FONDO PATRIMONIALE E ATTI DI DESTINAZIONE: IL REGIME DI OPPONIBILITA’ AI TERZI
di Dr. Stefano Sabatini (Notaio in Ancona)
Ci siamo già occupati su queste pagine del fondo patrimoniale che, val la pena di ricordare, è un istituto giuridico regolato dall’art. 167 del Codice Civile che recita testualmente, al suo primo comma ‘ciascuno o ambedue i coniugi, per atto pubblico o un terzo, anche per testamento, possono costituire un fondo patrimoniale destinando determinati beni, immobili o mobili iscritti in pubblici registri o titoli di credito, a far fronte ai bisogni della famiglia’, in forza del quale i beni costituiti in fondo patrimoniale vengono a formare un patrimonio separato non sottoponibile all’aggressione da parte dei creditori particolari.
Sempre più frequente, tuttavia, è la richiesta da parte di questi di rendere inefficace la costituzione del fondo, lamentandone l’utilizzo non a scopi morali relativi alla tutela della famiglia e soprattutto della prole, ma alla limitazione ai creditori dell’esperimento delle azioni a tutela del loro diritto di credito. Molteplici sono gli interventi della dottrina e soprattutto della Giurisprudenza, da ultimo l’ordinanza n. 16498 della Corte di Cassazione del 18 luglio 2014 che torna ad occuparsi proprio della opponibilità ai terzi e della eventuale dichiarazione di inefficacia nei loro confronti. Rimandando a quanto già spero esaustivamente scritto su queste pagine sul fondo patrimoniale e sulle formalità richieste per la sua efficacia, vorrei qui sottolineare maggiormente l’aspetto della opponibilità, partendo dagli art.2901 e seguenti c.c. che prevedono la possibilità per il creditore di domandare ‘che siano dichiarati inefficaci nei suoi confronti gli atti di disposizione del patrimonio con i quali il debitore rechi pregiudizio alle sue ragioni, quando concorrono le seguenti condizioni quanto concorrono le seguenti condizioni:
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che il debitore conoscesse il pregiudizio che l’atto arrecava alle ragioni del creditore o, trattandosi di atto anteriore al sorgere del credito, l’atto fosse dolosamente preordinato al fine di pregiudicarne il soddisfacimento;
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che, inoltre, trattandosi di atto a titolo oneroso, il terzo fosse consapevole del pregiudizio e, nel caso di atto anteriore al sorgere del credito, fosse partecipe della dolosa preordinazione.
Nella fattispecie specificamente esaminata dalla Corte di Cassazione relativa ad un fondo patrimoniale costituito in data posteriore all’azione di esecuzione della sentenza di condanna in primo grado, pur avendo il debitore proposto ricorso sostenendo che al momento della costituzione del fondo il creditore non aveva ancora avviato le procedure esecutive e che la costituzione del fondo non era diretta a sottrarre beni alle pretese creditorie, ma unicamente a garantire il miglior soddisfacimento delle esigenze della famiglia essendo costituito da beni immobili adibiti ad abitazione della famiglia e che il creditore non aveva dimostrato ai sensi dell’art.2901 c.c. alcuna prova in ordine al danno arrecato e/o all’intenzione di arrecarlo, la Corte ha ritenuto che l’azione pauliana, diretta a tutelare il creditore rispetto agli atti del debitore di disposizione del proprio patrimonio, non può essere preclusa nei casi in cui il compimento dell’atto dispositivo ha soddisfatto altri interessi meritevoli di tutela a nulla rilevando, evidentemente, la volontà del debitore a vincolare nel fondo determinati beni a tutela della propria famiglia, se compiuto nella consapevolezza di porre in essere un atto pregiudizievole delle ragioni creditorie, ancorché debba essere provata da parte del creditore attore. Nella fattispecie, l’esistenza di una sentenza di condanna in primo grado, anche se ancora appellabile e quindi non passata in giudicato, e l’inesistenza di ulteriori beni personali del debitore, precedentemente alla costituzione del fondo, hanno correttamente e puntualmente indotto il giudice di merito a ritenere esistente il pregiudizio e la volontà di provocare nocumento al creditore.
