Il caso Yara Gambirasio e le ragioni della condanna di Bossetti

RIPERCORRIAMO IL PROCESSO INIDIZIARIO PER LA MORTE DELLA PICCOLA

di dott.ssa Giorgia Mazzei

UnknownDopo mesi di esami ed interrogatori, il primo luglio 2016 è arrivata la sentenza sul caso Yara Gambirasio, con la condanna in primo grado all’ergastolo per Massimo Bossetti, ritenuto colpevole dell’omicidio della ragazzina tredicenne e così giudicato dalla Corte d’Assise di Bergamo, ma è assolto dall’accusa di calunnia. Per la famiglia Gambirasio sono stati disposti risarcimenti per 1,2 milioni di euro: 400 mila euro per ogni genitore di Yara, 150 mila euro per ogni fratello e 18 mila euro per gli avvocati. Composta la reazione del condannato, che si è limitato ad alzare gli occhi al cielo quando è arrivata la sentenza di condanna, dando segno di una reazione solo quando ha ascoltato il giudice togliergli la potestà sui figli. “la pena è quella prevista per una persona che commette un omicidio a cui non sono riconosciute le attenuanti”, ha commentato il procuratore di Bergamo, e ricordando che il Dna, è stata la prova scientifica decisiva. Uno dei legali del condannato, ha invece ricordato che non è una sentenza definitiva, è il primo step di una battaglia lunghissima, dichiarando che faranno ricorso. “È una mazzata grossissima, avevo fiducia nella giustizia. Non è possibile, non è giusto, non sono stato io”, le parole di Bossetti prima di entrare in carcere.

Il 18 Maggio nella sua requisitoria la Pm Letizia Ruggeri aveva chiesto l’ergastolo per Massimo Bossetti, accusato di essere l’assassino di Yara Gambirasio. Al termine di una lunga requisitoria al Tribunale di Bergamo, il magistrato ha formulato la sua richiesta del massimo della pena, ossia ergastolo con sei mesi di isolamento diurno. Contestati a Bossetti l’omicidio volontario aggravato e la calunnia.

L’omicidio, art. 575 c.p., recita che: “chiunque cagioni la morte di un uomo è punito alla reclusione non inferiore ad anni ventuno”. L’omicida può provocare la morte altrui per mezzo di qualsiasi modalità, anche per omissione, ma in ogni caso la sua azione o inazione sono volontarie. L’omicidio volontario può essere premeditato oppure non premeditato.

L’altro reato contestato a Bossetti è la calunnia nei confronti di Massimo Maggioni, uno dei colleghi del cantiere di Palazzago, in cui lavorava nei giorni in cui fu consumato il delitto. In uno degli interrogatori Bossetti avrebbe tentato di dirottare sul collega le indagini degli inquirenti.

La calunnia è disciplinata dall’articolo 368 del c.p., il quale recita che: “chiunque, con denunzia, querela, richiesta o istanza, anche se anonima o sotto falso nome, diretta all’autorità giudiziaria o ad un’altra autorità che a quella abbia obbligo di riferirne, incolpa di un reato qualcuno che è innocente, ovvero simula a carico di lui le tracce di un reato, è punito con la reclusione”.

Andiamo ad esaminare le prove scientifiche che sono state imputate a sfavore di Bossetti.

