LA BATTAGLIA DI “#STOPSEADRILLING”
– ANCONA – di Giampaolo Milzi –
La nuova febbre dell’oro nero rischia di trasformare buona parte dei fondali dell’Adriatico in una specie di groviera, con ricadute pesanti e per certi versi imponderabili sul delicatissimo ecosistema di questo mare stretto e quasi chiuso, possibili gravi effetti inquinanti in acqua, nel terreni di falda sottomarini e nell’aria, penalizzazione delle attività della pesca e ad esse legate, rischi per i litorali. Per questo, negli ultimi mesi, ha subito un’accelerazione – a livello di iniziative e di partecipazione dei cittadini – la mobilitazione pubblica contro il vero e proprio assalto lanciato dalle compagnie alla ricerca di giacimenti di idrocarburi. Assalto rinnovato nella sua invasività ambientale grazie ad alcune norme contenute nel decreto “Sblocca Italia”, approvato dal Governo Renzi nel novembre dell’anno scorso, che danno il via libera ad ulteriori campagne di sondaggio e trivellazione, togliendo il potere di veto agli enti locali. Basta considerare che in soli 10 giorni, da 3 al 12 giugno scorsi, alcuni Ministeri italiani hanno firmato 10 decreti che formalizzano la chiusura con esito positivo di altrettante procedure di Valutazione di impatto ambientale per compiere prospezioni , ovvero indagini di misurazione geofisica, su oltre 45mila kmq.
L’ultima grande serie di manifestazioni di protesta si è svolta il 20 giugno coinvolgendo vari Paesi delle due sponde, sull’onda di un appello promosso da Legambiente e lanciato insieme alla coalizione ambientalista croata “Sos Adriatico” e a molte altre associazioni, comitati, organizzazioni di pescatori e operatori balnerai, gruppi di cittadini. Ne è nato lo “#StopSeadrilling – No Oil”, un manifesto e un impegno comune, di massa, per la tutela del presente dell’Adriatico. I firmatari (circa 30 sigle) chiedono con un impegno su vasta scala, fra tutti i Paesi costieri, con il concorso di tutte le realtà istituzionali, politiche ed economiche delle sue coste, l’istituzione di aree sensibili e protette nell’alto, medio e basso Adriatico, per dare un quadro di certezza e di norme agli interventi necessari per la tutela e la valorizzazione della grande risorsa che questo mare costituisce. La manifestazione internazionale del 20 giugno si è svolta in contemporanea in tante località costiere italiane (tra cui Trieste, Caorle, Jesolo, Bibione, San Michele al Tagliamento, Rosolina, Ravenna, Pescara, Polignano), croate (tra cui Rovigno), bosniache, montenegrine e albanesi.
Anche le Marche e il capoluogo marchigiano hanno risposto all’appello. La mattina del 20 giugno, A Portonovo di Ancona, si è svolto un sit in nella zona belvedere a monte, vivacizzato da striscioni e slogan tipo “Stop alle trivellazioni in Adriatico”. “Il salto di qualità in negativo dello sfruttamento dei giacimenti di petrolio e gas sottomarino è una scelta insensata – ha sottolineato in quella occasione Francesca Pulcini, presidente di Legambiente Marche – per lo scarsissimo beneficio che porterebbe al fabbisogno italiano di queste fonti energetiche.
Tutto il greggio presente sotto il nostro mare, stimato in circa 10 milioni di tonnellate, sarebbe sufficiente, stando ai consumi attuali, al fabbisogno energetico di sole 8 settimane. La maggior parte del guadagno andrebbe a compagnie private. Gli eventuali e possibili danni ricadrebbero sulla collettività. Una strategia che sarebbe tra l’altro in contrasto con gli orizzonti delineati dalla Macroregione Adriatico-Ionica”. “Dobbiamo puntare su fonti alternative. I nostri vanno mantenuti così come sono da un punto di vista ambientale, turistico e del mare”, ha dichiarato Lanfranco Giacchetti, presidente Ente Parco del Conero.
Tra concessioni attive, permessi di prospezione e ricerca richiesti e rilasciati legati agli idrocarburi, sono circa 6200 i kmq al largo delle coste marchigiane nel mirino delle multinazionali, di cui 4.000 per il petrolio, il resto per il gas
Una la concessione operativa, con 3piattaformedella Edison e della Gas Plus Italiana nelle acque tra Civitanova e Porto San Giorgio. Sette le pratiche di autorizzazione in corso per la ricerca: 3 nel mare di Pesaro, di cui 1 per la Adriatic Oil (di 345 kmq), 1di Eni (di 343,50 kmq) e 1 per Enel Longanesi Developments (345,50 kmq); 1 per la Appennine Energy nelle acque tra Civitanova Marche e Grottammare (137,70 kmq); 1 in quelle tra Civitanova e Porto Sant’Elpidio (716,40 kmq), 1 al largo di San Benedetto del Tronto (744,60kmq) e 1 nel tratto tra San Benedetto e Giulianova (695,30 kmq), queste ultime 3 a beneficio dell’impresa del gruppo Enel Longanesi (sopracitata).