Ovviamente la fattispecie sopra citata rappresenta un caso decisamente chiaro, in quanto il debitore non poteva – come non è riuscito – dimostrare di non essere consapevole del pregiudizio che stava arrecando al creditore, ma altri casi quotidianamente si presentano molto meno chiari e di ben più difficile interpretazione : facciamo l’esempio di Tizio che sa che l’Agenzia delle Entrate sta emettendo – quindi non ancora emesso – nei suoi confronti una richiesta di pagamento di imposte non pagate. Ufficialmente non c’è ancora nessun atto al riguardo, quindi Tizio almeno in apparenza è legittimato a recarsi dal Notaio per stipulare atto costitutivo del fondo patrimoniale. Il Notaio ovviamente indagherà chiedendo a Tizio se ha già debiti nei confronti dello Stato, ammonendolo che in tal caso potrebbero ravvisarsi nei suoi confronti gli estremi di reato di pericolo previsto dal Decreto Legislativo n. 74 del 2000 che ha anticipato il momento sanzionatorio alla commissione di qualsiasi atto che possa porre in concreto pericolo l’adempimento di un’obbligazione tributaria, indipendentemente dalla attualità della stessa. Ma qualora Tizio taccia – come è ovvio – in merito alla sua posizione debitoria e quindi intenda comunque costituire il fondo patrimoniale nella convinzione che l’intento di tutelare la propria famiglia sia più rilevante che la tutela del diritto del suo creditore, che cosa accadrà? L’atto sarà comunque valido e il creditore dovrà attivarsi per richiederne l’inefficacia, con ulteriori rischi sull’esito, costi, ecc. ecc. anche se la Terza Sezione Penale della Corte di Cassazione (Sent. n. 38925/2009) ha stabilito che la costituzione del fondo patrimoniale non funge da scudo contro l’Erario e quindi possono essere sequestrati i beni della società di famiglia anche se vi sono confluiti prima dell’accertamento fiscale e della procedura di riscossione ed anche se gli Ermellini hanno ribadito che “secondo l’orientamento più recente e prevalente di questa Suprema Corte, dal quale il collegio non ravvisa ragioni per discostarsi, non essendo stata peraltro neppure affrontata dal ricorrente sotto tale profilo giuridico la questione, ai fini dell’integrazione del reato di sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte (…) non è necessario che sussista una procedura di riscossione in atto (…) essendo sufficiente l’idoneità dell’atto simulato o ritenuto fraudolento a rendere in tutto o in parte inefficace una procedura di riscossione coattiva da parte dello Stato.
Il fondo patrimoniale non deve essere visto come uno scudo nei confronti dei creditori e soprattutto nei confronti dell’Erario, anche se, nell’immaginario collettivo, spesso così è visto.
E’ pur vero, che avendo la Cassazione, come sopra detto, anticipato il momento sanzionatorio alla commissione dell’atto, a nulla più rileva l’averlo stipulato ‘in epoca non sospetta’ il credito maturato successivamente dà diritto al creditore di agire per chiedere l’inefficacia dell’atto in qualunque momento : in conclusione possiamo dunque affermare che il fondo patrimoniale, pur volendo riconoscere un intento etico e morale ai costituenti, non è poi questa efficace garanzia a tutela del patrimonio della famiglia. In effetti, volendo anche ammettere che il divieto di cui all’art. 170 c.c. avrebbe carattere assoluto e generalizzato, colpendo indistintamente non soltanto i crediti successivi, ma anche quelli anteriori alla costituzione del fondo, si introdurrebbe e uno strumento ‘legittimo’ con il quale il debitore potrebbe eludere la garanzia patrimoniale, costituita appunto dall’intero suo patrimonio presente e futuro. Nella prassi quotidiana avviene spesso che nel fondo patrimoniale confluisca un bene gravato da ipoteca a garanzia di mutuo preesistente concesso a fronte di una conclamata solvibilità del mutuatario : se il fondo venisse a garantire le insolvenze e le conseguenti azioni esecutive, si introdurrebbe un mero espediente elusivo e lesivo.
