Mancano pochi giorni al tanto atteso start delle Olimpiadi di Londra 2012, e quella che vi raccontiamo oggi è una di quelle storie italiane, nate per caso dalla provincia, fatte di polvere e orgoglio, sudore e ostinazione. E, putroppo, di sconfitta, di dolore, di lacrime.
Era il 1904 e a Carpi c’era un giovanotto che lavorava in una pasticceria. Dorando Pietri. Amava correre, correva veloce, ma sudava nella bottega da garzone. Si racconta che un giorno il suo capo lo mandò a spedire una importante lettera alle poste, ma Dorando si accorse che l’ultima consegna era già partita. Guardò la località di destinazione, un paese a 25 km di distanza da Carpi. Cominciò a correre, e tornò dopo qualche ora dal pasticcere. La lettera era stata recapitata.
Un giorno il paese in festa ospitava una importante maratona a cui partecipava Pericle Pagliani, campionissimo dell’epoca e super favorito. Dorando chiese un permesso al pasticcere, per andare a vedere la gara. E qui la storia di Dorando Pietri mostra già le stigmate della leggenda. Il ragazzo, ancora con gli abiti da lavoro addosso, voleva parlare con il campione Pericle Pagliani, voleva chiedergli se si potesse vivere di sport, cominciò a inseguirlo durante la maratona, solo per parlargli. Tra lo stupore di tutti tenne botta per tutta la gara, arrivò al traguardo insieme al campione, e poi finalmente gli potè rivolgere le sue tanto attese domande.
Tutti si accorsero che quel garzone poteva diventare un campione. Dorando Pietri cominciò a correre la maratona. Qualche giorno dopo, Dorando Pietri fece l’esordio in una competizione ufficiale, arrivò secondo nei 3000 metri di Bologna.
L’anno successivo arrivarono i primi successi, sia in Italia che all’estero, il più importante dei quali fu la 30 km di Parigi, vinta con un distacco di 6 minuti.
Nel 1907 Dorando riportò numerose vittorie, tra le quali i titoli dei 5000 ai Campionati italiani (con il primato nazionale di 16’27″2) e dei 20 km. Dal fondo alla maratona, Dorando Pietri era il dominatore assoluto della corsa in Italia.
Il 1908 era l’anno delle Olimpiadi di Londra. Il sogno di Dorando, il sogno di ogni bambino che corre tra le strade polverose del paese si sta per materializzare.
La qualificazione fu ottenuta agevolmente vincendo la maratona 40 km di Carpi con un tempo record di 2 ore e 38 minuti. Il 24 luglio era il grande giorno della Maratona Olimpica. Era una giornata calda e la principessa del Galles diede lo start davanti al Castello di Windsor.
Un terzetto di inglesi si portò subito al comando della corsa, imponendo un’andatura elevata; Pietri controllava la gara rimanendo nelle retrovie per risparmiare energie. Dopo la metà gara Dorando Pietri iniziò a scalare posizioni una dopo l’altra, superava avversari come se avesse il turbo ai piedi.
Al 32º km era secondo, a quattro minuti dal leader della corsa, il sudafricano Hefferon. Al 39º km raggiunse e sorpassò senza difficoltà il sudafricano. Dorando aveva un altro ritmo, correva incontro al suo sogno olimpico senza che nessuno potesse fermarlo. Mancavano un paio di km all’arrivo, ma il caldo iniziò a farsi sentire. Dorando aveva corso troppo veloce per aver tempo di pensare a bere, le energie se ne stavano andando, la disidratazione era uno spettro che aleggiava nelle gambe ormai barcollanti di Dorando. Riuscì ad entrare comunque in testa allo stadio, il pubblico lo accolse con un’ovazione: Dorando sbagliò strada, i giudici lo fecero tornare indietro, lui cadde esanime.
Si rialzò con l’aiuto dei giudici, non riusciva a reggersi in piedi da solo Dorando il campione. 42 km condotti in testa, era a 200 metri dall’arrivo.75 mila persone trattenevano il fiato, intorno a lui sulla pista si erano assiepati i giudici di gara e i medici pronti a soccorrerlo. Pietri cadde ben altre quattro volte, e ogni volta i giudici lo aiutarono a rialzarsi. Pian piano, barcollando, riuscì a tagliare il traguardo, sorretto da un giudice di gara e da un medico. La vittoria, il sudore, l’ossigeno che stenta ad arrivare al cervello per fargli capire la portata della sua impresa.
Dopo un po’ arrivò al traguardo l’americano Johnny Hayes. La squadra statunitense presentò subito ricorso, che venna accolto. Dorando Pietri fu squalificato per l’aiuto ricevuto dai giudici di gara. Le forze cominciavano a tornare, il cervello a funzionare, il cuore a rompersi. L’impresa sognata, accarezzata per 42 km, faticosamente raggiunta sfidando i limiti del proprio corpo, sospinto dal pubblico e da chi capiva che era Dorando Pietri a meritare quella medaglia d’oro. L’impresa cancellata da un reclamo, la commozione di tutti gli spettatori, la regina Alessandra di Danimarca che decise di donargli una coppa d’argento. Lo scrittore Sir Arthur Conan Doyle, che era in tribuna come inviato del Daily Mail scrisse: « La grande impresa dell’italiano non potrà mai essere cancellata dagli archivi dello sport, qualunque possa essere la decisione dei giudici. »
Successivamente Conan Doyle suggerì al suo giornale di promuovere una sottoscrizione in denaro per premiare quello straordinario campione della rpovincia italiana e permettergli l’apertura di una panetteria, una volta rientrato in Italia. La proposta ebbe successo e vennero raccolte trecento sterline.
Il racconto dell’impresa eroica di Dorando Pietri fece il giro del mondo: il ragazzo di bottega di Carpi divenne un’icona dello sport sopra ogni limite, della tenacia e della determinazione con cui si insegue il sogno di una vita.
Dorando Pietri corse ancora e vinse tante maratone, guadagnò moltissimo con la sua passione e si ritirò a soli 26 anni all’apice della sua carriera.
Morì a soli 56 anni quando il suo immenso cuore di uomo e di maratoneta decise, beffardo, di fermarsi quando forse, per la prima volta nella vita, Dorando aveva deciso di smettere di correre e far riposare un po’ le sue gambe dorate.
T.R.