di Dott.ssa LAURA FRANCESCHI (Scienze e Tecnologie dell’ambiente e del territorio Università Bicocca di Milano)
I dati che sono stati aggiornati al 2021, dicono che all’interno dell’UE-27, le donne sono pagate in media il 14,1% in meno rispetto agli uomini e proprio per questo la Commissione Europea ha deciso di “celebrare” il 10 novembre regalandogli il titolo di “Equal Pay Day”. Simbolicamente è come se in questo giorno, rispetto ai loro colleghi maschi, le donne smettessero di guadagnare.
Il gender pay gap
Alla base del “Equal Pay Day” vi è un particolare fenomeno: il divario retributivo di genere (gender pay gap), ovvero la differenza nella retribuzione oraria lorda tra uomini e donne, trasversale ai vari settori dell’economia. Nella realtà la questione è ben più complicata, infatti, possono essere distinte due tipologie differenti di divario retributivo di genere.
La prima tipologia è anche definita come gender pay gap “grezzo”(o non aggiustato); questo indica la differenza media della retribuzione lorda oraria tra donne e uomini, mentre la seconda è indicata come gender pay gap “complessivo”. In questo secondo dato vengono prese in considerazione, oltre al salario orario, anche il numero medio mensile delle ore retribuite e il tasso di occupazione.
Una disuguaglianza che, non per forza, significa discriminazione
Tuttavia, non è giusto ridurre il divario retributivo di genere ad una mera questione di discriminazione. Infatti, secondo l’Unione Europea, sono molteplici le cause che contribuiscono ad alimentare il gender pay gap e le principali possono essere riassunte in quattro punti:
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La prima causa è la segregazione settoriale. Esiste una “sovra-rappresentazione” delle donne nei settori poco remunerativi (come l’assistenza e l’istruzione) e, di conseguenza, il gentil sesso è molto meno presente nei settori meglio con paghe più elevate come i settori che coinvolgono le scienze, la tecnologia, l’ingegneria e la matematica. Si stima che l’80% dei lavoratori, in tali settori, sia di sesso maschile; la sola segregazione settoriale basterebbe a spiegare ben il 30% dell’intero divario retributivo di genere.
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La seconda causa ha un nome proprio ed è denominata il “soffitto di vetro”. Con tale dicitura viene indicata la scarsa rappresentazione delle donne nelle posizioni lavorative gerarchicamente più avanzate. In Europa meno del 10% degli amministratori delegati è donna e, in Italia, questo dato diminuisce addirittura toccando il 6% della popolazione italiana femminile. Essendoci una stretta corrispondenza tra il salario e il ruolo ricoperto nella piramide lavorativa, è facile intuire come il soffitto di vetro contribuisca pesantemente ad alimentare il gender pay gap.
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La terza motivazione risiede nel fatto che, generalmente, le donne si fanno carico dei compiti familiari non retribuiti in misura maggiore rispetto agli uomini. Anche per via delle influenze del passato, può accadere che nelle famiglie siano le donne a occuparsi di attività come la cura dei famigliari o i lavori di casa. Questo potrebbe far propendere le loro scelte verso lavori che le tengano occupate per un numero di ore giornaliere inferiore. Inoltre, per gli stessi motivi, è possibile che trascorrano più tempo fuori dal mercato del lavoro e questo non solo condiziona la loro retribuzione oraria, ma finisce per avere degli impatti importanti anche sui guadagni futuri. Proprio per questo l’UE sta promuovendo una serie di politiche volte alla condivisione più equa dei congedi parentali oltre che al miglioramento dell’offerta pubblica dei servizi di assistenza.
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Infine, solo come ultima causa può essere citata la discriminazione retributiva. Si parla di discriminazione quando pur svolgendo i compiti di pari valore, le donne guadagnano meno degli uomini. Il principio della parità di retribuzione per lavoro di pari valore è sancito dai Trattati europei (articolo 157 TFUE) dal 1957 e, sebbene sia vietata, la discriminazione retributiva, talvolta, continua a contribuire al divario retributivo di genere.
La situazione in Italia
Secondo i dati di Eurostat, pubblicati lo scorso febbraio e riferiti all’anno 2019, l’Italia rappresenta un’eccellenza. Infatti, guardando “Gender pay gap in unadjusted form”, il Belpaese è il terzo in Europa per minor divario salariale di genere: la percentuale si arresta al 4.7% con la diminuzione di quasi un punto percentuale rispetto all’anno precedente.
Meno confortanti sono i dati riferiti al gender pay gap complessivo, su tale dato pesa fortemente il fatto che le donne e gli uomini non siano egualmente rappresentati sul mondo del lavoro: in Italia la partecipazione femminile ai mercati del lavoro si arresta al 39.84%, mentre il tasso di occupazione maschile è il 67.2%. Questo significa che su cento donne atte al mondo del lavoro solo in 40 effettivamente hanno un impiego mentre su cento uomini atti al mondo del lavoro ben 67 di loro possiedono collocazione.
Ancor più preoccupante, soprattutto se si guarda alla crescita degli altri paesi europei, è che la percentuale delle donne occupate è descritta da un dato che non è variato di molto negli ultimi 40 anni, infatti, nel 1980 il tasso era pari al 32.34%. Nello stesso periodo di tempo la vicina Francia ha incrementato i suoi tassi di quasi 10 punti percentuali mentre, dall’altra parte del mediterraneo, la Spagna è passata da un tasso di occupazione femminile del 27.19% ad un tasso del 51.62%.
Come possiamo migliorare la situazione?
L’insegnamento che possiamo trarre anche guardando i dai dati relativi al nostro paese è che fortunatamente il divario salariale sia stato quasi completamente colmato: si è ogni giorno più vicini al compimento dell’“Uguale lavoro, uguale paga” ossia lo slogan che era stato utilizzato nelle prime fasi della campagna per sensibilizzare l’opinione pubblica verso queste tematiche.
Il vero problema, soprattutto in Italia, risiede nel fatto che le donne siano ancora poco rappresentate nel mondo del lavoro e che, ancora, facciano maggiore fatica a prendere “al volo” quell’ascensore -sociale- che le dovrebbe portare fino ai vertici del mondo del lavoro.
Proprio in tal senso il gender pay gap può essere visto come una delle molteplici sfaccettature che compongono il complesso poliedro della “gender equality”. Dunque è solo superando il problema di uguaglianza di genere che si avrà un miglioramento della situazione salariale. Tra i primi a combattere questa battaglia c’è l’ONU che ha dedicato un intero obiettivo della sua preziosa agenda per il 2030 a questa tematica.