“THE CUT”: PERFORMANCE DEL GUGU VOMEN LAB SUDAFRICANO
– di Francesco Mazzanti
All’inizio del terzo millennio al genere femminile non sono ancora riconosciute piena dignità e parità di diritti in tutte le articolazioni della società contemporanea globale. Anche nei Paesi dalle forti radici e tradizioni democratiche, alle donne non sono garantite pari opportunità e sono vittime di abusi e violenze di vario tipo. In molti Paesi del Sud del mondo e in via di sviluppo, le donne sono considerate essere umani discriminabili e discriminati, talvolta perfino semplici strumenti, oggetti. L’infibulazione, la scissione e il taglio del clitoride sono alimentati da culture arcaiche, intesi come mezzi per assicurare la fedeltà e la sottomissione delle donne. Lo scorso 23 maggio, la Casa delle Culture di Ancona ha ospitato lo spettacolo “The cut – Lo strappo”. Una performance recitata e sceneggiata dal Gugu Women Lab, un collettivo fondato in Sudafrica che da anni difende i diritti umani tramite l’arte e si batte anche e contro le mutilazioni genitali femminili. Una delle ideatrici del progetto-laboratorio è Valentina Acava Mmaka, giornalista e scrittrice, nata a Roma ma vissuta in Sudafrica fin dai tempi dell’Apartheid. “Bisogna innanzitutto spezzare lo stereotipo secondo cui la barbarie delle mutilazioni genitali femminili sia un rito solo religioso. E’ basato su un mix di tradizione, cultura e religione”, ha detto Acava Mmaka. Emblematici i dati da lei indicati: nel mondo, circa 140 milioni di ragazze hanno subito questo tipo di violenza; e 3 milioni di bambine rischiano ogni anno di subirla”. I Paesi più colpiti? “Quelli dell’Africa sub-sahariana. Ma anche Europa e Italia non sono immuni da questa piaga, le mutilazioni sono un abuso subito da molte, troppe giovanissime immigrate”.
Il 20 dicembre 2012 l’Assemblea generale dell’ONU ha approvato una risoluzione sulla messa al bando di questa pratica dolorosa, inutile e pericolosa per la salute fisica e psichica di chi la subisce. Un appello che però deve essere tradotto in modo concreto da parte degli Stati aderenti all’Onu attraverso l’approvazione di legislazioni e l’adozione di politiche mirate per arrivare entro il 2015 alla “tolleranza zero”. Fondamentale non solo il perseguimento dei responsabili in termini penali. Sono necessari anche prevenzione, educazione, dissuasione, protezione e assistenza alle vittime. Acava Mmaka: “Molte donne, soprattutto in Africa, subiscono passivamente la mutilazione perché avallate come normali dalla loro cultura nazionale. E per lo stesso motivo molte emigrate hanno paura di tornare nei loro Paesi di origine”. “Le donne devono sentire la necessità di aprirsi, parlare fra loro. – ha aggiunto Acava Mmaka -. E’ solo tramite il confronto con l’altro che si possono raggiungere risultati importanti”.
Risultati importanti si sono infatti ottenuti, a partire da una ventina di anni fa, a Malicounda Bambara, un villaggio del Senegal. Dove una dottoressa ha iniziato a spiegare alle donne le gravi conseguenze sanitarie che le mutilazioni comportano. Le donne, informate, hanno deciso non solo di vietare il rito alle loro bambine. Si sono poste come esempio da seguire, dandosi da fare per sensibilizzare le comunità di altri villaggi”.
Restando in tema di sensibilizzazione dell’opinione pubblica alcuni Paesi africani, come Burkina Faso, Benin, Niger, Costa d’Avorio, Mali hanno compiuto grandi prgressi nella lotta contro questo fenomeno, che si configura come un’aggressione dei diritti umani, un abuso irreparabile e irreversibile per le donne. E in questa battaglia l’arte può giocare un ruolo importantissimo. Il Gugu Women Lab utilizza soprattutto la scrittura, il racconto, come mezzi per restituire piena dignità al corpo e alla sessualità femminili. “In fondo i grandi cambiamenti, le rivoluzioni vengono sempre accompagnate, se non create, dall’arte. – sottolinea Acava Mmaka – Grazie alla scrittura le donne riescono a compiere percorsi individuali liberatori per ricucire lo strappo subito”.
(tratto da Urlo – mensile di resistenza giovanile)