Legge del 1952 di attuazione della XII disposizione transitoria e finale della Costituzione, all’art. 1 vieta la “riorganizzazione del disciolto partito fascista” con la reclusione da cinque a dodici anni e la multa da 1.032 a 10.329 euro (per i promotori e organizzatori) e, all’art. 4, qualifica apologia del fascismo la propaganda per la costituzione di una associazione, di un movimento o di un gruppo avente le caratteristiche e perseguente le finalità proprie del partito fascista, punendola con la pena della reclusione da sei mesi a due anni. Punisce, inoltre, all’art. 5, le manifestazioni fasciste e, dunque, chi compie manifestazioni usuali del disciolto partito fascista ovvero di organizzazioni naziste.
D’altra parte, la L. 205 del 1993, c.d. legge Mancino, sostituendo l’art. 3 della legge 654/1975, di ratifica ed esecuzione della convenzione internazionale di New York del 1966 sull’eliminazione di tutte le forme di discriminazione razziale, all’art. 1 punisce: “chiunque propaganda idee fondate sulla superiorità o sull’odio razziale o etnico, ovvero istiga a commettere o commette atti di discriminazione … di violenza o di provocazione alla violenza per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi”.
La stessa legge vieta, inoltre, che “chiunque, in pubbliche riunioni, compia manifestazioni esteriori od ostenti emblemi o simboli propri o usuali delle organizzazioni, associazioni, movimenti o gruppi” aventi tra i propri scopi l’incitamento alla discriminazione o alla violenza per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi”, così come la propaganda fascista e razzista negli stadi e, in particolare, “l’accesso ai luoghi dove si svolgono competizioni agonistiche alle persone che vi si recano con emblemi o simboli” di cui sopra. “Il contravventore è punito con l’arresto da tre mesi ad un anno”.
L’art. 4, inoltre, punisce con la reclusione da sei mesi a due anni “chi pubblicamente esalta esponenti, principi, fatti o metodi del fascismo, oppure le sue finalità antidemocratiche. Se il fatto riguarda idee o metodi razzisti, la pena è della reclusione da uno a tre anni e della multa da uno a due milioni”.
L’elenco delle condotte di reato considerate penalmente perseguibili ora riportate, lungi dal voler costituire un ripasso di queste leggi speciali, è utile per comprende il quadro normativo che punisce simili condotte oggi vigente nel nostro ordinamento.
A fronte, pertanto, di fatti quali l’apologia del fascismo e la propaganda fascista già considerati antigiuridici, colpevoli e punibili, qual è lo scopo del Disegno di Legge ora sottoposto al Senato?
Il motore di ogni legge, infatti, deve essere sempre il diritto e quando questa abbia ad oggetto l’introduzione di una nuova fattispecie criminosa occorre avere riguardo al principio di offensività che deve guidare il legislatore nell’individuazione del bene giuridico da tutelare nel qualificare un fatto antigiuridico.
Ebbene, secondo la relazione illustrativa della proposta di legge C. 3343 l’obiettivo della stessa “è quello di delineare una nuova fattispecie che consenta di colpire solo alcune condotte che individualmente considerate sfuggono alle normative vigenti… sembrano sfuggire alle maglie di queste fattispecie di reato comportamenti talvolta più semplici o estemporanei, come ad esempio può essere il cosiddetto saluto romano”.
La ratio starebbe, dunque, nella inidoneità degli strumenti legali per la repressione di tali comportamenti individuali di propaganda, come ad esempio il c.d. saluto romano.
Si assiste, ancora una volta, alla volontà parlamentare di creare nuove leggi, già esistenti, anziché premere affinché vengano applicate quelle vigenti.
Basti pensare che recentemente la Suprema Corte di Cassazione, con la sentenza n. 20450/2016, proprio con riguardo al saluto fascista, si era così espressa: “ il “saluto romano” costituisce una manifestazione che rimanda all’ideologia fascista e a valori politici di discriminazione razziale e di intolleranza …la fattispecie contestata non richiede che le manifestazioni siano caratterizzate da elementi di violenza, svolgendo una funzione di tutela preventiva, secondo quanto previsto dal D.L. n. 122 del 1993, art. 2 (cfr. Sez. 1, n. 25184 del 04/03/2009, Saccardi, Rv. 243792)”. Il caso riguardava un gruppo di ultras friulani che durante una partita giocata a Udine dall’Italia a settembre 2008, valida per il girone di qualificazione al Mondiale del 2010, che erano stati ripresi dalle telecamere mentre facevano ‘saluto fascista’, o ‘saluto romano’, per tutta la durata dell’inno di Mameli. La Corte aveva evidenziato, inoltre, che tale gestualità si era concretizzata nel corso di un incontro di calcio a cui assistevano 20.000 spettatori e trasmesso in diretta televisiva e, in tal senso, assumeva una valenza discriminatoria tale da configurare il reato di cui all’art. 2 comma 1° della Legge Mancino rubricato come “disposizioni di prevenzione” ed aveva, pertanto, confermato la sentenza di condanna.
