11.04.2013 Secondo il Rapporto diffuso da Amnesty International sulla pena di morte, nel 2012 si sono registrati 682 casi di esecuzione in 21 Paesi e l’emissione di 1722 condanne a morte in 58 Stati: due esecuzioni in più rispetto all’anno precedente, anche se le condanne sono in calo rispetto alle 1923 emesse in 63 paesi nel 2011. Questi numeri non tengono però in conto la Cina, che secondo Amnesty International avrebbe condotto in segreto migliaia di esecuzioni sulle quali però non si riesce ad avere dati a causa del massimo riserbo della Repubblica Popolare Cinese relativamente alla pena di morte. Non si hanno inoltre dati relativamente alle sentenze di morte eseguite o emesse da parte di Egitto e Siria.
Sarebbe dunque stabile rispetto all’anno precedente il numero di Stati in cui la pena capitale viene eseguita (21, un terzo in meno rispetto ai 28 del 2003) e in calo il numero di Paesi in cui la pena capitale viene sentenziata, scesi da 63 a 58: segno della tendenza globale a mettere fine ad una pena “disumana”. Nel 2012 sono inoltre state emesse 200 sentenze capitali in meno rispetto al 2012.
Altri dati positivi relativamente ai progressi dell’abolizionismo si registrano in Lettonia, novantasettesimo Paese ad abolire la pena di morte, ed in Connecticut, divenuto il diciassettesimo stato abolizionista degli Stati Uniti. Benin e Mongolia hanno ratificato un trattato Onu per l’abolizione della pena di morte e il Ghana ha pianificato l’abolizione della pena capitale a partire dalla sua prossima costituzione. In Sierra Leone non esistono più condannati a morte e nessuna esecuzione ha avuto luogo in Vietnam.
Ciò nonostante, numerosi sono i dati negativi emersi nel 2012: primo fra tutti lo scioccante ritorno alle esecuzioni in Paesi dove da anni erano scomparse. In Giappone, dopo 20 mesi di sospensione, sono state effettuate ben 7 esecuzioni; il Gambia, dopo circa 30 anni di sospensione, ha visto 9 esecuzioni in unico giorno; una sentenza di morte è stata attuata in Pakistan dopo 4 anni ed uno dei protagonisti dell’attacco di Mumbai del 2008, Ajmal Kasab, è stato impiccato in India: la prima esecuzione dal 2004.
Preoccupante è anche ciò che emerge dai dati relativi all’Iraq, dove le esecuzioni sono quasi raddoppiate rispetto al 2011: sono state almeno 129 nel 2012, contro le 68 del 2011, numero che pone il Paese al terzo posto nel mondo per numero di esecuzioni.
Con almeno 314 esecuzioni ufficialmente riconosciute dalle Autorità, cui andrebbero aggiunte quelle effettuate in segreto, l’Iran si rivela il Paese col più alto numero di esecuzioni nel Medio Oriente, secondo nel mondo solo alla Cina. Tra i principali motivi che hanno fatto scattare la pena di morte in Iran, ci sarebbero, oltre all’omicidio, reati relativi al traffico di droga, stupro e rapina a mano armata.
L’Arabia Saudita ha dato notizia di oltre 79 esecuzioni, in Sudan 19 sentenze capitali sono state eseguite e almeno 199 nuove condanne sono state emesse, lo Yemen dà conto di 28 esecuzioni mentre l’Afghanistan di 14. Amnesty sottolinea inoltre come sia sempre più difficile raccogliere dati certi, in quanto gli Stati applicano la pena di morte sempre più in segreto.
L’Oceania è l’unico continente completamente libero dalla pena di morte. Nel 2012, sono stati 9 gli stati Usa che hanno eseguito le condanne capitali, contro i 13 del 2011, ma è rimasto invariato il numero delle esecuzioni, 43. In Europa, la pena capitale è ancora applicata solo in Bielorussia, dove nel 2012 sono state portate a termine in segreto almeno 3 esecuzioni.
Tra i metodi utilizzati in tutto il mondo per le esecuzioni compaiono impiccagione, decapitazione, fucilazione e iniezione letale e tra i motivi figurano “reati non violenti legati alla droga e di natura economica, ma anche l’apostasia, la blasfemia e l’adulterio, che non dovrebbero assolutamente essere considerati reati”.
La battaglia di Amnesty International contro la pena di morte, iniziata nel 1977 quando questa non era più in vigore in soli 16 Paesi nel mondo, ha visto affermarsi l’abolizionismo in 140 su 198 Paesi; 97 di questi hanno abolito le esecuzioni per tutti i reati, 35 sono abolizionisti “de facto” in quanto non eseguono condanne da oltre 10 anni o si sono impegnati a livello internazionale per non effettuarne, 8 l’hanno abolita salvo che per casi eccezionali.
Amnesty International si oppone alla pena di morte in tutte le circostanze in quanto rappresenta una violazione dei diritti umani ed in particolare del diritto alla vita. Nonostante alcuni passi indietro dimostrati dal ritorno alle esecuzioni in alcuni Paesi, l’uso della pena capitale continua ad essere ristretto ad un isolato gruppo di Stati (1 su 10) e continuano i progressi verso la sua abolizione. Secondo Salil Shetty, Segretario Generale di Amnesty International, è dimostrato come la pena di morte non agisca come deterrente per alcun reato e sia invece utilizzata spesso per scopi politici. I leader dei Paesi in cui questa continua ad essere applicata “dovrebbero chiedersi perché applicano ancora una pena crudele e disumana che il resto del mondo sta abbandonando”.
Michela Romagnoli