Diverso, anche se apparentemente finalizzato allo stesso scopo di tutela del patrimonio e, a differenza del fondo patrimoniale, utilizzabile anche in presenza di persone non coniugate ed anche da una sola persona, è il vincolo costituito con atto di destinazione del patrimonio in favore di persone meritevoli di tutela di cui all’art. 2645 ter del Codice Civile, che prevede e disciplina la possibilità di trascrivere atti di destinazione del patrimonio in favore di persone con disabilità, di una Pubblica amministrazione, di altro ente o a favore, in generale, di una persona fisica, con i quali si costituisce un vincolo – che deve prevedere una durata, come appresso vedremo – di un bene al fine con la conseguente impossibilità da parte dei creditori del soggetto conferente di aggredirlo, fermo restando che detto bene vincolato può essere concesso in garanzia ed esecutato solamente dai creditori del beneficiario per debiti contratti per il raggiungimento del fine specificamente indicato nell’atto notarile medesimo, fine che è quello di garantire una vita dignitosa, un reddito, un tetto e comunque una concreta assistenza e una garanzia all’avviamento ad un lavoro confacente ad una persona meritevole di tutela e quindi non in grado di provvedere a sé stessa, salvaguardare i bisogni della famiglia, garantire anziani non autosufficienti, ecc. ecc. Nulla prescrive al riguardo la norma, né tantomeno è stato predisposto un elenco dei fini considerati meritevoli di tutela, per cui il concetto di meritevolezza che pur costituisce uno dei parametri essenziali di verifica dell’efficacia dell’atto è del tutto vago, ma di certo lo scopo dell’atto deve essere puntuale, specifico, manifesto e, ovviamente lecito.
Oggetto degli atti di destinazione possono essere esclusivamente beni immobili o beni mobili iscritti in pubblici registri , eventuali diritti reali a questi riferiti (es. usufrutto) e possono essere utilizzati solo per la realizzazione del fine della destinazione e, pur venendo “segregati” rispetto alla restante parte del patrimonio del “conferente” non sono oggetto di trasferimento e restano nella titolarità del “conferente” stesso; conseguentemente il soggetto “beneficiario” non diventa proprietario del bene sottoposto al vincolo (tranne nei casi in cui ci sia una diversa volontà).
I beni vincolati possono essere aggrediti dai creditori solo per debiti contratti per realizzare lo scopo del vincolo, ma, come per il fondo patrimoniale, anche per l’atto di destinazione i creditori che dovessero ravvisare nell’apposizione del vincolo una violazione della legge, per rendere inefficace l’atto possono rivolgersi al giudice avvalendosi dei rimedi classici (‘azione revocatoria ex art. 2901 c.c., azione surrogatoria ex art. 2900 c.c., sequestro conservativo ex art. 2905 c.c. e azione di simulazione ex art. 1414 c.c..). Laddove il Giudice ravvisi l’intento di limitare le legittime pretese dei creditori, l’atto risulterà inidoneo a sottrarre i beni vincolati. L’azione deve però essere proposta nei cinque anni dalla costituzione del vincolo, decorsi i quali i beni vincolati non sono più aggredibili dai creditori.
Il vincolo, se a favore di una persona fisica può avere una durata non superiore alla vita di questa; se a favore di una Pubblica amministrazione o di una persona giuridica non può avere durata superiore a 90 anni, ma possono essere previste cause di cessazione anticipata.
Come si vede, il vincolo è un istituto ‘pesante’, idoneo a tutelare, ma anche molto limitativo, proteso alla realizzazione di uno scopo molto rilevante ed importante che supera i limiti della mera opponibilità a terzi, per la sua natura profondamente etica e sociale. Ovviamente si dovrà controllare – chiunque sia interessato è legittimato – che il disponente rispetti gli obblighi assunti.
L’art. 2645-ter c.c. richiede la redazione dell’atto di destinazione in forma pubblica e cioè tramite Notaio, non riconoscendo quindi la possibilità di formarlo per scrittura privata autenticata, che sarebbe ugualmente trascrivibile: probabilmente il legislatore ha voluto imprimere all’atto un maggior vigore non tanto di validità quanto di opponibilità nei confronti dei terzi. Il riferimento alla forma pubblica, inoltre, vista anche la collocazione della norma nell’ambito della trascrizione fa ritenere che gli atti di destinazione possano avere soltanto natura inter vivos e non anche mortis causa, contrariamente a quanto disposto in merito al fondo patrimoniale. Qualche autore, tuttavia, ha azzardato la tesi che l’opponibilità del vincolo ai terzi potrebbe conseguirsi anche con atto mortis causa e precisamente con testamento redatto in forma pubblica, ma tale tesi non sembra del tutto accettabile e non solo perché il dettato della norma appare inequivocabile ma anche perché diversa e dilazionata a data post mortem verrebbe ad essere l’opponibilità ai terzi e diverse sarebbero le risultanze del vincolo.