FIRMATO DALL’ARCHEOLOGA PETRELLI
– ANCONA – di Giampaolo Milzi – San Ciraco era molto alto per i suoi tempi, ben circa m. 1,75, e di corporatura robusta. Ma non fu lui il primo vescovo di Ancona, bensì San Marcellino. Ancona probabilmente non vide San Ciriaco nemmeno di passaggio. E La cattedrale gli fu intitolata solo a partire dal 1300. A parte queste ed altre affatto scontate ma importanti affermazioni, questo saggio dell’archeologa anconetana Simona Petrelli – l’ennesimo testo dedicato al magnifico edificio d culto che “protegge” la città dall’alto del colle Guasco – si fa apprezzare soprattutto per
la minuziosa ricostruzione delle varie fasi edificatorie, basate su un’accurata ricerca di testi storici e di rilettura delle diverse campagne di scavo e ricerca. Specializzata in archeologia cristiana, l’autrice identifica ben cinque fasi, con ampia dovizia di particolari, evidenziandone le tracce concrete ancora presenti. L’ultima fase vede splendere sul mare quello che ancora oggi è considerato un raro esempio in Italia di mix tra stili architettonici romanici e di influsso bizantino: la pianta architettonica a croce greca e i persistenti aspetti basilicali confermano l’antichissima vocazione di Ancona Porta d’Oriente.
Il libro ripropone le vicende de “La cattedrale di Ancona e il martirio di San Ciriaco” in stretto legame coi suoi antefatti, con lo scorrere del passato più antico dell’Ankon Dorica (ma ancora prima abitata dai Piceni) fondata secondo la tradizione dagli esuli greci di Siracusa nel 387. a.C, e dal diffondersi del culto di Gesù e delle prime comunità a lui fin dal V secolo (ma già nel IV la nuova religione aveva adepti). Epoca in cui Sant’Agostino, pronunciando due sermoni ad Ippona, menziona l’esistenza di un antico santuario ad Ancona dedicato al protomartire Santo Stefano, a cui probabilmente i cristiani anconetani dedicarono la prima vera chiesa di una certa importanza.
Tornando sul Guasco, in origine denominato colle Marano, il saggio ribadisce, descrivendolo, come il primo edificio sacro sorse lì in alto intorno alla seconda metà del II sec. a.C. (datazione più recente rispetto ad altre), quando Ancona, abitata da una comunità di lingua greca molto civilizzata e dotata di un primo scalo per l’approdo delle imbarcazioni mercantili, era già città federata con Roma. L’autrice sposa la testi secondo cui era dedicato a Venere Genetrix, piuttosto che alla Venere Euplea protettrice dei naviganti. A pianta rettangolare e orientato longitudinalmente in senso nord-ovest/sud-est, occupava un’area di 600 metri quadri, con l’entrata rivolta verso il foro, ovvero l’attuale piazza del Senato (parte sulla destra rispetto alla cattedrale di oggi). Era dotato di 28 colonne, 6 su ciascuna facciata e 10 sui lati lunghi. Di tipo corinzio-italico, ne restano a testimonianza blocchi parallelepipedi di calcare giallo e un tratto di pavimento a spina di pesce rinvenuto appena fuori del suo perimetro. In ricordo di votivo di San Lorenzo, e non a San Ciriaco, fu intitolata la prima basilica cristiana, che fu impostata alla fine del V secolo sulle strutture del tempio pagano, di cui conservò la pianta rettangolare e l’ingresso a sud-est (dov’è attualmente la cappella del Crocifisso), e ultimata agli inizi del VI secolo. A tre navate, con colonne e capitelli in stile ravennate, la basilica sorse nell’ambito di un nucleo edilizio fortificato (sono rimasti lacerti in muratura di mattoni rossi e blocchi di tufo giallo). Numerosi manufatti marmorei furono reimpiegati nella costruzione della successiva chiesa medievale: come colonne, capitelli e lastre; una coppia di plutei, uno grande con croce latina, e il frammento dell’altro murato ancora sulla facciata esterna. I capitelli delle colonne erano di tipo
corinzio, teodosiano, composito e ionico. Della fase paleocristiana rimangono, tra l’altro, un tratto di un tappeto musivo, 27 sepolture (per lo più in muratura, alcune esterne) e 4 testi epigrafi. E da un primo ampliamento in lunghezza dell’edificio prende forma, nel X secolo la San Lorenzo medievale, o di stile pre-romanico. A cavallo con l’inizio del secolo successivo, il passaggio dalla funzione di basilica a quella di cattedrale sede del vescovo. La fase romanica vera e propria risale alla seconda metà del 1100, con lavori di sopraelevazione, suddivisa anch’essa in due “step” di cantiere, che viene ultimato al massimo all’inizio del XIII secolo. L’ultima fase costruttiva (per lo più lungo il XIII secolo) è quella che ci consegna la cattedrale più o meno come possiamo ammirarla ancora oggi. Col suo caratteristico impianto a croce greca – ottenuto grazie all’inserimento di un nuovo corpo trasversale ortogonale – ancora più alta, allungata nella parte posteriore. Il cupolone, del XIV secolo, è più slanciato rispetto alla prima cupola a tamburo quadrato. Al bellissimo e scenografico nuovo ingresso monumentale a sud-ovest si lavorò tra il 1100 e il 1200. L’autrice fa notare come fin dall’inizio i vari, decisivi cambiamenti apportati all’edificio coincisero con donazioni di nobili e ricche famiglie all’autorità religiosa.
Quanto alla figura di San Ciriaco, Simona Petrelli si distacca in buona parte dalla versione religiosa tradizionale, secondo la quale si trattasse di un sacerdote ebreo di nome Giuda che consegnò la vera croce di Cristo alla regina Elena (madre di Costantino), si convertì al Cristianesimo col nome di Ciriaco, divenne vescovo di Gerusalemme e poi di Ancona. Piuttosto sottolinea l’ipotesi storica, ormai nota e molto fondata, che avalla la tradizione soprattutto riguardo al martirio di cui Ciriaco (l’ex Giuda) fu vittima nel periodo dell’imperatore Giuliano L’apostata (331-363 d.C.). Le sue reliquie furono trasferite ad Ancona nel V secolo come dono dell’imperatrice Galla Placidia. Di sicuro, tuttavia, fin dall’alto Medioevo, Ciriaco fu fortemente venerato come Santo ad Ancona. E certe sono le modalità del martirio e della morte. Le interessantissime pagine conclusive del saggio, riferendo gli esiti della ricognizione e ispezione della salma avvenute nel 1979 e i successivi esami radiologici, chimici e istiologici, provano che effettivamente fu costretto a ingoiare del piombo fuso.
(articolo tratto da Urlo – mensile di resistenza giovanile)