Blue Whale, ma è reato?

ANALISI DEL FENOMENO E  DELLE FIGURE DI REATO IN CUI INQUADRARE IL GIOCO DEL SUICIDIO

di avv. Tommaso Rossi (Studio Legale Rossi-Papa-Copparoni)

imagesTutti in questi giorni si interrogano sui profili psicopatologici che portano un adolescente a rimanere invischiato nella mortifera pratica del “Blue Whale”, il gioco del suicidio che viene dal web e dalla Russia. Proviamo a fare chiarezza anche noi, prima che la confusione del web generi allarmismo, paura e emulazione.

L’ORIGINE DEL FENOMENO. Diverse testate internazionali da tempo si interrogano sulle origine del fenomeno e cercano di capire se la notizia di questa diffusione dilagante del “gioco” è autentica o meno.  Certamente il “Blue Whale” è nato su VKontakte (VK),  social network simile a Facebook assai frequentato dai giovani russi. Il suicidio di Rina Palenkova, una sedicenne  che ha documentato il suo suicidio, avvenuto nel 2015, sul social, segna forse lo spartiacque del fenomeno. La ragazza diviene una sorta di icona web e inizio a raccogliere intorno a sé ragazzi che si identificavano sul social VK con la sigla  “f57”. Pare appunto che f57 fosse il nome di un gruppo presente nel social VK, una comunità in cui i giovani scambiavano pensieri di morte e contenuti raccapriccianti e orridi. In Russia al presenza di questi gruppi, unitamente all’elevatissimo numero di suicidi tra adolescenti, attirò moltissimo interesse dell’opinione pubblica, sino alla pubblicazione di un inchiesta sulla tematica da parte del periodico Novaya Gazeta, che per prima fece luce sul fenomeno, e riconducendo circa 130 suicidi avvenuti in Russia tra il 2015 e il 2016 al “gioco” della Balena spiaggiata (Blue Whale infatti identifica quel fenomeno incomprensibile in cui le balene si spiaggiano sulle rive secche giungendo a rapida morte).

IL FUNZIONAMENTO DEL “GIOCO”. Sempre secondo quanto ricostruito da varie inchieste- il condizionale è d’obbligo in casi come questi dove la fumosità delle notizie la fa da padrona- basterebbe  postare un contenuto con l’hashtag #f57 in alcuni forum e social network. Sarebbe il segnale X, che mette in moto il “master”  che gestisce le regole del gioco e risponde al malcapitato con una serie di consegne (pare siano 50 in tutto). Si va da prove di automutilazione sempre crescenti, alla visione di video inquietanti e horror, dall’ascolto di suoni sgradevoli al camminare sui cornicioni e sui tetti dei palazzi, il tutto rigorosamente postato sul social come prova da dare per passare al “livello di gioco” successivo. L’ultima prova, quella finale, sarebbe appunto il gesto finale, estremo, la morte che il Master chiede al giocatore come prova della sua abilità e coraggio.

I REATI.  La polizia russa tempo fa ha arrestato Philipp Budeikin, 21 anni, di San Pietroburgo, con l’accusa di aver istigato al suicidio un numero imprecisato di adolescenti e aver diffuso il fenomeno sulla rete. per aver partecipato alla diffusione del fenomeno. Pare che lo stesso abbia confessato, spiegando di aver organizzato il gioco per “ripulire la società” da “rifiuti organici”, ma la fonte da cui proviene questa notizia non è di certa affidabilità.

In Italia non risulta che siano stati aperti fascicoli di reato a carico di qualche soggetto specificamente individuato con ipotesi di reato precise. Pare si indaghi contro ignoti senza una specifica ipotesi di reato.
Per come è stato descritto e ricostruito, il “blue Whale” potrebbe senza dubbio essere ricondotto alla fattispecie di reato di istigazione o aiuto al suicidio (art.580 c.p.), al pari di quanto ipotizzato per esempio per Marco Cappato dei Radicali per aver facilitato il suicidio assistito in Svizzera di Dj Fabo, nella nota vicenda che ancora divide l’Italia e anche il Tribunale di Milano (la Procura aveva richiesto l’archiviazione, il GIP l’ha negata).

Il reato in questione si attua secondo due modalità distinte: il rafforzamento dell’altrui proposito suicida (come sarebbe in questo caso) ovvero la facilitazione dell’azione suicidiaria altrui. Nel primo caso è richiesta sia la dimostrazione dell’obiettivo contributi all’azione altrui di suicidio, sia la prefigurazione dell’evento come dipendente dalla propria condotta. Nel secondo caso invece si prescinde totalmente dall’esistenza di qualsiasi intenzione, manifesta o latente, di suscitare o rafforzare il proposito suicida altrui, presupponendo anzi che l’intenzione di autosopprimersi sia stata autonomamente e liberamente presa dalla vittima, e fornendo soltanto un contributo di tipo agevolatore.

