UN’ANALISI DELLA FATTISPECIE DI CORRUZIONE IN ATTI GIUDIZIARI PER CUI SI INDAGHEREBBE
di avv. Tommaso Rossi (Studio Associato Rossi-Papa-Copparoni)
Non c’è pace per Berlusconi. Dopo l’uscita di scena dal Parlamento con il voto sulla decadenza, dopo la margherita milanista “Galliani-no/Galliani-sì” sfogliata assieme alla figlia Barbara, giunge la notizia che i giudici milanesi che hanno condannato Fede, Lele Mora e la Minetti nel processo cd “Ruby bis”, hanno nelle motivazioni della sentenza sollecitato la Procura a procedere ad indagini nei confronti dell’ex premier per corruzione in atti giudiziari, assieme tra gli altri anche ai suoi legali Piero Longo e Niccolò Ghedini.
«Il pagamento mensile regolare di una somma di denaro» da parte di Berlusconi alle ragazze ospiti della villa di Arcore, che poi sono state sentite come testimoni nel processo, rappresenta «un inquinamento probatorio». Il versamento di 2.500 euro al mese «a soggetti che devono testimoniare in un processo nel quale colui che elargisce la somma è imputato, nonchè in altro processo all’esito del quale colui che elargisce la somma è interessato, in quanto vicenda connessa alla sua, non è una anomalia, ma un fatto illecito. Un inquinamento probatorio».
Sempre secondo i Giudici del Tribunale di Milano, Nicole Minetti è giudicata colpevole di favoreggiamento della prostituzione perchè «svolgeva un fondamentale e continuativo ruolo di intermediazione nella corresponsione di stabili erogazioni economiche alle donne che abitavano in via Olgettina, emolumenti che avevano indubbia natura di corrispettivo per l’attività di prostituzione svolta» ed «era disponibile per Berlusconi, in virtù del rapporto di fiducia-amicizia-interesse-amore (?) che la univa a lui».
Anche per Ruby i giudici hanno trasmesso gli atti alla Procura per verificare se l’accusa di corruzione in atti giudiziari possa valere anche per lei. I giudici parlano di «vari pagamenti in contanti e bonifici che Ruby incominciava a ricevere periodicamente; si valuterà – spiegano – se sussista connessione causale tra i pagamenti e le varie dichiarazioni di Ruby».
Le motivazioni della sentenza dei GIudici milanesi, dispiegano quale fosse il ruolo di Emilio Fede e Lele Mora: questi «intrattenevano rapporti finalizzati a selezionare e procurare donne che potevano incontrare i gusti di Silvio Berlusconi e a organizzare e-o facilitare l’incontro di queste con l’ex premier». In particolare Fede, condannato in primo grado a 7 anni di reclusione, viene definito “il burattinaio” dell’operazione.
L’analisi giuridica.
– Che cos’è il reato di corruzione in atti giudiziari.
Il reato di corruzione in atti giudiziari consiste nella condotta del pubblico ufficiale che per compiere un atto del proprio ufficio oppure per omettere, ritardare, o per aver commesso o ritardato un atto del suo ufficio ovvero per compiere o aver compiuto un atto contrario ai doveri di ufficio, riceve per sé o per un terzo denaro o altra utilità o ne accetta la promessa e ciò allo scopo di favorire o danneggiare una persona in un processo civile, penale o amministrativo.La pena prevista dall’art. 319 ter c.p. è quella della reclusione da 3 ad 8 anni ma la pena è più severa (reclusione da 4 a 12 anni) se dal fatto deriva l’ingiusta condanna di qualcuno alla reclusione non superiore a cinque anni mentre se se ne deriva l’ingiusta condanna alla reclusione superiore a cinque anni o all’ergastolo, la pena prevista è la reclusione da 6 a 20 anni. In questo caso la promessa di una somma di danaro sarebbe stata fatta per compiere atti contrari ai doveri d’ufficio del testimone. La pena prevista per il pubblico ufficiale (in questo caso il testimone) corrotto si applica anche al privato corruttore.
La Cassazione prevalente, peraltro, ritiene che possano coesistere il reato in questione con quello di falsa testimonianza, previsto dall’art. 372 c.p. e punito con la reclusione da 2 a 6 anni. Tale reato punisce la condotta di chi, deponendo come testimone innanzi all’Autorità Giudiziaria, affermi il falso o neghi il vero, oppure tace in tutto o in parte ciò che sa riguardo i fatti per cui viene sentito.
– Individuiamo le differenze con altri reati di tipo corruttivo, primo tra tutti la corruzione, che può essere di due tipi:
La corruzione per un atto d’ufficio (art. 318c.p.): c.d. “corruzione impropria”. Ne risponde il Pubblico ufficiale o l’incaricato di Pubblico servizio che riceve, per sè o per un terzo,denaro o altra utilità, una retribuzione non dovuta o ne accetta la promessa per compiere un atto tipico del suo ufficio. La pena (che in questo caso, a differenza della concussione, si applica sia al corrotto che al corruttore) va da sei mesi a 3 anni. Nel caso di atto già compiuto (corruzione susseguente) la pena è della reclusione fino ad un anno . In entrambi i casi, non è consentito l’arresto in flagranza e si possono applicare solo misure cautelari non custodiali.
