IL LIBRO DI STEFANO BERTI E LUCIANO NOBILI
– ANCONA – di Giampaolo MIlzi –
Immaginate di essere catapultati indietro nel passato, dentro una macchina del tempo di Ancona che vi conceda alcune tappe, in alcuni soleggiati fine settimana di fine ‘800 e dei passati decenni del ‘900, nell’allora bellissimo territorio cittadino. Il primo atterraggio non è casuale. Vi stropicciate gli occhi, il calendario segna “Domenica 25 giugno 1882”, salite al volo sul tram a cavalli, che vi porta dritti al capolinea del rione Archi. Scendete, c’è una gran folla di signori elegantoni vestiti in stile Belle époque, non vedono l’ora di entrare nello stabilimento balneare Marotti, che inaugura proprio quel giorno i suoi lussuosissimi servizi e i suoi capanni disposti a stecca sulle palafitte. Dopo un giro in mare su una lancia spintasi fino a Palombina, appena tornati la vostra guida spazio-temporale vi riposiziona nel suo avveniristico veicolo… Pochi secondi, adesso siete catapultati negli ani ‘20 del XX secolo, in una radura erbosa sopra il Passetto. Un tizio vi invita ad unirvi a un gruppo di bagnanti che sta per scendere lungo lo “scalandrone” di legno per raggiungere la spiaggia. Avete ancora negli occhi il caratteristico panorama offerto dalla rupi di Gallina, dalla grotte alla Seggiola del Papa, quando il viaggio riprende e, una decina d’anni dopo, vi ritrovate all’idroscalo del porto. Il comandante, in qualità di eccezionali ospiti provenienti dal futuro, è onorato di farvi salire a bordo dell’idrovolante MC94 Macchi che sta per decollare per raggiungere Zara. Andata e ritorno, che sballo. Il tempo scorre veloce ancora in avanti, anno 1959, ora siete a Portonovo, in attesa della motonave proveniente da Numana, impazienti di imbarcarvi per tornare con altri gitanti sulla banchina del capoluogo dorico.
Ecco, ci è parso di aver vissuto questa storia fantastica eppur magicamente realistica, sfogliando le pagine de “I mari di Ancona” (edito nel giugno scorso dalla Tipografia Copergrafica), un libro che si rivela davvero come un viaggio nel passato. E da quel passato, come recita il sottotitolo, vi porge “un saluto da.. Portonovo-Passetto-Palombina Nuova… e dintorni”, attingendo a “storia, testimonianze e immagini”. Mirando a cogliere anche e soprattutto “aspetti poco noti, se non inediti (…) con prevalente riferimento alle nostre storiche spiagge (…) trasferendo verso tutti voi (lettori, ndr.) le nostre emozioni”, (dall’introduzione). Obiettivo pienamente centrato dai due autori anconetani. Grazie alle cartoline d’epoca che Stefano Berti ha selezionato dalla sua monumentale raccolta e ai didascalici ma intriganti testi frutto della ricerca storica di Luciano Nobili. Il quale, per evocare la Portonovo del 1872, ricorre alle parole usate dal poeta e drammaturgo Filippo Barattani, reduce da una discesa ai piedi del dirupo: “Un vero cantuccio d’Arcadia”. Già un piccolo mondo idilliaco, con la chiesa romanica di Santa Maria ancora conservatasi come un fiore sacro germogliato dalle rocce, la Torre (oggi De Bosis) fatta costruire nel 1716 da Papa Clemente XI per proteggere la baia incantata dagli assalti dei pirati turchi, il Fortino Napoleonico non ancora trasformato in hotel, qualche casa colonica di contadini, l’area verso l’attuale molo riempita da una vasta palude testimoniata attualmente dai due residui laghetti. Raggiungere via terra Portonovo era un’impresa, in pochissimi si avventuravano giù per i sentieri o per la mulattiera. Le foto raccontano di turisti pionieri motorizzati nei primi del ‘900, delle capanne di pietra bianca erette dai pescatori a partire agli anni ’40. Poi, tra la fine degli anni ’50 e i ’60, la grande trasformazione, con le corriere e la nuova strada d’accesso, l’inaugurazione della prima trattoria, quella di Emilia, fino all’arcadia turistica e molto più antropizzata, ma sempre iper-suggestiva di oggi.
Il capitolo dedicato al Passetto ci regala le immagini della costruzione della grande scalinata nel dopoguerra, dei primi stabilimenti su palafitte negli anni ’50, delle grotte con gli scivoli a mare, della gente che si spingeva con le barche a pescare fino allo scoglio di San Clemente prima che scomparisse sotto il livello delle acque. Quello riguardante il porto ce lo riconsegna com’era prima che l’omonimo rione con la piazza e la chiesa di San Primiano, la Barriera Gregoriana e tanti edifici medievali venissero spazzati via dai bombardamenti del 1943-1944, con le barche ormeggiate allo scalo Vittorio Emanuele e con la zona del Mandracchio meta di tuffi e nuotate. Già, la spiaggia, anzi le spiagge, a due passi dal porto. Lo stabilimento Marotti attivo fino al 1909, quando venne interrato per realizzare lo scalo e la rete ferroviaria. A cento metri c’era il più popolare Bagno Moretti; poco più su, nei pressi della stazione FS, di fronte al rione della Palombella, la spiaggia con renella e sabbia “Della Salute”, prima bollata come lido “dei poveri”, poi via via sempre più frequentata da tutti perché bellissima, con qualche capanno, lo stabilimento Carradori negli anni ’30 e la fermata del tram, prima di cedere il posto alla zona industriale dello scalo marittimo. Berti e Nobili ci prendono per mano, in direzione nord, per una sosta, nei primi del 900, all’importante porticciolo peschereccio di Torrette. E poi, ancora avanti, fino ad avvistare le prime villette spuntate negli anni ‘20 nella campagna di Palombina Nuova, a visitare la stazioncina ferroviaria, ad attraversare il cavalcavia – realizzati pochi anni prima – per raggiungere la spiaggia. Un litorale, dai primi del ‘900, sempre più meta di massa, con stabilimenti in serie, ristoranti, colonie per bimbi, e frequentatori in posa per le foto, ma ben coperti, con abiti lunghi e cappelli, in omaggio alla morale dell’epoca.
Un libro da vedere come un vecchio film in bianco e nero e di cui ascoltare le memorie. Che lascia un pizzico di nostalgia per tutto ciò che di romantico lungo l’Adriatico anconetano non c’è più, soppiantato dalle esigenze della moderintà. Un libro dall’effetto molto amarcord. Ma soprattutto una certosina ricostruzione storica che guarda al presente e al futuro, spronandoci a preservare e valorizzare quel tanto di bellissimo che è ancora rimasto ad affacciarsi sui mari di Ancona.
(tratto da Urlo – mensile di resistenza giovanile)