Musica & Diritto: Luigi Tenco, “io sono uno che ride di rado”

 

Il 27 gennaio 1967 moriva Luigi Tenco. Nell’anniversario della sua scomparsa pubblichiamo l’articolo della nostra rubrica che aveva già affrontato anche i tanti dubbi sulla sua scomparsa. Tenco diceva di sè “io sono un uomo che ride di rado”, tristezza e malinconia che trapelano nel suo sguardo, nella sua voce e forse anche nella sua scelta di non vivere.

Il Festival di Sanremo edizione 1967 si tinge di note cupe e scure per la morte del cantautore italiano Luigi Tenco avvenuta in un albergo della città proprio durante la popolare manifestazione musicale. Ancora oggi a più di quarant’anni di distanza, la morte di Tenco è avvolta in una nebbia fitta di mistero che, pur dissipata dalla magistratura con un’archiviazione formale del caso come suicidio, rimane per molti in realtà ancora fitta ed impenetrabile.

Luigi Tenco, classe 1938,  percorre la sua carriera da cantautore spesso in conflitto con la sua notorietà crescente e con uno spirito di contraddizione per molti versi specchio degli anni ’60 in cui lo stesso si afferma. Vive esperienze musicali in diverse band come la “Jelly Roll Boys Jazz band “ da lui stesso fondata, nel gruppo  “I Cavalieri”, nel “Modern Jazz Group”,  nel “Trio Garibaldi” (con Ruggero Coppola e Marcello Minerbi), nei “Diavoli del Rock”, nel  gruppo “Primitives” e con la pubblicazione nel 1961 del suo primo 45 giri  da solista e con il suo vero nome ( I miei giorni perduti) .
Il cantautore vive però anche esperienze cinematografiche: nel 1962 partecipa al film “La Cuccagna” di Luciano Salce e nel 1965 al film “008: Operazione  ritmo”.
Tenco si trova anche a fronteggiare la censura che per ben due volte blocca le sue canzoni “Io si” e “Una brava ragazza”.

Ma è la partecipazione al Festival di Sanremo del 1967 a segnare per sempre ed in modo misterioso la sua carriera, la sua fine ed il suo ricordo.
Vi partecipa con il brano “Ciao amore ciao” insieme alla cantante italo-francese Dalida (nome d’arte di Iolanda Cristina Gigliotti) con la quale aveva anche avuto una relazione sentimentale, ma il pubblico non apprezza la canzone tanto che non sarà ammessa alla finale del festival classificandosi solo al 12esimo posto.
Quella stessa notte, tra il 26 ed il 27 gennaio 1967, Tenco si richiude nella sua camera di albergo dove sarà proprio Dalida a trovarlo morto con un colpo di proiettile alla testa. Accanto al cadavere dell’artista un biglietto con scritto:

“ Io ho voluto bene al pubblico italiano e gli ho dedicato inutilmente cinque anni della mia vita. Faccio questo non perché sono stanco della vita (tutt’altro) ma come atto di protesta contro un pubblico che manda Io tu e le rose in finale e ad una commissione che seleziona La rivoluzione. Spero che serva a chiarire le idee a qualcuno. Ciao. Luigi.”

Tutto sembra far pensare ad un suicidio ed anche la scrittura di quel biglietto sarà attribuita a Tenco, seppur  23 anni dopo la sua  morte,  da un’apposita perizia calligrafica disposta dalla magistratura.
Tutto sembra far pensare ad un gesto estremo del cantante solitario e malinconico ma molti aspetti rimangono misteriosi e si diffondono sempre più le teorie di un possibile omicidio.
Tenco viene trovato da Dalida nella sua stanza con la porta accostata e la chiave ancora inserita all’esterno e con in mano una calibro 22 ma in quella stanza sarebbe stata trovata anche un’altra arma.

Quella sera il cantautore avrebbe vinto al casinò sei milioni delle vecchie lire ma nella stanza viene trovato solo l’assegno di 100 mila lire di un collaboratore.
Le ricostruzioni sull’esatta posizione del cadavere sono confuse e diverse tra loro e forse ciò è dovuto al fatto che il corpo, inizialmente trasportato all’obitorio, poi viene riportato in quella stanza d’albergo perché non sono stati compiuti i rilievi fotografici necessari per le indagini della Procura.
Anche le ricostruzione dell’esatta posizione della pistola sono diverse tra loro.
L’incertezza investigativa non risparmia neppure  l’ora della morte che oscilla fra le 1.30 e le 2.30 di notte senza assoluta certezza.
Il caso viene comunque archiviato come suicidio e non viene disposta alcuna autopsia sul cadavere né alcuna analisi sulla presenza o meno di polvere da sparo sulla mano di Tenco che avrebbe esploso il colpo mortale contro se stesso.

I numerosi dubbi lasciati dalle indagini sulla morte di Luigi Tenco portano la magistratura nel 2005 a riaprire  il caso con la riesumazione del cadavere ma dopo due mesi viene confermata la tesi del suicidio. Per la seconda volta la fine di Tenco viene attribuita soltanto a se stesso e forse alla sua anima troppo malinconia e troppo fragile che in un attimo è voluta sprofondare nel buio più totale.

Voglio ricordare questo nostro cantautore con la canzone “Ragazzo mio”. Il testo ha la forza vibrante di una lettera a cuore aperto destinata a tutti noi, destinata a spronare alla vita , ad avere sempre idee e a crederci perché “… appena si alza il mare, gli uomini senza idee per primi vanno a fondo …”

  

Ragazzo mio,

un giorno ti diranno che tuo padre

aveva per la testa grandi idee,

ma in fondo poi non ha concluso niente.

Non devi credere no,

vogliono far di te

un uomo piccolo,

una barca senza vela;

ma tu non credere no,

che appena s’alza il mare,

gli uomini senza idee

per primi vanno a fondo.

Ragazzo mio,

un giorno i tuoi amici ti diranno

che basterà trovare un grande amore,

e poi voltar le spalle a tutto il mondo.

Non devi credere, no,

non metterti a sognare

lontane isole che

 non esistono;

non devi credere, ma,

se  vuoi amar l’amore,

tu non gli chiedere

quello che non può dare.

Ragazzo mio,

un giorno sentirai dir dalla gente

che al mondo stanno bene solo quelli

che passano la vita a non far niente.

No, no, non credere, no,

non essere anche tu

un acchiappanuvole

che sogna di arrivare;

no, no, non credere, no,

non invidiare chi

vive lottando invano

col mondo di domani.

 

VALENTINA COPPARONI

 

 

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