di Dott.ssa Erika Martinelli
Con l’entrata in vigore della depenalizzazione, attraverso i due provvedimenti normativi paralleli e contestuali d.lgs. n. 7/2016 e d.lgs. n. 8/2016,il legislatore ha deciso di cancellare una lunga serie di reati definiti “bagatellari”, per la precisione 41, con lo scopo di allegerire il carico dei procedimenti tanto nelle aule giudiziarie quanto nelle procure, trasformandoli così in illeciti sia civili sia amministrativi puniti con sanzioni pecuniarie. Tale disciplina ha generato anche una “decriminalizzazione” codicistica, disponendo l’abrogazione di talune fattispecie previste dal codice penale, in quanto ormai obsolete (la sfida al duello di cui all’art. 394 c.p.) oppure non più conformi ad una moderna concezione del bene giuridico, costituzionalmente orientata (l’oltraggio a pubblico ufficiale exart. 341 c.p.).
Se dunque, da una parte si è assistito allo snellimento della macchina giudiziaria con l’eliminazione di un abbondante numero di reati, che vengono dichiarati estinti, dall’altra si è finito per credere che le condotte previste in questi reati possano restare impunite. Ne è un esempio il delitto di ingiuria di cui all’art. 594 c.p.
Tale reato era un delitto contro l’onore che aveva quale oggetto di tutela, in senso soggettivo, l’onore e il decoro mentre, in senso oggettivo, la reputazione di cui il soggetto gode nella società. Elemento fondamentale era costituito dalla presenza del soggetto passivo del reato al momento dell’offesa. Ovviamente per potersi configurare il delitto in questione, l’offesa doveva ledere l’onore, il decoro e la reputazione dell’offeso provocando di conseguenza un discredito sociale della vittima. In virtù della depenalizzazione, è divenuto oggi impossibile contestare codesta fattispecie di reato sia a livello penale che a livello civile e alla luce dei fatti pare, quindi, che chiunque si possa sentire libero di offendere qualcuno senza temere di incorrere in un procedimento penale né di riportare alcuna condanna civile per il risarcimento del danno.
La depenalizzazione oltre a creare scompiglio nella collettività, lo ha determinato anche tra gli Ermellini. Infatti il Primo Presidente della Suprema Corte di Cassazione, con provvedimento del 26/02/2016, respingeva l’ordinanza di rimessione degli atti alle Sezioni Unite e chiedeva di esprimersi sul seguente quesito: «se, a seguito dell’abrogazione dell’art. 594 c.p. ad opera dell’art. 1 d.lgs. 15 gennaio 2016 n. 7, debbano essere revocate le statuizioni civili eventualmente adottate con la sentenza di condanna non definitiva per il reato di ingiuria pronunziata prima dell’entrata in vigore del suddetto decreto» (Cass., sez. V penale, Ord. 23.2.2016, ud. 9.2.2016, n. 7125). Sulla questione di diritto, dunque, il Presidente affermava che «non sussiste(va) alcun contrasto giurisprudenziale, prospettandosi solo che la stessa possa dare luogo a contrasti interpretativi». Appariva prematuro, quindi, affidare da subito alle Sezioni Unite il compito di dipanare l’intricata quaestio iuris, non essendo sufficiente, ai fini dell’avocazione degli atti da parte del più eminente consesso della Cassazione «la mera eventualità di futuri ipotetici contrasti».
Questo fragore però non si è spento, ma è proseguito, in quanto la depenlizzazione altro non è che un abolitio criminis che conduce all’estinzione del reato, quindi in altre parole alla sua esclusione dal sistema penale. Siccome molti reati si sono trasformati in illeciti civili, questo ha condotto il giudice penale a emettere una sentenza di immediata declaratoria di improcedibilità utilizzando la formula assolutoria “perché il fatto non è più previsto dalla legge come reato” sulle statuizioni civili scaturenti da sentenze di condanna non definitive. In base a ciò, è opportuno precisare che l’abrogazione della norma punitiva in presenza di un giudicato penale comporta la revoca della sentenza di condanna da parte del giudice dell’esecuzione, ma limitatamente ai capi penali e non anche a quelli civili, pertanto, non può trovare applicazione nel momento in cui l’abolitio criminis sia intervenuta prima del passaggio in giudicato della sentenza di condanna, così come disciplinato negli artt. 185 c.p. e 74 e 538 c.p.p. In conclusione, verrebbe meno la possibilità di emettere, da parte del giudice, una sentenza definitiva di condanna agli effetti penali, poiché il fatto non è più previsto dalla legge come reato, verrebbe quindi meno anche l’obbligo alle restituzioni e al risarcimento del danno di cui all’art. 185 co. 1 e 2 c.p. nel caso in cui la persona offesa si fosse costituita parte civile nel processo penale, con la conseguenza che, nel giudizio di legittimità, dovrebbero essere revocate le statuizioni civili adottate con le pronunce di merito e perciò la depenalizzazione finirebbe per annullare ogni riconoscimento civilistico pur precedentemente espresso in sede penale, con sentenza di merito non definitiva.
Sulla questione la Suprema Corte di Cassazione si è espressa in due sentenze: la prima (Cass., sez. II penale, sentenza 11.4.2016, ud. 23.3.2016, n. 14529)afferma che la «valenza generale e non vi è ragione di riferirla esclusivamente alle ipotesi depenalizzate da questo provvedimento e non anche da quello precedente poste che il citato articolo 9 fa riferimento generico a tutte le ipotesi in cui il giudice dell’impugnazione da’ atto dell’intervenuta depenalizzazione decidendo però sulla domanda civile proposta nello stesso procedimento» circa le statuizioni civili relative ai reati di cui al d.lgs. n. 7/2016 (ingiuria, danneggiamento non aggravato ecc…). La seconda (Cass., sez. V penale, sentenza 10.5.2016, ud. 23.3.2016, n. 19464) afferma che «appare quella della generale caducazione delle statuizioni civilistiche per effetto dell’abrogazione del reato oggetto del procedimento», posto che «l’assenza di una disposizione transitoria analoga a quella indicata dall’art. 9, comma 3, del decreto legislativo n. 8 del 2016 deve far propendere per la soluzione secondo cui costituisce onere della parte offesa quello di promuovere eventuale azione davanti al giudice civile, competente anche per l’irrogazione delle sanzioni pecuniarie civili».
In base a quanto sopra esposto, si conclude affermando che esistono questi due orientamenti giurisprudenziali. Si attende una soluzione univoca.