di Alessandro Faralla (Responsabile Cultura e Spettacoli F&D)
Sta tutto nel bianco e nero senza tempo il cuore e la vitalità soffocata di Cold War, il nuovo film di Pawel Pawlikowski che racconta, attraverso travagliati quindici anni, la storia d’amore tra Wiktor e Zula e della Polonia post-seconda guerra mondiale.
Lui è un compositore e un musicista affascinante, lei una cantante che durante le audizioni per un gruppo folkroristico, tra le martoriate e fangose campagne polacche, si finge una povera contadina aspirando ad un domani di riscatto ed emancipazione; più che dal suo talento Wiktor resta colpito da una personalità audace e dal mistero che avvolge la bellissima ragazza bionda.
L’arte come strumento di racconto è presente durante tutto il viaggio emotivo e personale dei protagonisti: il governo vede nel gruppo teatrale in cui Wiktor e Zula si esibiscono un alleato nel conservare le tradizioni popolari veicolando al contempo una propaganda politica negli anni della guerra fredda, per i due innamorati potrebbe significare scrivere da soli le pagine della loro vita senza restare influenzati dal richiamo della madre patria.
Rigoroso e formale nella messa in scena Cold War parla attraverso la musica che sin dai primi fotogrammi ne accompagna gli intrecci, eppure è anche la musica ad allontanare i due amanti quando Zula dopo una tournée a Berlino Est sceglie di non seguire Wiktor ad Ovest. Da lì, il palcoscenico sulle loro vite si alzerà e calerà tra la Jugoslavia, Parigi e ancora la Polonia.
Freddo, distaccato, è un sentimento vissuto nella lontananza ma capace di essere avvolgente e maestoso in pochi attimi, in fugaci momenti dove individui così lontani nelle ambizioni e nelle emozioni si perdono e si amano nel silenzio che fa da contraltare alla musica.
Ed è quel silenzio glaciale ed irrequieto a parlare, a certificare un dominio della storia geopolitica sul destino di due vite umane.
Allora prima che tale impasse diventi una costante di frustrazione e sguardi mancati Wiktor e Zula possono salvare quell’amore impossibile solo tornando dove tutto ebbe inizio, lontano dai teatri, dalle canzoni, dagli inebrianti salotti parigini.
Ritornare lì, tra le abbandonate e silenziose campagne polacche, per determinare assieme l’orizzonte da vedere, l’unico possibile.