di Doganalista Barbara Satulli
Ogni volta che un rapporto commerciale implica una cessione di beni tra Stati diversi, al passaggio della frontiera doganale, si impone la necessità di stabilire l’origine dei prodotti oggetto della transazione.
L’origine doganale delle merci è uno dei quattro parametri fondamentali del diritto doganale, insieme a
– classificazione tariffaria
– quantità
– valore in dogana dei beni.
La combinazione di questi elementi vale a definire l’ammontare dell’obbligazione doganale (l’obbligo di una persona di corrispondere l’importo del dazio applicabile a una determinata merce in virtù della normativa doganale) e l’applicazione di misure politica commerciale.
La finalità della combinazione di tali elementi è sia tributaria che extra-tributaria.
Individuare l’origine di una merce è compito complesso per interpreti ed operatori del diritto doganale, infatti oltre alle norme generali contenute nel Codice Doganale dell’Unione, Regolamento UE 952/2013, l’origine si definisce con numerose altre fonti legislative ed interpretative, nazionali ed internazionali, e in continua evoluzione nell’estremo dinamismo che caratterizza il commercio mondiale.
Il diritto doganale distingue due forme di origine:
– l’origine non preferenziale e
– l’origine preferenziale.
L’origine non preferenziale è la “nazionalità” delle merci, e non determina l’attribuzione di benefici fiscali alle stesse.
Tale origine rileva ai fini dell’individuazione e dell’applicazione di dazi antidumping, di restrizioni quantitative e a essa si fa riferimento per determinare il “made in”, che può dare rilievo e prestigio commerciale (il caso del nostro famoso “made in Italy”). Per tale origine è irrilevante quale sarà il Paese verso il quale il prodotto sarà commercializzato.
L’origine preferenziale di un prodotto implica invece che, qualora l’UE abbia attribuito a tale merce un’agevolazione daziaria verso un certo Paese, quel prodotto sarà trattato come bene di origine preferenziale UE e, se corredato dai necessari certificati di origine, potrà essere importato nel Paese destinatario di preferenze a dazio ridotto o nullo.
Sfatiamo allora quattro falsi miti, i più comuni errori comportanti pesanti conseguenze per le aziende che, anche inconsapevolmente, li commettono.
Il primo concetto da chiarire è la distinzione dell’origine con la provenienza geografica.
1 “Il mio prodotto proviene dal Paese A, dunque è di origine A”
FALSO
Origine e provenienza geografica sono due concetti distinti: un bene originario di un determinato Paese può provenire o essere spedito da un luogo diverso, e viceversa.
L’origine non preferenziale e l’origine preferenziale si basano ambedue su regole giuridiche distinte e ben precise.
Il fatto che un prodotto venga spedito dal Paese A, non comporta certo che cambi la regola che attribuisce l’origine doganale a tale prodotto se esso è di origine Paese B.
Per le Autorità doganali, che hanno ben presente tale differenza, non sarà certo un’esimente e anzi, potrebbe comportare un’indizio di frode qualora siano previste misure specifiche in merito a prodotti originari del Paese B che, ad esempio arrivano in UE e vengono identificati erroneamente come prodotti di origine Paese A.
Origine non preferenziale
L’origine non preferenziale è frutto di una normativa specifica, è l’origine normale e che in via generale determina la fiscalità in importazione.
Se il caso è un’importazione in UE, verrà applicata la corrispondente aliquota della Tariffa Doganale europea.
Per gli esportatori dei Paesi membri dell’Unione, essa si basa sulle disposizioni del citato Codice Doganale dell’Unione CDU, su quelle del Regolamento delegato UE n. 2446/2015 e del Regolamento di esecuzione n. 2447/2015, nonché nei relativi e corposi allegati.
L’art. 60 CDU prevede che “le merci interamente ottenute in un unico paese o territorio sono considerate originarie di tale paese o territorio.”
Un esempio ne sono i prodotti minerali estratti in tale Paese, quelli del regno vegetale ivi raccolti, gli animali vivi, ivi nati e allevati, i prodotti provenienti da animali vivi ivi allevati, i prodotti della caccia e della pesca ivi praticate (art.31 Reg. UE 2446/2015).
Se pensiamo ai tessili o alla componentistica elettronica, è facile immaginare che la produzione delle merci avviene sempre più spesso attraverso l’utilizzo di materie prime originarie di Paesi diversi o con la realizzazione di fasi di lavorazioni in più Paesi.
In tal caso l’art 60 CDU prevede che “le merci alla cui produzione contribuiscono due o più paesi o territori sono considerate originarie del paese o territorio in cui hanno subito l’ultima trasformazione o lavorazione sostanziale ed economicamente giustificata, effettuata presso un’impresa attrezzata a tale scopo, che si sia conclusa con la fabbricazione di un prodotto nuovo o abbia rappresentato una fase importante del processo di fabbricazione.”
Tale regola ha delle specificazioni normative, puntualmente vincolanti ed elencate nell’allegato 22-01 del Regolamento delegato UE n. 2446/2015, organizzate secondo la classificazione tariffaria del prodotto.
Le lavorazioni o trasformazioni che conferiscono un’origine non preferenziale UE sono basate per lo più sul criterio secondo cui le merci acquisiscono l’origine non preferenziale del Paese in cui il processo di produzione ha comportato un cambio di classificazione tariffaria (cd regola del “salto di voce”).
Altri criteri utilizzati dall’impianto normativo sono quello relativo al valore aggiunto (cd “regola del valore aggiunto”) o quello che attribuisce l’origine se è svolta un’operazione di trasformazione/lavorazione specifica.
Sono invece sempre ritenute insufficienti quelle tipologie di lavorazioni che non incidono significativamente sulla natura di un bene, svolte al solo fine di assicurare la conservazione o la commercializzazione del bene come le “operazioni minime” in cui rientrano le manipolazioni destinate ad assicurare la conservazione dei prodotti durante il loro trasporto e magazzinaggio, le operazioni di spolveratura, vagliatura o cernita, selezione, classificazione, assortimento, lavatura, riduzione in pezzi, i cambiamenti d’imballaggio, di riempimento di bottiglie, lattine, boccette, borse, casse o scatole, o di fissaggio a supporti di cartone o tavolette, l’apposizione sui prodotti e sul loro imballaggio di marchi, etichette o altri segni distintivi, la semplice riunione di parti di prodotti allo scopo di formare un prodotto completo (art. 34 del Regolamento 2446/2015).
La regola che attribuisce l’origine non preferenziale (il cd made in) è dunque specifica per ciascun tipo di prodotto.
Vediamo un altro frequente errore da non fare.
2 “Il mio prodotto è made in Italy, dunque è di origine preferenziale italiana ”
FALSO
Se l’Unione Europea accorda una preferenza tariffaria alle merci commerciate verso determinati Paesi, le regole volte a stabilire l’origine preferenziale non possono essere le stesse dell’origine normale e non preferenziale (ndr).
“I quattro errori da non fare sull’origine delle merci – parte seconda” sarà pubblicato su questo sito mercoledì 28 febbraio 2018.
https://www.fattodiritto.it/i-quattro-errori-da-non-fare-sullorigine-delle-merci-parte-seconda/