Diritto alla Cultura: L’indipendenza nera, la parola a Spielberg e Tarantino

Due mostri sacri della regia mondiale rileggono la storia dell’indipendenza della gente di colore negli Stati Uniti. Si stanno dando battaglia nelle sale cinematografica “Lincoln”, l’ennesimo capolavoro di Steven Spielberg candidato a 12 Premi Oscar e “Django Unchained”, impronta moderna firmata da Quentin Tarantino sulla storia di “Django”, raccontata da Sergio Corbucci negli anni ’70. Due film che con diverse sensibilità e da opposti punti di vista rileggono l’epopea della schiavitù dei neri sullo sfondo dell’America della Guerra di Secessione tra nordisti e sudisti. Spielberg, che appena tornato sul grande schermo ha già conquistato oltre 300.000 italiani, nel suo “Lincoln” racconta gli ultimi quattro mesi di vita del più famoso presidente degli Stati Uniti e della sua lotta per far approvare il 13° emendamento alla Costituzione americana, quello che sancì l’abolizione definitiva della schiavitù. Una profonda e toccante lezione di politica, che si apre con la scena dei due soldati – uno bianco e uno nero – che recitano a memoria alcuni brani del discorso di Abramo Lincoln a Gettysburg, uno dei più famosi discorsi della storia. Lincoln lo enunciò il 19 novembre 1863 al cimitero di Gettysburg in Pennsylvania, quattro mesi e mezzo dopo la battaglia vinta dall’Unione contro i Confederati e che costò la vita quasi a 51.000 vittime. Parole di libertà e di uguaglianza di tutti gli uomini. Spielberg ricalca la figura del presidente negli ultimi quattro mesi di vita, dalla battaglia politica per l’approvazione del 13° emendamento alla morte al suo assassinio con una toccante grandezza resa possibile dall’attore Daniel Day Lewis. L’attore presta al Lincoln di Spielberg un’impressionante somiglianza e un’interpretazione anche mimica, così fisicamente imponente e immensamente complicato.

“Django Unchained”, firmato dal re del pulp Quentin Tarantino, è ambientato negli Stati Uniti del Sud, alla vigilia della guerra civile. Il cacciatore di taglie di origine tedesca dottor King Schultz, su un carretto da dentista, è alla ricerca dei fratelli Brittle. Per trovarli e incassare la taglia che pende sulla loro testa, libera dalle catene lo schiavo Django, promettendogli la libertà a missione completata. Tra i due uomini nasce così un sodalizio umano e professionale che li conduce attraverso l’America delle piantagioni e degli orrori razzisti alla ricerca dei criminali in fuga e della moglie di Django, Broomhilda, venduta come schiava a qualche possidente negriero. Il film, appena uscito nelle sale, mescola sapientemente una gestione attenta delle scene d’azione con forti momenti pulp e gore, alla creazione di figure-mito ed eroi epici (come il Django interpretato da Jamie Foxx) fino a produrre una distorsione della linearità del reale in una circolarità del film, lui così visionario, ispirato, creativo. “Django Unchained” è un capolavoro visivo, geniale, che racchiude tutte le citazioni del Tarantino classico. Come ormai questo genio visionario ci ha abituati, i suoi personaggi, i protagonisti dei suoi film, sono divisi in eroi bidimensionali da fumetto Marvel o alla Tex Willer e in antieroi più sfaccettati psicologicamente, più affascinanti e intriganti per i grandi interpreti. Una figura esplicitamente fumettistica è proprio il Django-Foxx. Molto più articolate e divertenti sono le personalità del controverso Dr. King Shultz (interpretato dal geniale Christoph Waltz, che abbiamo già conosciuto come eroe negativo nazista in “Bastardi senza gloria”) ed il cattivo-cattivo Calvin Candie (che ha il volto di un eclettico, ambiguo e sempre più talentuoso Leonardo DiCaprio). Altra icona tarantiniana, Samuel L. Jackson che interpreta il nero-contro i neri Stephen: meschino, contraddittorio, violento sui neri e non salvabile nell’ambito della narrazione cinematografica. Un cammeo a impreziosire, seppure in maniera solo decorativa, è la presenza di Franco Nero, il primo Django, quello di Sergio Corbucci.

TALITA FREZZI

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