INIZIA A MILANO L’EXPO:NUTRIRE IL PIANETA, ENERGIA PER LA VITA
del dottor Giorgio Rossi
Il 1° maggio è iniziata l’EXPO 2015 di Milano dal titolo “ Nutrire il Pianeta, Energia per la Vita”. Nei 6 mesi di apertura, fino al 31 ottobre, sarà sviluppato, da esperti provenienti da tutto il mondo, il tema dell’alimentazione nei sui molteplici aspetti : politici, economico- finanziari, sociali, culturali, scientifici, tecnologici affrontando problemi globali come la fame nel mondo, l’obesità, la sostenibilità ambientale, lo spreco alimentare e più in generale la salute dell’uomo e la salute del pianeta.
Un dibattito che culminerà nella Carta di Milano, alla cui stesura stanno già partecipando da alcuni mesi i maggiori esperti dell’argomento a livello mondiale, che rappresenterà la dichiarazione conclusiva dell’Esposizione Universale da consegnare al segretario dell’ONU Ban Ki-moon quale atto di indirizzo internazionale.
“Assicurare a tutta l’umanità un’alimentazione buona, sana, sufficiente e sostenibile” questa è la sfida gigantesca che si pone l’EXPO e a cui solo l’uomo, artefice fin qui di uno straordinario percorso d’evoluzione e intervento sulla natura, può darvi risposta .
Cominciando dall’enorme problema ancora rappresentato dalla fame nel mondo : nel 2013 circa 842 milioni di persone, circa una su otto nel mondo, soffrono cronicamente la fame e non dispongono di cibo sufficiente per condurre una vita attiva. La regione più colpita è l’Africa, dove una persona su quattro è sottoalimentata, seguita da alcuni paesi dell’Asia meridionale.
E quando si parla di fame nel mondo, non basta pensare a quantità di cibo, ma bisogna parlare anche di qualità; infatti conta anche la disponibilità di tutti i nutrienti di cui il nostro organismo ha bisogno. Purtroppo, invece, un miliardo e mezzo di persone soffrono di anemia dovuta a carenza di ferro. Mezzo milioni di bambini ogni anno diventano ciechi per mancanza di vitamina A. La mancanza di zinco provoca la morte di circa 400.000 bambini. Circa 165 milioni di bambini soffrono di malnutrizione, che ha conseguenze a lungo termine anche sulle loro capacità cognitive, quindi sulla possibilità di studiare e di trovare lavoro.
Fortunatamente, le persone che soffrono la fame sono 173 milioni in meno rispetto al 1990, nonostante la popolazione mondiale sia nel frattempo passata da 5,5 a quasi 7 miliardi.
Paradossalmente, a fronte di tale “pesanti” dati, oggi il numero delle persone sovrappeso (1,1 miliardi) o obese (500 milioni) è quasi esattamente il doppio di quello delle persone che soffrono la fame. Ma è anche il doppio rispetto al 1980 e la metà rispetto al 2030, se il trend attuale dovesse continuare. Questo è un problema principalmente dei paesi ricchi, ma negli ultimi anni il problema è esploso anche nei paesi emergenti. Infatti è sovrappeso o obeso il 53% dei brasiliani, il 65% dei messicani, il 70% degli abitanti del Medio Oriente e Nordafrica e persino 25% dei cinesi.
In Italia e sovrappeso il 31% della popolazione e un altro 10% è obeso.
Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) i chili di troppo sono responsabili del 44% dei casi di diabete, del 23% degli infarti e del 40% di alcuni tipi di cancro, e sono diventati la causa di malattia in più rapida crescita. Si stima ad esempio che nella sola Cina ci siano tra i 90 e i 100 milioni di diabetici.