In tutti i casi in cui non si giunge al suicidio, ma soltanto alla realizzazione di lesioni autoinflitte, è assai difficile ricondurre la condotta del “master” al reato di lesioni, proprio perché vi sarebbe unicamente un apporto “esterno” e di rafforzamento, ma l’atto sarebbe compiuto dal soggetto su se medesimo, e quindi non vi sarebbe alcun reato. E’ infatti previsto nel nostro ordinamento la figura dell’istigazione a commettere un delitto (art. 115 c.p.) , ma deve appunto essere commesso un delitto. L’automutilazione non è reato.

Si potrebbe forse inquadrare il tutto anche nella figura della  circonvenzione di persone incapaci, reato previsto dall’art. 643 del codice penale che punisce con la reclusione da 2 a sei anni chi, per procurare a sé o ad altri un profitto  abusando dei bisogni, delle passioni o della inesperienza di una persona minore ovvero abusando dello stato d’infermità o deficienza psichica di una persona anche se non interdetta o inabilitata, la induce a compiere un atto che comporti un qualche effetto giuridico per lei o per altri dannoso.

Ma forse la figura che meglio inquadrerebbe tutta l’orribile pratica del “Blue Whale” e la condotta dei soggetti che la diffondono, sarebbe il Plagio.

IL REATO DI PLAGIO E IL CASO BRAIBANTI.  Il reato in questione era previsto dal nostro codice penale (del 1930, di ispirazione fascista)  all’art. 603 che puniva «Chiunque sottopone una persona al proprio potere, in modo da ridurla in totale stato di soggezione, è punito con la reclusione da cinque a quindici anni. Il termine plagio deriva dal latino plagium (sotterfugio), che nel diritto romano indicava la vendita di un uomo che si sapeva essere libero come schiavo, ovvero la sottrazione tramite persuasione o corruzione di uno schiavo altrui.

Celebre fu la vicenda che, nel 1964, vide processato e condannato- primo ed unico in Italia per il reato di plagio, Aldo Braibanti, artista con un passato da dirigente locale del Partito Comunista Italiano,poiché si riteneva che lo stesso avesse indotto due giovani, Piercarlo Toscani e Giovanni Sanfratello, diciannovenni all’epoca dei fatti, in sua dipendenza psicologica, affascinandoli con le sue idee artistiche e filosofiche ispirate al marxismo libertario di Herbert Marcuse e a una visione anarchica della vita e delle relazioni sociali. L’artista fu arrestato il 5 dicembre 1967 e il 14 luglio 1968 venne  condannato dalla Corte d’Assise di Roma a nove anni di reclusione, pena poi ridotta a 4 anni in appello e confermata dalla Cassazione.

La vicenda ebbe una grande eco all’epoca e le reazioni di intellettuali come  Pier Paolo Pasolini, Umberto Eco, Alberto Moravia, Elsa Morante, Adolfo Gatti, Mario Gozzano, Cesare Musatti, Ginevra Bompiani nonché dei radicali di Marco Pannella, che si batterono per l’assoluzione di Braibanti e la cancellazione del reato di plagio.

Tale fattispecie è stata poi dichiarata costituzionalmente illegittima con la sentenza n. 96 del 1981 in quanto ritenuta troppo indeterminata; secondo la Corte, infatti, il reato di plagio contrasterebbe  “con il principio di tassatività della fattispecie contenuto nella riserva assoluta di legge in materia penale, consacrato nell’art. 25 della Costituzione

In ogni caso negli ultimi anni non sono mancate proposte per una reintroduzione di questo reato che però, fino ad oggi, non hanno mai trovato accoglimento. La più recente proposta è del 2005 quando la Commissione Giustizia del Senato ha approvato un disegno di legge che prevedeva l’introduzione del reato di “manipolazione mentale” ma l’iter di approvazione si è bloccato in particolare a causa dei rischi che molti vedevano per la libertà religiosa. Il testo del disegno di legge, costituito di due commi, recita : Art. 613-bis – (Manipolazione mentale). Salvo che il fatto costituisca più grave reato, chiunque mediante tecniche di condizionamento della personalità o di suggestione praticate con mezzi materiali o psicologici, pone taluno in uno stato di soggezione continuativa tale da escludere o da limitare grandemente la libertà di autodeterminazione è punito con la reclusione da due a sei anni.Se il fatto è commesso nell’ambito di un gruppo che promuove o pratica attività finalizzate a creare o sfruttare la dipendenza psicologica o fisica delle persone che vi partecipano, ovvero se il colpevole ha agito al fine di commettere un reato, le pene di cui al primo comma sono aumentate da un terzo alla metà

Per ora non resta che attendere l’operato delle Procure della Repubblica dei luoghi in cui la pratica viene in essere, per cercare di comprendere come tenteranno di inquadrare giuridicamente il fenomento. E soprattutto sperare che l’informazione, la cultura, le famiglie, e il mondo del web si mobilitino tutti assieme per far luce in maniera corretta sul fenomeno, riempiendo quel vuoto di emozioni e conoscenza in cui spesso gli adolescenti si trovano a vivere. E a volte anche a morire.

 

 

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