“SOUVENIRS D’ANCONE” DA UN DIARIO
ANCONA – di Giampaolo Milzi – L’assedio di Ancona del 1860 e la storia raccontata dal punto di vista dei vinti, già di per questo, quindi, da un’ottica particolare. Ancor più particolare se il testimone oculare di ciò che accadde durante quei 12 bellicosi giorni – in cui l’esercito piemontese tenne stretto in una morsa, colpendolo duramente, il capoluogo marchigiano – è un francese di nobile casato, figlio di un marchese, ciecamente convinto della superiorità della fede cattolica e del potere temporale del Papa e della Corona. Un uomo formatosi politicamente e ideologicamente nel suo paese d’origine in ambienti ostilissimi all’ancora fresca ventata di rinnovamento apportata dalla prima Rivoluzione francese, poi a quella che nel luglio 1830 aveva insediato sul trono Luigi Filippo d’Orleans quale sovrano legittimo al posto di Carlo X di Borbone, e infine a quella del febbraio 1848 cui seguì l’istituzione della Repubblica. Militare di carriera fino al midollo, costantemente lealista borbonico (e per questo anche perseguitato e arrestato nel 1832), seduto nei banchi dell’estrema destra durante la sua esperienza di deputato, quest’uomo è Théodore de Quatrebarbes (Angers 1803 – 1871), protagonista di riflesso – con la sua sensibilità che oggi ci può apparire così lontana dalla nostra, ma tale da appartenere pienamente a un certo mondo ultra conservatore dell’epoca – di “Souvenirs d’Ancone”, originale saggio edito l’anno scorso da Affinità Elettive. Protagonista di riflesso perché il volume è la fedelissima traduzione della “Cronaca di un assedio” (quello di Ancona, appunto), come recita il sottotitolo. E cioè la versione in italiano del manoscritto, quasi un diario, che T. de Quatrebarbes stesso stilò nel 1866. Un ricordo minuzioso di quel tumultuoso periodo, dal 18 al 29 settembre, di cui fu testimone privilegiato, in quanto nominato dal generale La Moricière governatore civile della città dorica e suo primo aiutante nell’estrema difesa della stessa, resasi necessaria all’indomani della sconfitta a Castelfidardo delle truppe papaline ad opera di quelle del (ancora per poco) Regno di Sardegna.
La versione in italiano – operata in modo fedelissimo da Anna Rita Rota, e curata con grande esperienza dal pubblicista anconetano Claudio Bruschi (ex ufficiale di Marina) – al di là degli aspetti tecnico-militari, rappresenta una nuova possibilità, un prezioso contributo per la conoscenza della storia cittadina e della città in coincidenza con uno degli episodi più importanti del Risorgimento italiano (e ciò non è abbastanza sottolineato nella storiografia, più incline a celebrare la battaglia di Castelfidardo).
Minuziose e fedeli le ricostruzioni dei fatti d’arme: le prime scaramucce a Pietralacroce, la battaglia di Monte Pelago, la conquista del Lazzaretto, il bombardamento navale che consentì ai piemontesi di centrare la Lanterna al porto con la conseguente devastante esplosione della vicina polveriera, fino alla resa dei difensori. Ma, in particolare nel secondo capitolo, scorrono pagina dopo pagina altre immagini, descrittive delle caserme, dei punti di approvvigionamento, delle fontane. E tra i “Souvenirs d’Ancone” spicca, quasi come una cartolina, l’allora Vallata degli Orti (oggi l’asse urbanistico del viale della Vittoria), che il governatore Quatrebarbes descrive come “un vero giardino” prodigo di frutta e pozzi, da dove le contadine si recavano in centro passando per Porta Farina (oggi scomparsa, all’epoca in fondo a via Matteotti, vicino a Piazza del Papa). Un resoconto dal piglio romantico, anche quando si sofferma sulle bellezze architettoniche e le perle d’arte cittadine da tutelare, in quei pericolosi frangenti, da “un barbaro come il re piemontese Vittorio Emanuele”.
Il giudizio complessivo sul manoscritto non può non evidenziare la forte mancanza d’obiettività nelle parti riguardanti le tattiche e strategie militari messe in campo, tali da sfociare in vera e propria adulazione per il generale La Moricière (in realtà colpevole di molteplici errori e quindi fortemente responsabile della sconfitta papalina). Né il giudizio può non stigmatizzare le considerazioni politiche sull’atmosfera idilliaca in cui gli anconetani avrebbero vissuto in quel 1860 sotto un governo pontificio in realtà oppressivo, vessatorio, repressivo, poliziesco, e per giunta dopo dieci anni di durissima occupazione militare austriaca.
“L’invito al lettore è di sfrondare quindi l’opera da tutti gli orpelli faziosi e dalle manifestazioni di fede per la religione e per il Generale (La Moricière) – come scrive il curatore Bruschi alla fine della prefazione – e di godersi il testo per quello che è, un inedito e appassionato racconto “storico” dell’assedio avvenuto in un’Ancona ottocentesca che non esiste più”.
(articolo tratto da Urlo – mensile di resistenza giovanile)