Ma anche nella sentenza n. 37577 del 2014, la Cassazione aveva già affermato che il saluto romano rientrerebbe nelle manifestazioni fasciste punibili ai sensi dell’art. 5 della legge Scelba in quanto “reato di pericolo correlato al fatto che le manifestazioni usuali, evocative del disciolto partito fascista, vengono in rilievo in quanto realizzate durante pubbliche riunioni e pertanto possiedono idoneità lesiva per la tenuta dell’ordinamento democratico e dei valori allo stesso sottesi”.
Se ne deduce che gli strumenti posti in essere dal legislatore del 1952, prima, e del 1993, poi, di per sé sono sufficienti a garantire la prevenzione di una riorganizzazione del partito fascista agevolata da esaltazioni, istigazioni, propagande ecc..La ratio preventiva di queste leggi è la chiave del principio di offensività che ha guidato la loro emanazione. Si tratta, cioè, di punire la promozione di associazioni, movimenti, gruppi che, di fatto, perseguono finalità di riorganizzazione del regime fascista e che, dunque, concretamente, richiedono un intervento repressivo delle Autorità.
La stessa Corte Costituzionale nel 1957 aveva già precisato che affinché l’apologia del fascismo potesse assumere carattere di reato doveva consistere non in una semplice difesa elogiativa, ma in una esaltazione tale da potere condurre alla riorganizzazione del partito fascista, cioè in una «istigazione indiretta a commettere un fatto rivolto alla detta riorganizzazione e a tal fine idoneo ed efficiente» . Aveva, dunque, qualificato come penalmente rilevanti solo quelle ipotesi di reato concretamente idonee a ricostituire il partito fascista.
In effetti, solo questo deve essere lo scopo perseguito dalle leggi penali in discussione perché, in caso contrario, si è in presenza di una mera repressione delle condotte del passato. Che la storia debba insegnare guidando i comportamenti e le scelte future, specialmente in ambito politico, nessuno lo mette in dubbio e che gli anni della dittatura fascista e dell’adesione alle scelte naziste con lo sterminio degli ebrei possa annoverarsi fra i crimini di guerra più aberranti del nostro passato è altrettanto pacifico.
Sembra, tuttavia, che il primo firmatario della Legge in discussione abbia, di fatto, messo in atto una “propaganda antifascista” battendo i pugni sul concetto di “io non dimentico”! Nessuno dimentica ma non si può neanche anticipare la soglia di punibilità a tal punto da punire anche il pensiero, più o meno condivisibile, in quanto striderebbe con la libera manifestazione dello stesso espressa all’art. 21 Cost.
In tal senso, sempre la Corte Costituzionale, con sentenza del 6 giugno 1977, aveva già precisato che la libertà di manifestare il proprio pensiero non trova limiti “ideologici” nella Costituzione, neppure quando abbia per oggetto il fascismo: penalmente rilevante sarà, dunque, solo l’esaltazione tale da poter portare alla riorganizzazione del partito fascista.
Per concludere, appare doverosa un’ultima riflessione. Nel 2008 il Parlamento Lituano ha bandito l’esposizione pubblica della falce, del martello e della stella rossa e la responsabile moscovita del gruppo di Helsinki per i diritti umani dell’epoca, Liudmila Alexeieva, aveva dichiarato «Eravamo uno Stato totalitario, autoritario, ma non fascista». La Lituania, infatti, era stata annessa militarmente all’Unione Sovietica nel 1940 e per circa cinquant’anni è stata sottoposta al dominio russo e comunista. Nella memoria storica e collettiva di quel paese, pertanto, il regime totalitario da cui proteggere la comunità da una sua potenziale ricostituzione era quello del comunismo.
Tale esempio porta a rilevare come ci si dovrebbe concentrare sulla condanna di ogni regime totalitario, non solo di quello che ha colpito il proprio Paese, perché in quanto tale impedisce lo sviluppo di un qualsiasi Paese democratico e liberale e la prevenzione, prima ancora che con le leggi penali, deve avvenire con l’educazione e la consapevolezza della portata di certe ideologie e non con la loro semplice negazione.