MARCHE, GUSTOSE E ANTICHE RICETTE
ANCONA – di Silvia Breschi – A un mese circa dalle festività natalizie, vien già l’acquolina in bocca, pensando ai dolci. E i più anziani vanno indietro nel tempo sulle ali di dolci reminiscenze legate a tradizioni tendenti a scomparire. E’ il caso del “cristingo” o “frustingo” una leccornia quasi d’obbligo un po’ in tutte le Marche. Pochi ne ricordano il nome, pochissimi il sapore. Ad Ancona il “cristingo” veniva chiamato “pistingo”. Il segreto della ricetta: fichi secchi, uva, noci, mandorle, pinoli, mollica di pane bianco, farina di grano e di granoturco, sapa, olio; dopo avere amalgamato tutti gli ingredienti si metteva il composto in un recipiente di rame, con l’orlo rialzato, quindi via alla cottura, rigorosamente nel forno a legna. Un’altra ricetta antica molto diffusa nel capoluogo marchigiano e dintorni allargati? La “Pizza de Natà”. Per ottenerla si impasta una massa di pasta del pane con noci, nocciole, mandorle, uvetta, un po’ di olio di oliva, cioccolato in polvere, limone e arancia grattuggiati, fichi e zucchero in abbondanza; l’impasto si mette a lievitare in una teglia di rame unta di olio; quando la massa si è lievitata si cuoce in forno.
Sempre nel periodo natalizio si preparano i “ravioli dolci”, che nell’Anconetano erano noti come “calcioni”, in particolare nei territori dei comuni di Arcevia e Serra San Quirico, ma anche in provincia di Macerata, specialmente a Treia. Proprio a Treia, ogni terza domenica di maggio, si celebra ancora la “Sagra del Calcione”. I “calcioni” possono essere serviti come dolci veri e propri o come secondo piatto, dato il caratteristico sapore leggermente piccante. Ecco gli ingredienti: pasta sfoglia, farina di grano, uova, formaggio pecorino, zucchero e olio. E le dritte per la preparazione: una volta predisposto il disco di pasta sfoglia, spesso 1 cm e del diametro di circa 10, si colloca al centro l’impasto formato da farina di grano, uova, formaggio pecorino, zucchero e olio; quindi si racchiude il disco su se stesso, praticando sulla sommità del medesimo un taglio, in modo da consentire, durante la cottura, la fuoriuscita parziale del ripieno; si cuoce a forno caldo. A Natale e dintorni c’è chi ricorda e talvolta ancora prepara i “cavallucci”, circoscritti ad un territorio ristretto, cha ha come centro la cittadina di Apiro (MC). Di origine antichissima, la tecnica di preparazione viene tramandata e rispettata ancora oggi nei dettagli. Piuttosto sostanziosi, i “cavallucci” invitano a berci su del vin cotto, un buon bicchiere di rosso, oppure una tazza di cioccolata calda, il cosiddetto “squaglio”. La preparazione, articolata e laboriosa, prevede l’uso di una sfoglia spessa (farina, uova, zucchero, olio, vino bianco) ed un impasto di sapa (mosto concentrato con cottura), liquori (rum, marsala), caffè, noci e mandorle tritate, cioccolato fondente, canditi, uvetta, fichi secchi, cacao amaro, pane grattato. Quest’ultimo, di solito, viene preparato la sera prima macinando tutti gli ingredienti e lasciato riposare in frigo. Si stende quindi l’impasto sulla sfoglia che si richiude sopra e se ne ricavano tanti sacchetti che si modellano a forma di cavalluccio marino. I “cavallucci” vengono cotti al forno e poi spruzzati con liquore Alchermes e zucchero, oppure ricoperti di glassa, quindi guarniti con confettini colorati.