Corruzione per un atto contrario ai doveri d’ufficio(art. 319): c.d. corruzione propria. Ne risponde il Pubblico ufficiale o l’incaricato di P.S. che riceve, o accetta la promessa, per sè o altri denaro o altra utilità, per omettere o ritardare un atto del suo ufficio o per fare un atto contrario ai doveri del suo ufficio. La pena per il corrotto e per il corruttore va dai 2 ai 5 anni, e sono consentiti sia l’arresto in flagranza che la misura cautelare della custodia in carcere. E’ inoltre prevista l’aggravante (che importa un aumento di pena nel caso in cui il fatto ha per oggetto la stipulazione di contratti in cui sia interessata l’amministrazione alla quale il Pubblico ufficiale appartiene.
– Va poi analizzata l’istigazione alla corruzione:
L’originaria formulazione dell’art. 322 c.p. disponeva che chiunque offriva o prometteva denaro od altra utilità non dovuti ad un pubblico ufficiale , per indurlo a compiere un atto del suo ufficio, soggiaceva, qualora l’offerta o la promessa non fosse accettata, alla pena stabilita nel primo comma dell’articolo 318, ridotta di un terzo. Ai sensi del secondo comma, la pena di cui al primo comma si applicava al pubblico ufficiale che sollecitava una promessa o dazione di denaro od altra utilità da parte di un privato per le finalità indicate dall’articolo 318. L’istigazione alla corruzione è una fattispecie autonoma di delitto consumato e si configura come reato di mera condotta, per la cui consumazione si richiede che il colpevole agisca allo scopo di trarre una utilità o di conseguire una controprestazione dal comportamento omissivo o commissivo del pubblico ufficiale, indipendentemente dal successivo verificarsi o meno del fine cui è preordinata la istigazione.
A seguito dell’entrata in vigore della legge 190/2012, il nuovo art. 322 c.p. recita: “Chiunque offre o promette denaro od altra utilità non dovuti ad un pubblico ufficiale o ad un incaricato di un pubblico servizio, per l’esercizio delle sue funzioni o dei suoi poteri, soggiace, qualora l’offerta o la promessa non sia accettata, alla pena stabilita nel primo comma dell’articolo 318, ridotta di un terzo.
Se l’offerta o la promessa è fatta per indurre un pubblico ufficiale o un incaricato di un pubblico servizio ad omettere o a ritardare un atto del suo ufficio, ovvero a fare un atto contrario ai suoi doveri, il colpevole soggiace, qualora l’offerta o la promessa non sia accettata, alla pena stabilita nell’articolo 319, ridotta di un terzo.
La pena di cui al primo comma si applica al pubblico ufficiale o all’incaricato di un pubblico servizio che sollecita una promessa o dazione di denaro o altra utilità per l’esercizio delle sue funzioni o dei suoi poteri.
La pena di cui al secondo comma si applica al pubblico ufficiale o all’incaricato di un pubblico servizio che sollecita una promessa o dazione di denaro od altra utilità da parte di un privato per le finalità indicate dall’articolo 319”.
– Recente novità legislativa è rappresentata dal “traffico di influenze illecite”.
La L. n. 190/2012 introduce l’ nuovo art. 346 bis cp rubricato “Traffico di influenze illecite”, ai sensi del quale si prevede la punibilità, con la pena della reclusione da uno a tre anni, di chiunque, fuori del caso di concorso nei reati di cui agli artt. 318, 319 e 319 ter c.p., sfruttando relazioni esistenti con un pubblico ufficiale o con un incaricato di un pubblico servizio, indebitamente fa dare o promettere, a sé o ad altri, denaro o altro vantaggio patrimoniale, come prezzo della propria mediazione illecita, ovvero per remunerare il pubblico ufficiale o l’incaricato di un pubblico servizio.
Il medesimo trattamento sanzionatorio si applica a chi, indebitamente, dia o prometta denaro o altro vantaggio patrimoniale.
La pena è aumentata, ai sensi del terzo comma, se il soggetto che indebitamente fa dare o promettere, a sé o ad altri, denaro o altro vantaggio patrimoniale, riveste la qualifica di pubblico ufficiale o di incaricato di un pubblico servizio. La pena è, altresì, aumentata se i fatti sono commessi in relazione all’esercizio di attività giudiziarie mentre, se i fatti sono di particolare tenuità, la pena è diminuita.
– In che consiste il reato di istigazione di un indagato a fare dichiarazioni false all’autorità giudiziaria?
Il reato è previsto dall’art. 377 bis del nostro codice penale che prevede la reclusione da 2 a 6 anni, salvo che il fatto costituisca più grave reato, per chiunque con violenza o minaccia o con offerta o promessa di denaro o altra utilità, induce a non rendere dichiarazioni o a rendere dichiarazioni mendaci a persona chiamata a rendere davanti all’autorità giudiziaria dichiarazioni utilizzabili in un procedimento penale, quando questa ha la facoltà di non rispondere. Il reato è procedibile d’ufficio.