IN ATTESA DELLE MOTIVAZIONI PROVIAMO A CAPIRE COSA CAMBIA E PERCHE’
di avv. Marusca Rossetti
La Corte Costituzionale è stata proprio chiamata a valutare la conformità del divieto posto dall’art. 4 co. 1 L. 40/2004 con gli artt. 2,3,13,31 e 32.
I ricorrenti hanno sostenuto che un divieto generalizzato risulta lesivo senz’altro del principio di uguaglianza in quanto comporta un trattamento diversificato tra coppie sterili o infertili in base alla gravità della condizione patologica: più è grave la patologia (sterilità relativa o assoluta), meno o per nulla efficace (in quanto giuridicamente non consentita) è la terapia o il rimedio medico che la legge consente di applicare (PMA di tipo omologo consentita; di tipo eterologo vietata) per cui è stata prevista una irragionevole disparità di trattamento per quei casi relativamente ai quali il legislatore ha proceduto all’esclusione di tutti quei soggetti la cui condizione risulti assimilabile, nelle finalità perseguite dalla legge, alla più vasta categoria di quanti siano stati presi in considerazione dalla normativa (Corte Cost Sent. n. 404/1988 e Sent. n. 151/2009 cit.).
Perché se la finalità perseguita dalla legge è quella “di favorire la soluzione dei problemi riproduttivi derivanti dalla sterilità o dalla infertilità umana”, di certo nel novero dei destinatari di una tale previsione non può non rientrare anche la coppia sterile in maniera assoluta priva, dunque, “di alternative per far valere un diritto, quello di procreare, inteso come l’espressione del più generale principio di costituire una famiglia realizzando per questa via uno degli aspetti più intimi e rilevanti della propria personalità, che nell’impossibilità di esercizio per vie naturali trova l’unica concreta possibilità attuativa nelle metodiche di PMA con intervento di terzo donatore” (v. D’Amico; Dolcini).
E i Tribunali che hanno ritenuto fondata la q.l.c. sollevata hanno recepito questa interpretazione sottolineando come evidente risultasse il contrasto del divieto alla PMA eterologa con l’art. 3 della Costituzione nella misura in cui «Tale limitazione risulta in contrasto con il principio di ragionevolezza che è un corollario del principio di uguaglianza in forza del quale il giudizio di legittimità costituzionale delle norme deve essere compiuto verificando la logicità interna della normativa e la giustificazione oggettiva e ragionevole delle differenze di trattamento. (…). Il divieto di cui all’art. 4, L. 40/2004 appare violare l’art. 3 sotto il profilo della ragionevolezza in quanto ne risulta un trattamento opposto di coppie con problemi riproduttivi derivanti dalla sterilità e dalla infertilità, che si differenziano solo per il tipo di patologia che li provocano, dovendosi invece ritenere che, ad una situazione sostanzialmente uguale (sterilità, inferitilità) possa corrispondere la uguale possibilità di ricorso alla procreazione medicalmente assistita, applicando la tecnica utile per superare lo specifico problema, da individuarsi in relazione alla causa patologica accertata, anche se evidentemente essa sarà diversa tra un caso e l’altro»
Parimenti, è stato altresì sostenuto che un simile divieto è andato a comprimere in maniera ingiustificata un diritto fondamentale della pretesa avanzata, che consiste nell’interesse a procreare e che la stessa Consulta ha annoverato tra «i fondamentali diritti della persona, sia come singolo, sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, tutelando l’art. 2 della Costituzione l’integrità della sfera personale della stessa e la sua libertà di autodeterminarsi nella vita privata» (Corte cost. 332/2000, secondo la quale la «limitazione del diritto di procreare, o di diventare genitore, contrasta con i fondamentali diritti della persona»).
Inoltre i recenti interventi della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, chiamata a pronunciarsi da cittadini austriaci sul divieto contenuto nella legislazione interna, hanno riportato la questione al centro del dibattito anche nel nostro Paese (Corte EDU, SH e altri c. Austria, 1° aprile 2009 ric. 57813/00; Sent. Grande Chambre EDU SH e altri c. Austria, 3 novembre 2010, ric. 57813/00) e, infatti, nelle motivazioni delle ordinanze di remissione dei Trib di Firenze, Milano, Catania si legge che: «Anche in esito alla pronuncia della Grande Chambre EDU appare configurabile il contrasto delle norme in esame con gli artt. 3 e 32 Costituzione, poiché con il divieto di fecondazione eterologa si rischia di non tutelare l’integrità fisica e psichica delle coppie in cui uno dei due componenti non presenta gameti idonei a concepire un embrione. (…) La norma in discussione (art. 4, co. 3, L. 40/2004) pare carente anche sotto il profilo di non consentire l’espansione della genitorialità in presenza di limiti funzionali superabili attraverso il ricorso di interventi medicali sconosciuti, e anche solo inimmaginabili sino a pochi anni or sono e resi possibili dal progredire esponenziale delle scoperte scientifiche e delle tecniche applicative”.