di Alessandro Faralla (Responsabile Cultura e Spettacoli F&D)
Mentre il Joker di Joaquin Phoenix, vincitore del Leone D’oro a Venezia, è nelle sale e non smette di far parlare di sé, nell’anno delle celebrazioni degli 80 anni di Batman vi è una ricorrenza nella ricorrenza: il Batman di Tim Burton compie 30 anni e il 20 ottobre del 1989 faceva il suo debutto nelle sale italiane.
Quello che oggi è considerato il primo e vero cinecomic dell’era moderna dopo tre decenni continua ad essere un opera indelebile. Innanzitutto fu un grande successo commerciale, il budget (inizialmente di 20 milioni) di 48 milioni venne abbondantemente superato dagli incassi finali, più di 400 milioni di dollari in tutto il mondo, dopo una gestazione non semplice: il progetto durò circa dieci anni e a riprese in corso, nel 1988, dovette affrontare lo sciopero degli sceneggiatori.
Il Batman di Tim Burton non è la classica storia di origini sull’uomo pipistrello, lo spettatore conoscerà il personaggio e la sua attività da vigilante proprio come i malviventi e i cittadini di Gotham. Non abbiamo coordinante a cui aggrapparci: dove si è allenato, come si è procurato il costume e quella macchina che già allora e nel contesto del film sembrava un’opera d’arte.
È una figura spettrale che appare all’improvviso nascosta tra i fumi e il grigiore di una città che si sviluppa e si contrae su se stessa come due forze opposte e magnetiche, con palazzi infiniti e altissimi, astratti e bizzarri proprio come Batman e Joker, generati da un trauma che li trasformerà in due individui in lotta per emergere dal vuoto e dall’anonimato.
Identità soppresse che a loro modo cercano di affermarsi tra le tenebre e dall’oscurità riflesse in una scenografia, valsa il premio Oscar nel 1990 ad Anton Furst e Peter Young che mescola stili architettonici (gotico, noir, espressionismo, ambientazioni carcerarie) per affascinare e generare inquietudine a chi guarda.
Il Joker di Jack Nicholson reagisce a tale realtà facendosi artista, un gangster dadaista desideroso di apparire. Ancora prima di cadere nell’acido e ritrovarsi con quel ghigno perenne, il criminale Jack Napier si distingueva dalle tonalità funeste prediligendo il colore come forma d’espressione. Un Joker senza scopi politici o filosofici, semplicemente desideroso di apparire, e se nel cammino deve uccidere o qualcuno accidentalmente muore poco importa.
Sovvertire o meglio definire da sé la propria immagine; le cicatrici, il volto sfigurato vengono ostentati, Joker vuole essere il protagonista di un mondo già abbastanza tetro per accettare uno come Batman.
“Batman… Batman… C’è qualcuno che sa dirmi in che razza di mondo stiamo vivendo? Dove un uomo si traveste da pipistrello? E si frega tutta la mia stampa?”
Joker si pone quindi come un moderno influencer, irrompe nelle dirette televisive, mette il suo volto sui prodotti commerciali, diventa il testimonial istrionico del nuovo che avanza, non a caso le musiche pop ballabili di Prince sono destinate al suo personaggio, in contrasto con le tonalità classiche e solenni di Danny Elfman.
La figura del clown è decisiva così per legittimare l’esistenza dell’uomo pipistrello, una figura potenzialmente ambigua e paranoica al pari del villain, esteticamente non così appariscente e cool da guardare, eppure sufficientemente ingombrante da generare invidia nel clown (“Ma dove li pesca quei magnifici giocattoli?”)
Al pari di Joker anche questo Batman ha bisogno di essere riconosciuto dall’habitat in cui si muove, restare nell’ombra e al contempo essere riconoscibile nell’immaginario. La figura che appare dal nulla chiede minaccioso ad un ladruncolo sul tetto di parlare a tutti i criminali di lui.
“No, non ti ucciderò. Voglio che tu mi faccia un favore: devi parlare di me a tutti i tuoi amici”
Il Batman raffigurato da Tim Burton è un personaggio ambiguo, sfuggevole al pari del suo alter ergo, un miliardiario con sfumature bipolari e riflessivo. Inoltre fin ad oggi è la versione che più entra nella quotidianità del principe di Gotham, osservandolo in momenti intimi e introspettivi all’interno di uno scenario domestico e malinconico.
L’aspetto più interessante del Batman di Michael Keaton è la psicologia, più che le modalità di combattimento o le caratteristiche fisiche emerge la lotta personale nell’abbracciare la figura che è diventato, apparendo come ancora indefinito rispetto alla sua missione.
Lo dichiara esplicitamente quando Vicky Vale entra nella caverna.
“Senti, a volte anch’io non so cosa pensare di questo… Però è qualcosa che devo fare.
Perché?
Perché altri non possono. Senti… ho cercato di evitarlo, sai? Non c’è verso. Così va il mondo… non è un mondo perfetto”
Nel mondo, imperfetto e inclassificabile, di Tim Burton in definitiva non vi è posto per due freak o mostri: se Batman ha creato il Joker e viceversa come affermano entrambi nell’atto finale del film è in virtù di un realtà impossibile da governare, allora per sopravvivere e uscire da freddi e strettissimi cunicoli, è meglio confidare in un simbolo, in qualcuno che non vedi e che puoi temere, piuttosto che lasciarsi assuefare da una risata liberatoria e senza fine.