LE CONSIDERAZIONI MEDICHE
del dottor Giorgio Rossi (Oncologo)
“ Il fatto non sussiste”. Con questa motivazione, la Corte d’Appello di Torino, ribaltando la sentenza di primo grado del luglio 2016 (condanna per omicidio colposo), ha assolto tutti e tredici gli imputati del processo per venti operai morti, tra il 2008 e il 2013, per mesotelioma pleurico e/o carcinoma del polmone.
In attesa di conoscere le motivazioni della sentenza, la Corte d’Appello di Torino avrebbe raggiunto tale conclusione negando il cosiddetto “effetto acceleratore” .
Per le morti per tumori amianto-correlate ( in primis mesotelioma,ma anche cancro del polmone) dimostrare il nesso di causa non è sempre agevole in quanto complicato dal fatto che nelle biografie delle persone offese risultano esposizioni all’amianto plurime.
Ad esempio, spesso possono capitare le seguenti situazioni:
- che la persona abbia svolto la sua attività presso più aziende che impiegavano amianto nei propri processi produttivi;
- che la persona, pur avendo prestato la sua opera sempre presso la stessa azienda, ha avuto diversi datori di lavoro, che si sono succeduti nella titolarità della posizione di garanzia;
- che la persona per anni ha frequentato quotidianamente luoghi, magari la sua stessa abitazione, contaminati da amianto.
Insomma, in un processo per danni provocati dall’esposizione all’amianto, può capitare che l’esposizione rimproverata all’imputato costituisca solo una quota dell’esposizione complessiva sofferta dalla persona danneggiata nel corso della sua vita.
Pertanto al giudice il delicato compito di stabilire se quella quota di esposizione abbia in qualche modo contribuito all’insorgenza o allo sviluppo della patologia tumorale.
Quindi accertare l’esistenza del nesso di causa significa, essenzialmente, interrogarsi sull’impatto che ciascun periodo di esposizione sofferto dalla persona offesa nel corso della sua vita può avere avuto su concreto dispiegarsi del processo di cancerogenesi.
Una questione dibattuta dal punto di vista scientifico da più di venti anni.
Infatti alcuni epidemiologi sostengono la tesi del cosiddetto “effetto acceleratore” secondo cui il protrarsi dell’esposizione dopo il momento di innesco della patologia tumorale provocherebbe immancabilmente un’accelerazione del decorso della malattia e un’anticipazione del decesso, con conseguente sicura efficacia eziologica di qualsiasi dose di amianto inalata dalla persona che abbia poi contratto mesotelioma o cancro polmonare.
Ma non tutti gli scienziati concordano.
Alla terza ( ed ultima) Italian Consensus Conference on Malignant Mesothelioma del 2015 è stato affermato che “ l’esposizione cumulativa è stima dell’esposizione biologicamente rilevante, ma non consente di distinguere se il ruolo principale dipenda da intensità o durata dell’esposizione e non consente neppure di valutare la sequenza temporale dell’esposizione”.
Pertanto, verosimilmente, i giudici di Torino, negando l’”effetto acceleratore” e sulla base che il dirigente è considerato responsabile solo per i primi due anni di esposizione del lavoratore, hanno preso atto del fatto che i dipendenti erano stati colpiti dalla patologia in un periodo precedente a quello in cui erano stati in carica gli imputati.
Questione scientificamente e giuridicamente molto complessa e ancora molto aperta.