Coffee Lex -Un rimedio contro la crisi: l’enfiteusi (2^ parte)

IL NOTAIO CI PORTA ALLA SCOPERTA DI UN ISTITUTO TROPPO SPESSO DIMENTICATO

di dott. Stefano Sabatini (Notaio)

xxm,jkDurata: L’enfiteusi può essere perpetua o a tempo, ma mai inferiore ai venti anni.

Decorso il periodo pattuito, la funzione economico-sociale del contratto si intende realizzata, per cui il rapporto ha fine e quindi si estingue con la conseguenza che ipso iure cessano i rispettivi vincoli ed oneri ed ognuno dei contraenti riacquista la sua autonomia. Sembrerebbe ammissibile una proroga del contratto, così come sembrerebbe ammissibile la sua rinnovazione tacita.

Nel corso del rapporto le parti, laddove avessero convenuto un termine, possono trasformare l’enfiteusi da temporanea in perpetua.

L’art. 970 cc stabilisce che il diritto dell’enfiteuta si prescrive per effetto del non uso protratto per venti anni. E’ evidente il richiamo alla tradizione giuridica che risale al diritto romano che ammetteva che si potesse perdere il diritto enfiteutico per non uso per molto tempo alle seguenti condizioni : usucapio libertatis (cioè il contemporaneo possesso del fondo come libero da pesi da parte del proprietario) e l’abbandono materiale e totale da parte dell’enfiteuta con conseguente mancato esercizio di ogni diritto di godimento diretto o indiretto spettantegli.

Il diritto di enfiteusi si estingue altresì per consolidazione (quando cioè nella stessa persona vengono a riunirsi le situazioni soggettive di concedente e di enfiteuta), per rinuncia, per scadenza del termine, in caso di perimento del fondo nonché in caso di risoluzione del contratto.

A seguito dell’estinzione del diritto d’enfiteusi, l’enfiteuta ha l’obbligo di riconsegnare il fondo ed il diritto di ricevere, in relazione ai miglioramenti apportati al fondo, il rimborso dei miglioramenti stessi nella misura del maggior valore del fondo al momento della riconsegna nonché il valore delle addizioni, che costituiscono miglioramenti, ove siano separabili ed il proprietario intenda trattenerle e, ove invece esse non siano separabili, il maggior valore del fondo (art. 975 cc).

L’art. 971 cc nella sua originaria formulazione prevedeva :

‘l’enfiteuta può affrancare il fondo dopo venti anni dalla costituzione dell’enfiteusi.

Nell’atto costitutivo può essere stabilito un termine superiore ai venti anni, ma non eccedente i quarant’anni.

Anche quando nell’atto costitutivo non è indicato un termine, se in esso è prestabilito un piano di miglioramento, l’enfiteuta può procedere alla affrancazione prima che i miglioramenti siano stati compiuti.”

La Legge 18 dicembre 1970 n. 1138 ha abrogato questi commi e quindi rimosso detti limiti: l’enfiteuta quindi può esercitare il proprio diritto in qualsiasi momento, anche subito dopo la costituzione del rapporto e restando esclusa ogni diversa pattuizione.

Alla parte superstite dell’articolo 971 è rimasto il compito di regolamentare questo diritto essenziale dell’enfiteuta : tralasciando la previsione di più enfiteuti o di più concedenti, il terzo – ora primo – comma determina le modalità dell’affrancazione che ‘si opera mediante il pagamento di una somma risultante dalla capitalizzazione del canone annuo sulla base dell’interesse legale.’ L’art. 10 della suddetta Legge 1138 prevede che detto pagamento debba essere pari a 15 volte l’ammontare del canone stesso.

Per completezza va segnalato che la Corte Costituzionale con sentenza 160 del 2008 ha dichiarato l’illegittimità degli artt. 5 e 6 di detta Legge nella parte in cui, in riferimento alle enfiteusi urbane costituite prima del 28 ottobre 1941, non prevedono un meccanismo di rivalutazione periodica per il valore di riferimento da assumere quale parametro per la determinazione del capitale.

L’affrancazione, che può essere perfezionata solo attraverso atto pubblico o sentenza (i cui effetti retroagiscono alla data della domanda giudiziale) in quanto il vincolo rappresenta un onere giuridico sull’immobile e può quindi essere cancellato solo attraverso un atto regolarmente trascritto presso il competente Ufficio di Pubblicità Immobiliare, ha come effetto l’acquisto da parte dell’enfiteuta della proprietà del fondo oggetto dell’originario contratto.

Il diritto di affrancazione è il tipico diritto potestativo in forza del quale il concedente si trova in una situazione di soggezione rispetto all’enfiteuta: è uno dei più rilevanti principi inderogabili dell’enfiteusi e prevale sul diritto alla devoluzione del fondo riconosciuto al proprietario e consistente nel diritto di chiedere la restituzione del fondo nel caso in cui l’enfiteuta non abbia apportato i dovuti miglioramenti oppure abbia omesso di pagare due annualità di canone. Di fatto si pone nel rapporto concedente/enfiteuta come una vera e propria clausola risolutiva ex lege avente funzione sanzionatoria dell’inadempimento e può anche essere esplicitata nel contratto.

Nel relativo giudizio per far dichiarare la devoluzione del fondo instaurato dal proprietario, l’enfiteuta potrà evitare le conseguenze della devoluzione stessa sanando la morosità prima della conclusione del giudizio di primo grado ovvero domandando l’affrancazione dell’enfiteusi (artt. 971 e 972 cc).

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Concludendo, nella speranza di aver fornito una pur fugace idea in merito a questo istituto desueto ma pur sempre interessante, auspico sinceramente che possa fornire uno strumento utile all’occupazione ed allo sfruttamento dei terreni abbandonati: ovviamente dovrà essere oggetto di modifica per la sua attualizzazione con le moderne tecnologie e dovranno essere studiati incentivi adeguati.

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