Unica la richiesta di permesso di ricerca, fatta da Enel Longanesi, per una tratto di mare di 529 kmq tra Pesaro e Falconara Marittima. Una sola richiesta per la prospezione, ma riguardante un’area ampia ben 14.510 kmq di fronte al lungo tratto comprensivo anche delle coste della nostra regione da Rimini a Termoli. In questo caso è certa la volontà di utilizzare in futuro la diffusa e modernissima tecnica di ricerca sismica “airgun”, basata su forti esplosioni di aria compressa nell’acqua di fondale. Una tecnica contestatissima dagli ambientalisti di tutto il mondo i quali sostengono che gli “spari di aria” sono dannosi al pescato, perché possono causare lesioni ai pesci, in particolare aicetacei e, soprattutto, la perdita dell’orientamento, tra le cause del loro spiaggiamento.Gli studi del Norvegian Institute of Marine Research calcolano una diminuzione del pescato anche del 50% intorno ad una sorgente sonora che utilizza “airgun”.
“Airgun”, dovrebbe essere usata anche da “Ombrina mare”, la mega piattaforma petrolifera di cui è prevista l’istallazione a 6 km dal litorale di San Vito, parte della bellissima Costa dei Trabocchi, in provincia di Chieti. Alta come un palazzo di 10 piani, dotata di 4 o 6 pozzi estrattivi,la piattaforma sarebbe collegata ad una enorme nave, insomma, una raffineria galleggiante, e a ben 42 km di condotte. Il Coordinamento popolare “No Ombrina” la considera una “opera mostruosa, con tecniche operative che non darebbero certezze sull’azzeramento del rischio di “danni nel sottosuolo, inquinamento di falde acquifere, sismicità”. “No Ombrina” teme anche “il rischio determinato dal processo di desolforizzazione del petrolio (separazione del gas, ndr.), con relativo rilascio in mare di materiale inquinato e acque contaminate” Per questi motivi il 23 maggio scorso il Coordinamenrto No Ombrina ha portato ben 60mila persone a protestare lungo le strade di Lanciano.
Tornando al mare antistante le Marche, le 7 richieste di permessi di ricerca rientrano nelle 44 in ballo in tutto l’Adriatico italiano, per un’area di 26mila kmq.
Per quanto riguarda le estrazioni di gas e gasoline – secondo i dati ministeriali- sono 10 le concessioni, per un totale di 35 pozzi produttivi al largo della zona centro-sud delle Marche: di cui 1 concessione Eni al largo di Falconara-Senigallia (numero pozzi non specificato); 2 Eni e 2 Eni/Edison con 12 pozzi al largo di Ancona e Riviera del Conero la cui centrale di raccolta e trattamento è a Falconara Marittima; 1 Eni con 9 pozzi al largo di Porto Recanati; 1 Edison/Gas Plus Italiana con 7 pozzi al largo tra Porto Potenza Picena (MC) e Torre di Palme (Fermo); 1 Edison/Gas Plus Italiana con 1 pozzo al largo di porto San Giorgio (FM); 1 Adriatica Idrocarburi con 2 pozzi al largo di Grottammare (AP); 1 Adriatica Idrocarburi con 3 pozzi al largo di Grottammare – Pineto;
Complessivamente, la parte italiana del mare sui cui gravitano gli interessi delle compagnie è di 55.595 kmq. In questo grande bacino sono già state autorizzate all’attività 69 (secondo i dati unmig) concessioni per estrazione di idrocarburi, di cui 6 per petrolio e 63 per gas. Nell’Adriatico croato le concessioni d’estrazione operative per idrocarburi sono 18, ben 29 i permessi di ricerca in fase di rilascio.
“La scelta di puntare su nuove attività di estrazioni di idrocarburi intrapresa da Croazia e Italia in primis, è miope, di breve durata ed anacronistica – dichiara Giorgio Zampetti, responsabile scientifico di Legambiente -. E’ in assoluto contrasto con ogni strategia contro i cambiamenti climatici e mette a rischio tutta l’economia sana. Riteniamo necessario la convocazione di un tavolo che coinvolga l’Italia, la Croazia e tutti i Paesi costieri per ragionare su una scala più vasta, al di là dei limiti territoriali nazionali, su quale deve essere il futuro del mare Adriatico, con le popolazioni locali, le associazioni ed i portatori di interessi a beneficio della collettività. Oggi abbiamo la possibilità di investire per un grande futuro per questo bacino che metta al centro la tutela della biodiversità marina, il rilancio dell’economia legata ad una pesca sostenibile e la promozione di una nuova idea di turismo legato al mare forte della eco-sostenibilità”.“Un ritorno alle trivelle sarebbe una trama adatta ad un film di inizi ‘900 – aggiunge Francesca Pulcini, presidente di Legambiente Marche -. Non possiamo ignorare la svolta energetica innovativa che anche la nostra regione sta vivendo, che vede protagoniste energie rinnovabili, produzione diffusa e risparmio energetico. Inoltre, siamo convinti che il futuro di questo territorio sia fatto di qualità ambientale per la crescita di economia, turismo, pesca sostenibile, agricoltura di qualità e produzioni tipiche. Per rendere le Marche più competitive, la scelta delle trivellazioni è sbagliata e fortemente dannosa, da qui il nostro appello ai nuovi Consiglieri e Giunta regionale affinché contrastino questa scelta scellerata del Governo nazionale”.
(articolo tratto da Urlo – mensile di resistenza giovanile)