Cambogia e Terra. Terra rossa e sottile che finisce prima o poi di invaderti sia fuori che dentro, di entrarti in ogni lembo di pelle. E’ questa la sensazione che si ha viaggiando attraverso il territorio cambogiano: un paese dove le strade sono delle lunghe e interminabili strisce rosse di terra battuta e dove la polvere alzata dal passaggio di camion, motorini e pickup finisce prima o poi di coprirti la faccia e annebbiarti la vista.
A quel punto, ecco la visione celestiale, lo stupore che si materializza dopo ore di attesa, il tramite tra cielo e terra. In cima a un’alta falesia facente parte della catena dei monti Dangrek si erge il “Sacro santuario” ovvero il tempio di Preah Vihear, vero simbolo di un intero popolo, il popolo khmer. Il tempio, costruito nel IX secolo, è un classico tempio – montagna ovvero la rappresentazione stilizzata del Monte Meru, la casa degli dei.
Ma andiamo con ordine. Gennaio. Stagione di caldo secco e intenso nella città di Siam Reap. Dopo una settimana passata tra le meraviglie di Angkor (ovvero tra i templi più magnificenti costruiti dalla civiltà khmer) decidiamo di dirigerci verso il tempio di Preah Vihar proprio al confine tra Cambogia e Thailandia. La contrattazione avviene al night market di Siam Reap :si presenta da subito estenuante e difficile ma alla fine riusciamo ad affittare una macchina con guida ad un prezzo accettabile per coprire i 300 km che ci separano dai monti Dangrek al confine thailandese.
La strada in verità non è molta: arrivare fino alla città di Anlong Veng non ci comporta particolari disagi. La parte più dura però sono gli ultimi 100 km. Passata Anlong Veng (cittadina segnata inevitabilmente dal passaggio in ritirata dei khmer rossi e dalle loro razzie anti-governative) cominciamo una strada tortuosa e senza segnaletica diretta al tempio. La gente dei villaggi che incontriamo è molto gentile e spontanea: ci segnala con grandi gesti (a mò di guide turistiche) la presenza dei cartelli con su scritto “danger mines” . Purtroppo quella delle mine in Cambogia è ancora una piaga aperta: in molti terreni rurali vicino a questi villaggi infatti sono ancora presenti mine inesplose che creano ogni anno vittime e amputati.
Servono circa 3 ore e mezza per fare 100 km: a questo punto manca solo la scalata alla montagna alta 525 metri dove sorge il tempio. Lasciamo la nostra “acciaccata” Toyota d’ordinanza e ci mettiamo nel cassone di un pickup per l’ultimo tratto: una salita vertiginosa che ci porta all’ingresso del tempio. Nel cassone con noi ci sono militari, donne con provviste e bambini: tutti cercano un appiglio per non cadere nel ripidissimo tratto in salita. Scesi dal pick up incontriamo turisti proveniente dal versante thailandese del confine: macchine fotografiche pronte allo scatto della vita, bambini dispettosi e ombrellini per proteggersi dal sole. Per loro il tragitto è stato agevole: la Thailandia ha pensato bene di costruire una superstrada (con pedaggio di 400 baht circa 8 euro) che portasse direttamente al tempio.
La zona di ingresso al tempio è militarizzata: le bandiere di Thailandia e Cambogia si muovono all’unisono sui pennoni ma in realtà nascondono tensioni e odii mai sopiti tra i due popoli. I militari cambogiani hanno un loro campo con torrette d’avvistamento proprio sull’altura dove è situato il tempio: da qui osservano e tengono sotto controllo i movimenti dell’esercito thailandese. E’ ormai dagli anni sessanta che i due paesi rivendicano la proprietà del tempio: la questione è ritornata alla ribalta nel luglio del 2008, quando il Preah Vihear è stato inserito dall’UNESCO tra i patrimoni dell’umanità. Per i cambogiani, il tempio è un simbolo molto importante sia per cultura, sia per rivalsa politica nei confronti dei nemici del siam (ovvero il popolo thai).
Raggiungiamo la spianata di ingresso al tempio dopo aver percorso una scalinata infinita: di fronte a noi compare la prima “gopura” decorata di ingresso (ovvero la porta). Forte è la sensazione di trovarsi davanti all’ingresso della prima casa come nella saga dei cavalieri dello zodiaco.
Il complesso del tempio infatti si estende per 800 metri: passata la prima gopura, ne arrivano altre 4 in successione fino ad arrivare alla parte più alta del tempio. Tutto è intervallato da antiche biblioteche, sale per le offerte ai re e giardini pensili segni di una civiltà antica magnificente e raffinatissima.
Al tramonto siamo finalmente alla meta del nostro viaggio: di fronte a noi, dopo una giornata di “espiazione” sia fisica che morale, ci troviamo davanti il panorama mozzafiato delle pianura cambogiana. Non più polvere, ma aria rarefatta purissima: una sensazione quasi di onnipotenza ci pervade. Probabilmente la stessa che animava il sovrano khmer Jayavarman II nelle sue visite al Preah Vihear, il luogo dove poteva parlare con gli dei.
CRISTIANO QUAGLIANI