MACERIE E DIGNITA’, TANTE LE FAMIGLIE CHE RESTANO
– ALEPPO (SIRIA) – reportage di Rubel Lagattolla
Aleppo è una città condannata a morte, ma che si aggrappa stenuamente alla vita. Lo chiedo ha molte persone per quale motivo si ostinino a restarci, anziché andarsene, lasciando la Siria come profughi o rifugiati poltici. La corda robusta che le lega alla loro terra è la corda della dignità. “Andare a finire in un campo per rifugiati e rischiare di rimanerci per due, tre, cinque anni, senza un permesso di lavoro, è peggio che starsene nella propria casa con il rischio di diventare martiri”, mi spiega Ahmed Nabulsi, uno dei pochissimi abitanti rimasti di Bab al Hadid, un quartiere che fa da fronte urbano tra le truppe dell’esercito di liberazione e quelle del regime. Anche la moglie di Ahmed, dopo qualche minuto di diffidenza, decide di sfogarsi: “E’ importante anche per i nostri bambini. Certo, qui rischiano. Ma almeno possono giocare coi loro compagni rimasti, conservare una specie di identità infantile, sebbene segnata dalla violenza”. Crescono sotto i bombardamenti, i bambini di Aleppo. Se ne vedono molti per la strada, alcuni a giocare, altri, meno fortunati perché diventati orfani, a raccogliere plastica da sotto le macerie, o a vendere sigarette per strada. Molti di loro hanno voglia di raccontare, ma le loro storie sono storie di sangue e di martiri. “L’altro giorno è caduto un barile proprio qui dove siamo – mi dice Jalal al Talani, 9 anni, residente nel quartiere di Hellok – E caduto il primo, noi eravamo qui in mezzo alla strada, e due miei amici sono rimasti uccisi, insieme ad altri adulti. Uno di loro aveva un occhio che gli era uscito fuori dalla faccia. Io sono scappato in casa perché non ce la facevo a guardare”. Jalal, con lo sguardo perso nel vuoto, un’espressione che faccio fatica a credere che appartenga ad un bambino della sua età, continua il suo racconto: “Dopo la prima esplosione sono arrivate subito molte persone per aiutare. E quando la strada si è riempita di soccorritori e di altra gente del quartiere, l’elicottero ha sganciato un altro barile e ha ammazzato tutti”.
I bambini finiscono per familiarizzare con le armi, normalissimo avere almeno una pistola in casa. Ogni giorno si sentono storie di ragazzini che prendono le armi dei genitori e per gioco o per incoscienza uccidono qualche membro della famiglia.Il 6 maggio, vicino Idlib, Ahmed al Halabi, 8 anni, ha lanciato una granata a frammentazione al padre. Il padre l’ha scampata, il fratello maggiore ha perso le gambe.
Anche io, al mio arrivo nel nostro alloggio, una casa abbandonata, ho trovato una pistola sul mio comodino, un po’ come la lettera di benvenuto che danno in certi alberghi.
La ricostruzione di Aleppo sarà lunga e costosa, se mai avverrà. La cittadella, la parte più antica, che si erge su una collina artificiale, risale al 5000 a. C.I primi insediamenti sono Ittiti. Settemila anni di storia, segnata da conflitti, ma iniziata con una delle prime civiltà dell’uomo. Civilità e storia cvile sembrano sparite sotto le macerie. E invece, come per miracolo, resistono. Resistono le ville ottomane del ‘400, gli Hammam, i bagni turchi, gli archi dell’antica Roma, vestigia ittite, greche. Nonostante le bombe non risparmino questi siti architettonici e archeologici. Con loro resiste ad Aleppo, come un sogno, la speranza di ricostuzione civile e di pace.
(tratto da Urlo – mensile di resistenza giovanile)