“Noi, esseri finiti, personificazioni di uno spirito infinito, siamo nati per avere insieme gioie e dolori; e si potrebbe quasi dire che i migliori di noi raggiungono la gioia attraverso la sofferenza” (L.V. Beethoven)
Per chi come me ha” dialogato” in qualche modo, anche se in passato, con lo strumento del pianoforte, Beethoven rappresenta un punto fermo. Gli spartiti della sua musica sono il ricordo più vivo di quegli anni che riemergono di tanto in tanto impolverati, ma non nei ricordi.
In questi giorni ricorre l’anniversario della nascita di questo genio della musica, nato a Bonn in Germania il 16 dicembre 1770. Il padre è tenore nella cappella arcivescovile purtroppo, però, è afflitto da problemi di alcolismo che non rendono facile l’infanzia e l’adolescenza del giovane Beethoven le cui straordinarie capacità musicali, evidenti sin da piccolo, vengono in qualche modo sfruttate dal padre che cerca di renderlo un nuovo Mozart.
A 14 anni viene assunto come organista dall’arcivescovo Maximilian Franz, fondatore dell’Università di Bonn, che frequenta per un po’. Per perfezionarsi si trasferisce poco dopo nella vivace Vienna dove si racconta che incontra proprio Mozart; dopo una pausa dovuta al lutto per la morte della madre, vi ritorna per rimanervi fino alla morte affermandosi come eccellente musicista dotato di una straordinaria capacità di scrivere musica più libera dagli schermi tradizionali, con maggiore audacia espressiva sicuramente frutto di un mondo interiore vasto e ricco.
Verso il 1798 purtroppo arrivano i primi sintomi della sordità che nel tempo peggiora costringendolo a vivere sempre più isolato e ad abbandonare la sua carriera di concertista. Beethoven vive questa complessa malattia in maniera molto difficile, il suo carattere già molto introverso diventa comprensibilmente più cupo anche se è comunque dotato di una forza spirituale che rimane immensa. Tale aspetto emerge in alcune opere di questo periodo come la Terza Sinfonia, intitolata Eroica, la Quinta e la Sesta (la Pastorale).
Credo che sia difficile immaginare il mondo di chi vive senza suoni tanto più se si è un musicista e le note sono i colori della propria vita e la solitudine in cui Beethoven si chiude giorno dopo giorno fa naufragare anche la sua vita sentimentale. Non si sposa nonostante i progetti di nozze e sviluppo un forte sentimento paterno nei confronti del nipote Carl.
Agli inizi del 1800 tre nobili mecenati di Vienna si innamorano del genio musicale di Ludwing e decidono di garantirgli uno stipendio annuo anche senza vivere a Vienna. In questi anni compone una delle più belle sonate “Al chiaro di luna” ma anche “Appassionata” oltre ai famosi concerti per pianoforte e orchestra nn. 3, 4 e 5, le sue prime sette Sinfonie; i primi undici Quartetti per archi.
Ormai la sordità è quasi completa e il musicista riesce a comunicare con il mondo che lo circonda solo scrivendo dando vita ai celebri “quaderni di conversazione” con cui dialoga con gli amici. Adora le passeggiate in campagna perchè forse solo queste riescono a dargli quella pace che non ha o meglio che la sordità gli ha tolto. Nonostante la sua salute sia molto cagionevole e non solo per l’udito, Beethoven conserva sempre un’incredibile ed ammirevole fiducia, se così non fosse stato egli non avrebbe potuto scrivere un capolavoro come la Nona Sinfonia che contiene il celebre Inno alla gioia, un invito alla fratellanza universale.
Forse è proprio nel periodo della massima maturità artistica che la sua espressività si allontana maggiormente alle forme classiche dando vita e respiro ad uno stile unico, ad una musica da molti definita “assoluta”.
Beethoven muore a Vienna nel 1827. Si racconta che durante il funerale al quale partecipa un’immensa folla commossa (tra cui anche il musicista Franz Shubert che 31 anni dopo vorrà essere sepolto accanto), una vecchietta risponde a un viaggiatore di passaggio che chiedeva chi fosse deceduto: “Come, non lo sapete? E’ morto il generale dei musicisti!“.
VALENTINA COPPARONI
“Al chiaro di luna”