IL NOTAIO CI PORTA ALLA SCOPERTA DI UN ISTITUTO TROPPO SPESSO DIMENTICATO
di dott. Stefano Sabatini (Notaio)
Viviamo, purtroppo per noi, in un triste periodo di profonda crisi quale forse il nostro Paese non ha mai conosciuto e siamo bombardati di notizie terribili in specie per quanto riguarda la disoccupazione soprattutto giovanile. Giustamente il Presidente della Confindustria indica nel ritorno al manufatturiero una soluzione per una possibile ripresa, così come da altri pervengono proposte varie, ma quasi mai sentiamo parlare, forse a causa di remore ataviche, della agricoltura.
Il nostro Paese nasce agricolo e l’agricoltura rappresenta un’eccellenza : girando l’Italia possiamo ammirare l’eleganza dei nostri campi, coltivati come dei giardini e apprezzare la professionalità dei nostri coltivatori. I nostri prodotti sono apprezzatissimi nel mondo e rappresentano una buona parte del nostro PIL.
Pur riscontrandosi un incremento di occupazione nel settore alquanto sensibile, l’agricoltura non è percepita come un’occupazione concreta, positiva e soddisfacente, come in effetti è, ma sono sicuramente insufficienti promozioni ed incentivi, sia a livello nazionale che europeo. Ecco perché da queste pagine vorrei lanciare una proposta, forse provocatoria, che ritengo possa rappresentare comunque una possibilità di ripresa dell’occupazione soprattutto giovanile, ma anche di sfruttamento di quelle migliaia di ettari di terreno che, pur irriguo, non vengono coltivati :
L’ENFITEUSI
La sua origine è molto antica e affonda le sue radici nella funzione economica e sociale di correttivo della concentrazione della proprietà per l’applicazione più economica dell’agricoltura intensiva. Già conosciuta nel diritto romano come locatio degli agri vectigales, per la quale i terreni statali o dei collegi sacerdotali venivano locati a singoli o comunità in perpetuo o a lungo tempo, si trasformò nel tempo adeguandosi ai vari periodi storici, fino al diritto giustinianeo con il quale assume la funzione più vicina al moderno istituto, presentando caratteri di perpetuità, di applicabilità a vaste estensioni, di accessibilità anche a non coltivatori diretti e definendo esattamente la funzione economica del miglioramento dei fondi.
Tralasciando le innumerevoli vicende storiche dell’istituto, veniamo all’attuale disciplina di cui al TITOLO IV – artt. 957 e seguenti, dell’attuale codice civile che, pur non fornendo una definizione di enfiteusi ne regolamenta durata, diritti ed obblighi.
Soggetti del rapporto enfiteutico sono concedente ed enfiteuta:
concedente – può essere persona fisica od anche giuridica (art. 977 c.c.) – è chi concede un diritto reale sulla cosa e quindi deve esserne il pieno proprietario o colui che al medesimo succede per successione mortis causa o per trasferimento inter vivos (vendita, donazione, divisione, ecc.). Il diritto di proprietà resta in capo al concedente, ma viene in qualche modo compresso e limitato dal diritto dell’enfiteuta al quale spetta il godimento del fondo ed in particolare delle sue utilità economiche. Il concedente ha il diritto di veder migliorato il fondo e di ricevere il canone di cui parleremo tra poco ed ha, a mente dell’art. 969 c.c., il diritto di ricognizione dell’enfiteusi, il diritto, cioè, a veder riconosciuto il proprio diritto di proprietà da chi si trovi nel possesso del fondo enfiteutico, un anno prima del compimento del ventennio (ciò al fine di evitare l’usucapione ove, successivamente alla concessione dell’enfiteusi siano avvenuti atti d’interversione del possesso).
enfiteuta è il soggetto titolare dello ius emphiteuticum : ha gli stessi diritti che avrebbe il proprietario sui frutti del fondo (art. 959 cc) ed è obbligato al pagamento del canone e al miglioramento del fondo, del quale ha diritto di godimento in via esclusiva, con potere quindi di modificarlo a suo piacimento, anche costruendovi manufatti e fabbricati, ma sempre al fine del miglioramento dello stesso. L’obbligo di migliorare richiede una costante attività da parte dell’enfiteuta, tenuto a mirare al progressivo sviluppo delle colture e, in genere, dello stato del fondo, sia con l’applicazione delle aggiornate tecniche agrarie, sia mediante innovazioni o trasformazioni e, laddove si configuri un deterioramento, a porre in essere le giuste misure per eliminarlo. A mente dell’art. 1077 cc l’enfiteuta ha anche il diritto di costituire servitù a carico o a favore del fondo enfiteutico; in caso di cessazione dell’enfiteusi, le servitù a carico del fondo si estinguono mentre quelle a favore restano a beneficio del proprietario a seguito della consolidazione del diritto di proprietà.
Oggetto del rapporto enfiteutico
Il codice indica quale oggetto il ‘fondo’, non offrendo quindi una definizione precisa, ma limitandosi ad usare tale termine nel corso dei vari articoli che regolano l’enfiteusi : dottrina e giurisprudenza, quindi, in assenza di tale definizione, hanno ritenuto che possano formare oggetto di enfiteusi sia i fondi rustici, più propriamente destinati a scopi agricoli, sia i fondi urbani e loro pertinenze.
L’enfiteusi si costituisce per atto tra vivi e quindi con contratto o per testamento.
Si discute se sia possibile la costituzione per donazione, in quanto l’obbligo del pagamento del canone escluderebbe la configurabilità della fattispecie della liberalità.
Canone
E’ un elemento essenziale e laddove non sia stato pattuito non si instaurerà un rapporto enfiteutico: il diritto al canone è un elemento ineliminabile essendo il giusto anello di congiunzione tra il diritto di godimento concesso all’enfiteuta e il diritto alla (nuda) proprietà che resta in capo al concedente.
Secondo l’art. 960 cc può consistere in una somma di denaro o in una quantità fissa di prodotti naturali e la sua determinazione può anche essere rimessa ad un terzo : sarebbe auspicabile infatti che gli Organi di categoria, facendo propria l’iniziativa di promuovere l’enfiteusi, redigessero anche una sorta di ‘tariffario’ così da rendere chiaro a concedente e ad enfiteuta il rapporto patrimoniale che tra gli stessi verrebbe a sorgere.