E’ morto in carcere l’ex dittatore argentino Jorje Rafael Videla, “El infierno es poco”

BUENOS AIRES, 18 Maggio 2013 – A volte, la morte può essere un sollievo. Lo è sicuramente per Jorje Rafael Videla, morto ieri, in carcere dove avrebbe dovuto scontare due ergastoli per crimini contro l’umanità. La sua morte è un sollievo è anche per madri di Plaza de Mayo, che sanno che “un essere spregevole ha lasciato questo mondo”.

Videla, dittatore argentino dal 1976 al 1981, è morto per cause naturali nel carcere Marcos Paz di Buenos Aires, all’età di 87 anni, senza essersi mai pentito. Il suo motto era chiaro: «Prima elimineremo i sovversivi, poi i loro collaboratori, poi i loro simpatizzanti, successivamente quelli che resteranno indifferenti e infine gli indecisi».

Il dittatore argentino, dopo aver deposto Isabelita Peron con un golpe militare, attuò un regime militare privando gli argentini della libertà, della propria dignità. Durante la sua dittatura morirono 30 mila persone, molti di questi “desaparecidos”.

Tra i crimini commessi, l’istituzione della forza armata per reprimere gli oppositori al regime, l’esproprio delle terre ai contadini, il furto di neonati affidati poi all’esercito, lo sterminio degli oppositori: alcune migliaia di giovani dopo essere stati torturati, furono lanciati dall’aereo in volo sul Rio della Plata.

I contrasti con il Cile portarono quasi ad una guerra: il motivo di contrasto era la sovranità sulle isole del Canale di Beagle ( Picton, Lennox e Nueva). Dopo il lodo sfavorevole del Regno Unito, nel ’78, i due paesi arrivarono la conflitto armato che fu evitato grazie alla mediazione di Papa Giovanni Paolo II.

Videla fu allontanato dal potere a causa delle tensioni interne tra le forze armate, e la presidenza fu assunta dal Capo di Stato Maggiore dell’esercito, Roberto Eduardo Viola, nel 1981. Intanto, le denunce per la violazione dei diritti umani arrivarono all’attenzione degli organismi internazionali e degli stati esteri.

Nel 1983, Videla fu processato e dichiarato colpevole per l’uccisione e la sparizione di circa 30.000 persone e condannato all’ergastolo. Nel 1990 però, il Presidente Carlos Saul Menem, gli concedette l’indulto per via delle pressioni che riceveva dalle giunte militari. Il 25 Aprile 2007 però, la grazia concessa dal Presidente Menem fu ritenuta incostituzionale e le condanne di ergastolo emesse nel processo dell’85 ritornarono efficaci e Videla fu rinchiuso in carcere.

Si susseguirono altre recenti sentenze, il 22 dicembre 2010,  un ergastolo per la morte di 31 detenuti in un carcere e il 5 luglio 2012, una condanna a 50 anni per rapimento e sottrazione di identità perpetrati nei confronti dei figli dei desaparecidos. Insieme a lui sono stati condannati Reynaldo Bignone (a 15 anni) eJorge Eduardo Acosta, detto “el Tigre” (a 30 anni).

Come è facilmente intuibile, gli orrori commessi dalla dittatura argentina sono di recente riconoscimento. La stessa figura di Videla è stata compresa a pieno solo dopo la sentenza del 2007. Per moltissimi anni, la questione dei desaparecidos, dei neonati rapiti, delle persone torturate, furono battaglie portate avanti da poche associazioni di familiari e discendenti delle vittime nel più totale disinteresse del governo.

Dopo la morte di Videla, molti politici hanno chiesto che sia ricordato come un dittatore, ed espresso cordoglio per i familiari delle vittime. Hernán Lombardi, Ministero della Cultura, ha elogiato la democrazia argentina che lo ha condannato. Ricardo Alfonsin ha elogiato il fatto che Videla sia morto in carcere. Ma ciò che è più eloquente è lo striscione appeso da alcuni ragazzi vicino l’abitazione di Videla con scritto “El infierno es poco”.

 

CLARISSA MARACCI

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