“Ankon borderline”, viaggio nel tempo

SAGGIO DI MASSIMO DI MATTEO

copertina Ankon Borderline– ANCONA – L’architettura deve rispettare il luogo, integrarsi con esso, ascoltare cioè il suo Genius loci. Lo sostiene Christian Norberg-Schultz nel suo saggio intitolato, appunto “Genius loci. Paesaggio ambiente architettura”. Una perla di saggezza, una specie di appello, che molti, troppi anconetani, e soprattutto la stragrande maggioranza dei loro amministratori locali, non hanno ascoltato e continuano ad ignorare. Tale, probabilmente, la chiave di lettura più profonda di “Ankon borderline – Miti secolari e storie di una città difficile”. Questo libro fresco di stampa (Il lavoro editoriale) dell’architetto anconetano Massimo Di Matteo, è scritto con il cuore. E con la scienza di una conoscenza certosina, documentatissima, intima e sofferta di quel processo di stratificazione storico-urbanistica che nel corso di oltre 2000 anni ha reso la città una sorta di bella impossibile. Una città che “è morta, ammazzata o suicida” e nonostante tutto “rinata migliaia di volte”, come afferma l’autore – anconetano per fortuna molto “sui generis” – nelle 13 righe d’incipit di questo suo lavoro. “Che fra i tanti libri su Ancona, è tra i pochi capaci di farci conoscere il suo carattere, la ricchezza dei suoi contesti architettonici e artistici e delle occasioni di “fare futuro” il più delle volte mancate”, ha sostenuto Michele Polverari, ex direttore della Pinacoteca comunale (autore della significativa introduzione), nell’incontro di presentazione di “Ankon Borderline” svoltosi il 23 ottobre scorso alla libreria Canonici di Ancona. Un’Ancona “bellissima e ironica” che “sa essere anche molto brutta e triste”, “sdrogia”, ovvero permeata di “una sciatteria quasi endemica”, per dirla con Di Matteo. Una città emotivamente instabile e afflitta da una tendenzialmente cronica perdita d’identità. Una città disturbata, come lo è in troppi casi la personalità dei suoi abitanti.

In questo saggio di storie e notizie – rilette e riproposte con nuova luce interpretativa, altrettanto spesso sorprendentemente inedite – Di Matteo ci conduce lungo un itinerario corredato da decine di preziose ed emblematiche immagini e fotografie. Un percorso che inizia dalla ribadita, sostanziale fondazione di matrice greca del 388-383 a.C. – operata dai Dori esuli dalla colonia Siracusa giunti sul gomito Ankon disegnato dalla natura sul mare – fino ai giorni nostri. Un itinerario ricchissimo, intrigante, emozionante e frequentemente impietoso. Dove viene una volta in più certificata la figura dell’imperatore romano Traiano, artefice del primo vero porto attrezzato, quale ispiratrice dello stemma civico, vengono reinterpretati in modo originale celebri opere pittoriche come “La visione del beato Gabriele Ferretti” o l’affresco del Pinturicchio raffigurante “L’Arrivo di Pio II ad Ancona” (solo per fare un paio di esempi). E dove spicca il lunghissimo elenco delle scempiaggini e delle scelte urbanistiche sbagliate che nel decennio 1950-1960, dopo le catastrofiche distruzioni belliche, hanno segnato una riedificazione e pseudo ripianificazione sconfinanti nell’anarchia, prive di un vero disegno, di un’idea di fondo. Tali da mortificare, nascondere e frequentemente cancellare, con demolizioni e cantieri fine a se stessi e votati al culto del brutto, l’enorme lascito del passato. Madre di tutte le colpe, la separazione desertificante della città da quel porto fortemente antropizzato in cui la Dorica era nata e da sempre prosperata. E poi, le altrettanto colpevoli mancate eppur possibili ricostruzioni di antiche chiese, edifici e complessi monumentali. Le opportunità, in gran parte mancate, di recuperare e valorizzare le scenografie urbanistiche martoriate dal sisma del 1972 durante la successiva operante progettualità.

Un libro scritto con dolore, passione. Ma con un amore tale da contaminare virtuosamente il lettore. In primis quello anconetano. Perché è lui, come soggetto storico, l’artefice principale dei fallimenti e delle secolari sofferenze di una città che ha portato allo smarrimento, e in cui ha finito per smarrirsi dal punto di vista identitario. Ancona bella impossibile? Non per Pasolini, che la descrive come “città semplice e felice, nonostante la brutta ricostruzione (post bellica, ndr.), bellissima, ma i cittadini sono tristi”.

Eppure il vento sta cambiando, “la risposta, amico sta soffiando nel vento” (Bob Dylan). La sala di Canonici era strapiena il 23 ottobre. Di gente disposta a tacere, ascoltare, riflettere. E quindi a “riconoscere le ininterrotte, magiche tracce (…) di una città” che “quando tace prima di riprendersi” riscopre “il Luogo che racconta la sua eternità”, come scrive Di Matteo, e “un giorno si scoprirà più saggia e forte”. Aiutata dal suo ritrovato Genius loci.

(articolo tratto da Urlo – mensile di resistenza giovanile)

 

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