Quella più rilevante è che il Dna sul corpo di Yara è del muratore, il suo profilo genetico combacia per il 99,99999987% con quello riscontrato sui vestiti e sul corpo di Yara. Inoltre, sugli stessi vestiti e nei polmoni della ragazzina di Brembate sono state trovate tracce di calce proveniente da un cantiere, questo elemento è attinente col lavoro da muratore di Bossetti. Inoltre, il suo telefonino, nel giorno in cui è stata uccisa Yara, 26 novembre 2010, risultava agganciato a una cella vicina alla zona dove si trova la palestra frequentata dalla ragazzina, le cui tracce si sono perse un’ora dopo. Il cellulare dell’uomo è rimasto staccato fino alle 7 della mattina successiva. Bossetti si difese raccontando di essere passato vicino al centro sportivo la sera della scomparsa di Yara, il 26 o forse il 27, e di esser rimasto colpito dai furgoni inviati dalle televisioni per seguire il caso; quei mezzi però, arrivarono non prima del giorno successivo. Altro indizio è la strana visita al campo di Chignolo con la moglie, la quale raccontò agli inquirenti di essere stata condotta dal marito proprio in tale campo perché volevano andare a vedere il luogo. Anche il fratellino di Yara ha alzato nubi su Bossetti, parlando di un signore con la barbetta, di cui Yara aveva paura. All’epoca dei fatti, il muratore infatti portava un pizzetto biondo.

In più vi sono i video del furgone, un Iveco Daily, ripreso vicino alla palestra e le ricerche di materiale pedopornografico su internet, avendo digitato le parole «13enni rosse» e «vergine». Per i magistrati questo forte interesse per il sesso delle 13enni potrebbe costituire un valido movente sessuale. L’ultimo indizio emerso in ordine di tempo a carico di Bossetti è la presenza riscontrata sui leggings di Yara di fili dei sedili dell’Iveco Daily, i Ris attesterebbero che si tratta dello stesso materiale. Dal punto di vista cromatico, merceologico e chimico quelle fibre, secondo quanto spiegato dai militari del Ris che hanno indagato sul caso, le fibre sono risultate “compatibili” e “indistinguibili”. L’ipotesi avanzata di due carabinieri che erano presenti in aula, è che quelle fibre siano state lasciate sul giubbotto della ragazzina per contatto.

Invece, a favore di Bossetti, la difesa ha fatto leva soprattutto sull’assenza dell’arma del delitto. Difficile identificare il colpevole di un omicidio senza aver trovato prima l’arma. Secondo le ferite sul corpo di Yara si tratterebbe di strumento da punta e taglio, niente di simile è nelle mani degli inquirenti. La giovane di Brembate di Sopra sarebbe stata uccisa da un mancino, questo escluderebbe il coinvolgimento di Bossetti, che non lo è. Un altro elemento a difesa del muratore, è il furto di attrezzi, tra cui uno scalpello a punta acuminata (la possibile arma del delitto?); tale denuncia è avvenuta solo nel 2012, anche se il furto sarebbe successo prima dell’omicidio. E se fossero stati rubati da chi ha ucciso Yara? È la tesi della difesa di Bossetti, che così spiegherebbe anche la presenza del Dna del suo assistito sul luogo del delitto. Per un fratellino che traccia l’identikit di un orco simile a Bossetti, ci sono diverse amiche e compagne di palestra di Yara che non lo chiamano mai in causa. Le ragazzine dichiarano di non aver mai visto il muratore aggirarsi dalle parti della struttura sportiva frequentata da loro e dalla vittima. Inoltre, la difesa punta molto sul fatto che, se sui leggings della ragazzina sono stati trovati fili riconducibili alla tappezzeria dell’Iveco Daily di Bossetti, non è altrettanto vero per quanto riguarda tracce di Dna sul furgone. Un altro particolare emerso dalle analisi confermerebbe che la giovane Yara non sia deceduta nel campo di Chignolo d’Isola, dove il corpo fu ritrovato, ma fu trasportata lì quando era ormai cadavere, e ad infierire sul suo corpo è stata più di una persona. Questo escluderebbe la presenza di un solo uomo sul luogo del delitto. Infine, le parole di Marita Comi, moglie di Bossetti, che forniscono un bell’alibi all’uomo. «Se Yara fosse stata uccisa al mattino o al pomeriggio, forse non potrei giurare sull’innocenza di mio marito», «ma quella bambina è morta dopo le 19, forse dopo le 22. Massimo non poteva essere là fuori a uccidere, perché era a casa».

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