Uno degli aspetti che più preoccupa gli esperti è che nel 2050 saremo due miliardi di più; secondo i dati delle Nazioni Unite la popolazione mondiale dovrebbe passare dai 7 miliardi ai 9 miliardi e secondo la FAO ( Food and Agricolture Organization) nel 2050 dovremo produrre il 70% di cibo in più rispetto a oggi. La produzione annuale di cereali dovrà aumentare da 2,1 a 3 miliardi di tonnellate. Quella di carne dovrebbe più che raddoppiare. Sulla carta, non sembra un obiettivo impossibile, se siamo riusciti a far fronte a un aumento del 80% fra il 1970 e il 2010, potremo forse far fronte a un aumento del 30% da qui al 2050. Il problema è che l’aumento demografico si concentrerà da una parte nei paesi emergenti, dove c’è poca terra ancora disponibile per essere convertita all’agricoltura , c’è poca acqua e i limiti ambientali sono ormai prossimi, e dall’altra nei paesi più poveri, in particolare in Africa, nei quali è più difficile aumentare la produttività dell’agricoltura.
Pertanto , aumentare la produzione di cibo del 70% nei prossimi 40 anni potrebbe rilevarsi più difficile di quanto sia stato aumentarla del 150% nei quarant’anni precedenti. E soprattutto riusciremo a farlo senza danneggiare troppo l’ambiente?
Anche se siamo abituati a considerare l’agricoltura “naturale”, si tratta in realtà di un’attività assolutamente artificiale che ha comunque un impatto ambientale fortissimo. L’intensificazione dell’agricoltura avvenuta negli ultimi cinquant’anni ha avuto il merito di aumentare enormemente la produzione di cibo in cambio di un aumento relativamente modesto della superficie coltivata, ma in molte regioni del mondo ha avuto un prezzo pesante in termini di erosione, impoverimento o salinizzazione del suolo, esaurimento delle falde acquifere, inquinamento delle acque da parte di fertilizzanti e pesticidi, forti consumi di energia. L’impatto ambientale diventa gigantesco se consideriamo la filiera della carne. Per il pascolo usiamo un quarto delle terre emerse, per produrre mangimi, come soia e mais, usiamo un terzo di tutta la terra coltivabile. La produzione di carne è il principale fattore della distruzione delle foreste tropicali ed è responsabile del 18% della produzione di gas serra : un contributo maggiore di quello dell’intero sistema dei trasporti globale. Il settore zootecnico è anche uno dei maggiori consumatori di acqua dolce.
La mancanza d’acqua è probabilmente il più importante fattore limitante della produzione di cibo, responsabile da sola del consumo del 70% dell’acqua dolce disponibile sulla terra, percentuale che sale al 90% in regioni aride come il Medio Oriente e il Nordafrica.
Per affrontare questi problemi, negli ultimi anni si è sviluppato il concetto di “intensificazione sostenibile” chiedendo aiuto alla ricerca scientifica per lo sviluppo di nuove tecnologie tendenti all’aumento della produttività e dell’efficienza nell’uso delle risorse necessarie.
E poi ridurre lo spreco di cibo. Secondo la FAO, un terzo circa del cibo prodotto nel modo, equivalente a un miliardo e 300 milioni di tonnellate l’anno, non arriva nel piatto dei suoi abitanti.
Nei paesi più poveri, gli sprechi avvengono soprattutto a livello di produzione per mancanza delle infrastrutture necessarie a causa di topi, ratti, locuste e latri insetti o si deteriora per mancanza di igiene o di una catena del freddo.
Nei paesi ricchi , invece, gli sprechi maggiori si hanno a livello di vendita e consumo perché può contenere contaminanti superiori ai limiti di legge, perché il livello qualitativo, anche solo nell’aspetto, non è all’altezza , perché è scaduto ma è ancora buono, perché i supermercati preferiscono tenere sempre gli scaffali pieni anche se sanno che parte del prodotto non sarà venduta. Inoltre molto cibo viene sprecato a casa : secondo la FAO dai 95 ai 115 chili di cibo per persona all’anno. In Italia, le stime più affidabili parlano di un 8% della spesa alimentare che finisce nella spazzatura. Con un costo umano e ambientale incalcolabili e con un costo economico che si aggira a livello mondiale intorno ai 750 miliardi di dollari l’anno.