VITA, PALLONE, DONNE, SCOMMESSE E DEL GIOCATORE PIU’ ROCK DEL CALCIO ITALIANO
di Tommaso Rossi
«Il calcio di oggi non esiste, è finto, è acrilico. Al mondo ci sono stati tre giocatori di calcio: Maradona, Zigoni e
Meroni. In questo rigoroso ordine, non alfabetico. Il resto è noia»
Ezio Vendrame poteva essere un numero 1 del calcio italiano. La storia è andata diversamente: ora in pochi si ricordano di lui e vive in affitto in un monolocale in campagna. «Sono in affitto, della proprietà privata non mi importa niente». E’
un poeta e detesta il Natale. «Il 23 dicembre mi barrico in casa e scrivo i miei versi.
Riemergo all’Epifania, il peso delle Feste mi è insopportabile».
Quasi banale il paragone con George Best, un grande del calcio inglese, ricordato più per la sua tendenza alla bella vita e all’autodistruzione che per i numeri nel rettangolo verde. Idolo dei tifosi, hippie e anticonformista, amato dalle tifose e da moltissime donne.
Tanti libri ha scritto, Ezio. Nel 2002 un libro shock sul calcio: «Se mi mandi in tribuna, godo», edizioni Biblioteca
dell’Immagine. I racconti della sua vita che si intreccia con il calcio italiano: doping, partite truccate, prostitute. C’è anche il ricordo dell’Ezio Vendrame giovanissimo che, approdato alla Spal di Ferrara, diserta gli allenamenti e finge di infortunarsi per saltare le partite la domenica per rinchiudersi in una stanza di albergo con una baby-prostituta genovese di cui si era follemente innamorato. E il Presidente della Spal, scoperto l’arcano, che la fa rispedire a Genova per provare a far rientrare in sé il giovane promettente Ezio.
«Quante donne ho portato a letto? Centinaia, ma le ho amate una per una. Non ho mai fatto l’amore senza sentimento». Poi c’è il Vendrame più adulto, che dalla Lanerossi Vicenza passa al Napoli e si fa gabbare come un tordo sull’ingaggio. «Al Vicenza prendevo 10 milioni di lire e quando andai a trattare l’ingaggio con Janich, d.s. del Napoli, pensai: “Ora lo frego, gli chiedo il doppio“. Quanto vuoi?, mi domandò. Venti milioni, risposi. Firma qua, replicò senza esitazione. Uscii convinto di aver raggirato i napoletani. In spogliatoio scoprii che Ferrandini, un ragazzo proveniente dall’Atalanta, l’ultimo della compagnia, prendeva 60 milioni. Mi sentii lo scemo del villaggio».
La Poesia del Calcio, ovvero Ezio Vendrame in campo. Genio e sregolatezza. Grandissimi colpi e passaggi mandati in tribuna, per eccesso di confidenza nei suoi mezzi tecnici, per distrazione. Perché non si allenava e magari la sera prima di un match beveva e affogava nelle donne la sua ansia di vita e di riscossa.
Ezio Vendrame nasce a Casarsa del Friuli , piccolo paesino vicino Pordenone il 21 novembre 1947. Cresce in un orfanotrofio («Ma senza essere orfano: erano tempi duri, i miei non potevamo mantenermi»), comincia a giocare nel settore giovanile dell’Udinese. Poi nel ’67 passa alla Spal, in A, ma non gioca mai, anche per i motivi detti sopra, poi viene spedito in serie C in Sardegna alla Torres, quasi per una punizione del suo Presidente.
Poi Siena e nel ’71 approda alla forte Lanerossi Vicenza in A. Mezzala di classe, quello che oggi si chiama fantasista. Un numero 10 tutto genio, un po alla Savicevic per intenderci. E presto il paragone con George Best, anche per quel suo essere capellone e molto bohemienne, in campo e fuori. Nel ’74 passa al Napoli, dove resta per una stagione, l’ultima prima del declino. Tre anni in C, tra Padova e Azzanese, il Pordenone in D e i dilettanti del Casarsa, dove lo squalificano per l’aggressione a un arbitro (1981).
