“Attenti del Gorilla”: uso di marijuana e religione “rasta”

LA CASSAZIONE ACCOGLIE IL RICORSO DI UN ADEPTO “RASTA” CHE AVEVA INVOCATO MOTIVI DI CREDENZA RELIGIOSA

di Avv. Valentina Copparoni (Studio Legale associato Rossi- Papa-Copparoni di Ancona)

marijuana.jepgQuesta settimana la nuova rubrica di F&D Magazine “Attenti al Gorilla” (leggi qui la presentazione) “ospita” una sentenza di qualche anno fa, più precisamente del 3 giugno 2008, della sesta sezione penale della Cassazione penale.

Con il provvedimento la Suprema Corte ha accolto il ricorso di un soggetto, che si era dichiarato praticante della fede Rastafari, contro la condanna a 1 anno e 4 mesi di reclusione e 4 mila euro di multa per detenzione a fine di spaccio di marijuana inflittagli dalla Corte di appello di Perugia nel 2004. I carabinieri, infatti, lo avevano trovato con circa un etto di “erba”, ma l’uomo ha sempre sostenuto di essere un rastafariano e di fumare l’erba in base ai precetti della sua religione che ne consentono l’uso quotidiano anche di 10 grammi al giorno.
In particolare la Suprema Corte ha ritenuto fondato il ricorso con riferimento al fatto che i giudici della Corte di appello di Perugia, e prima ancora quello di primo grado di Terni, non avevano considerato in maniera adeguata la religione di cui l’imputato si era dichiarato praticante, ossia la rastafariana, escludendo pertanto che potesse detenere per uso esclusivo personale un quantitativo rilevante di marijuana sfusa da cui potevano ricavarsi 70 dosi droganti.
Si legge nella sentenza della Cassazione che “secondo le notizie relative alla caratteristiche comportamentali degli adepti di tale religione di origine ebraica, la marijuana non è utilizzata solo come erba medicinale, ma anche come “erba medicativa”, come tale, possibile apportatrice dello stato psicofisico teso alla contemplazione nella preghiera, nel ricordo e nella credenza che l’erba sacra sia cresciuta sulla tomba di re Salomone – chiamato “il re saggio” – e da esso ne tragga la forza”.

In altri termini ed in termini più strettamente giuridici, la Cassazione ha deciso di annullare la sentenza con rinvio alla Corte di appello di Firenze (quale giudice di rinvio competente) per aver fondato la condanna del ricorrente solo sulla base del “semplicistico richiamo al dato ponderale della sostanza”, trascurando invece di valutare le “modalità comportamentali del “rasta” che subito si era dichiarato praticante di tale fede ed aveva spontaneamente consegnato ai militari la sostanza in possesso tra l’altro sfusa e non preconfezionata, elemento che avrebbe potuto portare ad escludere l’uso ai fini dello spaccio in favore do quello esclusivamente personale.

Dagli elementi emersi nel corso del procedimento penale e sottoposti all’attenzione degli ermellini anche con il ricorso dell’imputato, dunque, dovevano essere attentamente rivalutati alcuni elementi e dati fattuali, tra cui la fede di cui si era dichiarto adempto il ricorrente,  al fine di verificare in concreto l’uso esclusivamente personale (e come tale non punibile penalmente) della marijuana da parte dello stesso.

Come al solito lascio ai lettori ogni possibile ed eventuale commento…alla prossima puntata!

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