“La perenne tentazione della vita è quella di confondere i sogni con la realtà”. Sono le parole del re del rock Jim Morrison a guidare la ricerca stilistica, artistica ed emozionale di Francesco Musante, l’artista genovese delle forme morbide, dei colori vivi, delle linee fluide che confondono realtà, fantasia, immaginazione in un tuffo consapevole e maturo nei sogni dell’infanzia. In queste giornate fredde, il cuore si riscalda davanti alle opere di Francesco Musante, in mostra alla Rocca di Senigallia.
Musante nasce a Genova nel 1950, un diploma al Liceo Artistico e poi alla sezione distaccata Albertina di Belle Arti di Torino. Negli anni Settanta, in piena contestazione studentesca, si iscrive alla Facoltà di Filosofia di Genova e frequenta i corsi di pittura presso l’Accademia di Belle Arti di Carrara. Le prime sperimentazioni artistiche arrivano nel 1967, ricerche astratte su grandi campiture di colore. Un anno dopo le sue opere sono già esposte in mostre collettive. Arrivano i concorsi di pittura, i riconoscimenti. Il pennello degli anni ’69-’70 risentono dell’influenza della Pop Art e dei Combine Paintings di Rauschenberg: nei suoi quadri si leggono chiari i riferimenti all’America, attraverso l’uso innovativo di scritte e l’inserimento di oggetti e legni. Novità. Consacra la vita all’arte definitivamente nel 1971. Pittore, scultore e ceramista, nel 1973 fa il suo esordio con una collettiva e una personale tenutasi alla Galleria Il Quadrifoglio di La Spezia. E’ l’anno del boom, l’inizio di un lugno e fortunato percorso artistico che lo vede anche come incisore (dal 1983 compare infatti nei cataloghi delle “Incisioni originali italiane e straniere dell’800 e moderne” della Libreria Antiquaria di Dino e Paolo Prandi). Fino alla metà degli anni Settanta, Musante frequenta Torino. Nella Galleria Sperone entra in contatto con artisti dell’Arte Povera, tra cui Penone. Ma nel ’75 cambia rotta. Musante si dedica alla pittura figurativa. Dal fascino delle figure femminili ispirate a Klimt e alla Secessione Viennese, attingerà per anni con diverse tecniche pittoriche dall’acquarello, all’olio, al collage, all’incisione riversando la sua creatività su diversi supporti come tela, legno, ceramica, lastra, carta. Lavori originali, diversi dall’arte cui il mondo era abituato. Musante approda a Roma, Genova, La Spezia, Milano e Odessa (Urss). Sono gli anni dell’Antologia di Spoon River e di “Alice nel Paese delle meraviglie” di Lewis Carrol. Negli anni ’80 inizia il lavoro con la grafica e gli acquerelli. Agli occhi non sfuggono i primi spunti narrativi e fantastici che contraddistinguono la sua opera dal 1985 fino ad oggi: compaiono i suoi “omini” come saltati fuori da un libro di fiabe e inseriti in contesti pieni di oggetti, personaggi e parole.
Le opere di Musante sono un tuffo nell’immaginazione, dove le atmosfere sono colorate, leggere. Influisce nel suo lavoro l’illustrazione di diversi libri di racconti e favole. Dal 1971 colleziona oltre 400 mostre personali nelle maggiori città italiane e all’estero (partecipa all’8° International Triennal of Committed Graphics Arts in the German Democratic Republic di Berlino; al Salon de la Jeune Peinture al Grand Palais di Parigi; all’Interarte di Valencia, al Biaf di Barcellona, Lineart International Art Fair a Gent; “The Artist and the Book in 20th Century” al Museum of Modern Art di New York…). Una lunga carriera segnata da un movimento artistico e intellettuale, che ancora oggi lo porta a essere uno degli artisti figurativi contemporanei più interessanti. Senigallia sta ospitando la sua personale “La Magia dei Sogni”, alla Rocca Roveresca (fino al 4 novembre). Dipinti, illustrazioni, sculture e costumi disegnati da Musante per l’allestimento della “Boheme” rappresentata al teatro Carlo Felice di Genova. Un’esposizione nata dalla sinergia instaurata con le edizioni Cartilia, che mostra come la creatività di questo artista sia legata all’amore per il libro, per la scrittura, per lo stesso alfabeto. La fluidità dei tratti di Francesco Musante sembra raccontare una lunga storia in cui i colori, le parole e le forme rievocano la bellezza pulita dell’infanzia, i suoi sogni candidi, le illusioni di chi si affaccia al mondo con occhi nuovi e ingenui. Gli occhi di chi crede ancora. Le forme sono morbide come sculture di zucchero filato, la parole contaminano il colore e gli spazi come soldatini di piombo in fila, schierati nel cammino del fantasticare davanti all’opera. I personaggi sono quelli dell’immaginario del mondo dell’infanzia, sirene, cuori, trenini, omini, animaletti, poeti, lune, aquiloni, finestre e strade infinite che si perdono e si intrecciano raccontando una storia che tutti, almeno una volta nella vita, vorremmo vivere. E non solo nei nostri sogni.
TALITA FREZZI