Molto più noto, il “ciambellone”, dolce marchigiano per eccellenza, preparato spesso dalle donne di casa e tuttora preferito in occasione di feste familiari, battesimi e cresime. Accompagnato con vino dolce, è popolarmente chiamato “il dolce delle folle”, perché consumato sempre in riunioni allegre e rumorose e a conclusione di pranzi e cene conviviali. Gli ingredienti: farina, uova, zucchero, latte, strutto o burro, buccia di limone, lievito, bicarbonato. La preparazione: la farina deve essere setacciata e mescolata con il lievito; poi il composto va impastato con il latte, lo strutto o il burro appena sciolti a parte, le uova vanno sbattute con lo zucchero e una scorzetta di limone; se ne ottiene una bella pasta gonfia che viene plasmata e sistemata in un recipiente precedentemente imburrato e spolverato di farina; Il composto può essere farcito a piacere con uvetta, canditi, noci e mandorle, poi spennellato con il tuorlo d’uovo e cotto in forno.
Passando al Carnevale, si può dire che “ogni dolce vale”, tante sono le varietà tradizionali in questo periodo. Ad Ancona e dintorni va forte la “cicerchiata”, il cui nome deriva da un legume tipico del territorio locale, la cicerchia. Nel Pesarese sono di rito le castagnole. Nell’Ascolano primeggiano le “sfrappe” e i “fiocchi”. Nel Maceratese sono quasi d’obbligo gli “scoccafusi”, che ad Arquata del Tronto sono chiamati “stummeri” e che un tempo ad Osimo e dintorni erano detti “cecetti”, per la loro piccola dimensione. Pur mantenendo invariati gli ingredienti, per gli “scroccafusi” sono possibili due diversi tipi di cottura: fritti o cotti al forno.
Tipiche del Pesarese, in particolare dei comuni montani, con una relativa diffusione anche nelle province di Ancona e Macerata, sono le frittelle di polenta, che si presentano sotto forma di gustose pizzette dolci fritte, schiacciate ed abbastanza sottili. Ingredienti: farina di mais, acqua, farina di grano, zucchero, sale. Preparazione: impastare la polenta raffreddata con la farina di grano, quindi formare delle pizzette e friggerle; servirle poi spolverate con zucchero semolato.
In tutta la regione è ancora molto diffusa la crema fritta,
servita sia come antipasto o contorno sia come dessert. Va preparata una crema pasticcera, che viene fatta rassodare per poi essere impanata e fritta, viene gustata insieme ad un fritto misto composto di olive ascolane, verdura e carne. Ingredienti: latte, uova, zucchero, farina, limoni, vanillina. Per l’impanatura e per friggere: pangrattato, uova, olio di semi. Preparazione: si inizia con la crema pasticcera, che va cotta ben bene fino a che assume una consistenza piuttosto compatta; la crema va quindi versata in una teglia, stesa in modo che abbia uno spessore di circa 2 cm, livellata con una spatola e poi lasciarla raffreddare in un luogo fresco e asciutto per circa 2 ore; quando si è raffreddata a dovere, si deve trasferire su un tagliere e va tagliata a cubetti o a losanghe; a questo punto ogni pezzetto di crema va passato prima nel pangrattato, poi nell’uovo sbattuto e poi ancora nel pangrattato; i bocconcini di crema vanno fritti in olio di semi di arachide ben caldo, fino a che saranno dorati; quindi vanno posti su carta assorbente per far perdere l’olio in eccesso e servire calda.
I dolci fin qui descritti sottolineano il vivo il senso di attaccamento che i marchigiani hanno sempre avuto per le loro tradizioni. In passato, anche le categorie sociali più povere rispettavano puntualmente consuetudini alimentari legate a festività religiose o ricorrenze annuali, e i dolci ne erano tra i protagonisti. Le relative preparazioni, popolari e di fattura casalinga, erano basata su ricette, per lo più di origini lontane e tramandate fedelmente, forse con un pizzico di gelosia, da una generazione all’altra. Solo in casi sporadici, ma con parsimonia e cautela, ci si lasciava andare a qualche variante di iniziativa personale.
(articolo tratto da Urlo – mensile di resistenza giovanile)