NUOVO LIBRO DI MARINETTE CARLA ANIMOBONO
– ANCONA – di Dafne Perticarini – La prima cosa che risalta ne “Le stagioni di Thil” è il costante contrasto tra le ciminiere, presenti anche nella copertina, e la natura che permea ognuno dei 18 racconti che compongono il libro, segno che la bambina che l’autrice fu riuscì a trovare il bello anche in una città mineraria. Il teatro in cui si svolgono le storie è appunto Thill, cittadina al confine tra Francia e Lussemburgo, uno dei tanti luoghi verso cui l’emigrazione italiana si diresse, in questo caso attirata dall’industria estrattiva e metallurgica.
Marinette, donna di origini italiane cresciuta in Francia e poi di nuovo tornata a vivere in Italia, per la precisione ad Ancona, dimostra di aver potuto osservare a lungo la natura per averci vissuto a stretto contatto. Una condizione che oggi molti di noi non possono sperimentare. Le sue memorie d’infante sono più mature in fatto di conoscenze botaniche e più in generale pratiche di quelle di un adulto contemporaneo.
Leggere questo libro è come mettersi a sedere di fianco di una nonna che ricorda. E ciò, prima di un diletto, è una lezione costituita dalle preziose conclusioni di una vita vissuta, che solo la nostra noncuranza può sprecare.
Impressiona la nitidezza dei ricordi, sinceramente sostenuti dalla fantasia della scrittrice, ma troppo carichi di dettagli per non essere in gran parte veri. La narrazione è più rivolta alla sfera personale, anche se in essa si riflettono le vicende di un’epoca: la migrazione italiana nelle zone minerarie della Francia, la società pre-consumistica e i suoi costumi. Abbiamo così la possibilità di guardare il film di una vita immerso nel tempo in cui è ambientato, senza perdere mai di vista il macro scenario mentre succede qualcosa nel micro mondo dell’autrice.
Importante la testimonianza che ci viene data dell’altra faccia della medaglia del fenomeno migratorio. Cioé quello che gli emigrati pensano, come vedono il Paese d’origine e quello che li ospita; come accolgono le azioni correttive attuate dalle istituzioni straniere, volte a dare loro un volto più civile, spesso non comprese, forse neanche meditate, considerate l’ennesimo intralcio nel percorso di chi sogna solo di vivere la sua routine al sicuro.
Nel libro si fa riferimento a tutta una serie di elementi legati alla condizione dell’emigrante, con particolare attenzione al ruolo della donna: la quale, pur avendo lasciato la Patria a malincuore, sfrutta l’apertura mentale del nuovo Paese per emanciparsi. Da subito capisce che quella è un’occasione da non perdere. E l’autrice è acuta nello spiegarci il processo che ogni contadina italiana visse sicuramente in cuor suo.
Le vicende, ambientate tra la fine degli anni ’50 e l’inizio dei ‘60, sembrano lontanissime e contemporanee allo stesso tempo: la società consumistica non ha ancora assorbito la classe operaia, facendola apparire immersa in un tempo molto distante, che può essere ieri come mille anni fa, ma che è sicuramente fuori dal nostro quotidiano; d’altro canto, le vicende narrate inevitabilmente ci fanno pensare ai nuovi migranti che arrivano oggi i Italia, che troveranno differenti luoghi ma medesime difficoltà dei genitori di Marinette.
Nel leggere le vivide descrizioni di luoghi e persone vien da chiedersi se Marinette non abbia fatto un vero viaggio indietro nel tempo per rinfrescare le sue memorie, che a rigor di logica dovrebbero essere sbiadite. Invece è tutto vivo nella sua mente, come sulla pagina: dai sentieri del bosco alle donne nel lavatoio, dai giochi dei bambini alla sfilata dei minatori alla fine del turno, sino all’ultimo dettaglio.
Ogni storia dà lo spunto all’autrice per riflettere su temi che ci coinvolgono tutti: l’omologazione dell’era della tecnica, l’incapacità umana di accettare la banale verità del nascere e del morire, che ci porta a sofferenze inutili. E ancora: la breve parabola dell’industria estrattiva, che lasciò dietro di sé cicatrici indelebili sulla società e sul territorio.
Le storie di Thil, di Marinette e dei suoi cari, non sono solo un diario su cui noi possiamo buttare l’occhio, vita altrui che ci può più o meno incuriosire. Sono un documento rilevante di una parte della nostra storia nazionale, oltre a qualcosa di più ampio, grazie alla capacità induttiva dell’autrice di renderle storie universali. Certamente questo metodo ha i suoi limiti, come hanno sottolineato studiosi di varie epoche, ma dal punto di vista puramente umano ci aiutano a immedesimarci e carpire dalla vita altrui insegnamenti validi anche per noi. Ciò non sarà rigoroso, ma è sicuramente utile.
(articolo tratto da Urlo-mensile di resistenza giovanile)