In totale solo 49 presenze e un gol in A. Ma tutti si ricordano di Ezio come un genio del calcio, un genio che poteva essere e non è stato. Un uomo fuori dagli schemi e anche molto scomodo.
Anni dopo racconta le sue verità, e molti ancora tremano.
Stagione 1972-73, Roma-Vicenza. «Dovevamo salvarci, ci serviva un punto. Tre ore prima della gara il medico ci somministrò una particola. Ce la mise in bocca come se fosse stato un sacerdote alle prese con le ostie. Al riscaldamento eravamo imbambolati, in campo avevamo sonno. Per fortuna la Roma sembrava nelle stesse condizioni e la partita finì 0-0. La sera rientrammo in albergo e a una certa ora della notte ci ritrovammo tutti a correre nei corridoi. Avevo la bava alla bocca e una strana agitazione dentro. La “bomba” a scoppio ritardato».
Stagione 1976-77, Vendrame al Padova, in serie C. «Mancavano due giornate alla fine, ospitavamo la
Cremonese. A loro bastava un punto per ottenere la promozione in serie B, a noi di quella gara non fregava niente. Prima dell’ inizio ci accordammo per il pari. Una gigantesca melina, una pazzesca rottura di balle. Giocavamo all’Appiani, vedevo gli sbadigli della gente e mi venne una vampata di vergogna. A un certo punto presi il pallone al limite dell’area avversaria e puntai la mia porta. Feci il campo in retromarcia, scartai avversari e compagni e mi presentai davanti al nostro portiere: finsi di calciare e sulle tribune qualcuno collassò. E che cavolo, bisognava regalare un’ emozione, vivacizzare il pomeriggio». In quell’occasione un tifoso sugli spalti morì d’infarto e quando questo gli fu riferito, Vendrame rispose chiedendo come fosse possibile che un debole di cuore lo andasse a vedere giocare.
Sempre con la maglia del Padova, Ezio fu avvicinato da un emissario dell’Udinese, sua ex squadra, che stava lottando per la promozione in B, e gli offri 7 milioni di lire per giocare male la partita. Il Padova navigava in cattive acque finanziare e pagava ai suoi giocatori i premi partita “minimi” stabiliti dalla FIGC, 22.000 lire a punto. Vendrame inizialmente accettò (“avevo giocato male molte altre volte…e gratis). Poi entrò in campo. L’odore del rettangolo verde, il pubblico friulano che lo fischio sonoramente all’annuncio dello speaker quando le squadre entravano in campo, e per tutta la partita ad ogni suo tocco di palla. Ezio decise che doveva”.. punire quel pubblico di ingrati…affanculo i sette milioni, viva le 44.000 lire” . Il suo PAdova vinse 3-2 con una sua doppietta, in particolare con uno straordinario e memorabile secondo gol, segnato direttamente da calcio d’angolo: prima di tirare fece il gesto di soffiarsi il naso sulla bandierina del corner e di dichiarare – a gesti – polemico ai tifosi avversari che da lì avrebbe realizzato direttamente. E così fu. Le soddisfazioni non hanno prezzo.
Ma anche tanti ricordi che fanno sorridere e raccontano di un calcio che non c’è più.
Come quella volte che fece un tunnel al suo idolo, Gianni Rivera, e ancora Ezio racconta quell’episodio quasi come una mancanza di rispetto verso il grande campione del Milan.
«A Piero devo tutto. Quello che so l’ho imparato da lui. La sua morte mi sconvolse».Ezio appende le scarpe al chiodo e imbraccia una chitarra, un block-notes e una penna. Diventa poeta, comincia a mettere su carta i suoi pensieri, pubblica raccolte di versi. Si stabilisce a San Giovanni, frazione di Casarsa della Delizia, il suo paese. A Casarsa è sepolto Pier Paolo Pasolini. «Ma io a Casarsa non metto piede da anni. Ricambio così l’odio della mia gente. Pasolini fuggì e
ritornò in orizzontale, nel senso della bara. Seguirò lo stesso percorso».