ANALISI DI UNA FATTISPECIE TROPPO SPESSO ALLA RIBALTA DELLA CRONACA
di avv. Annamaria Palumbo
SOMMARIO: I. INTRODUZIONE ALLA NORMA. 1. Oggetto della tutela penale. II. IL COMMENTO. 1. Soggetto attivo. 2. Il nucleo centrale della condotta: l’individuazione delle notizie segrete. 3. L’elemento soggettivo. III. LE QUESTIONI APERTE. 1. La nozione giuridica di segreto.
Art. 379-bis.
Rivelazione di segreti inerenti a un procedimento penale.
Salvo che il fatto costituisca più grave reato, chiunque rivela indebitamente notizie segrete concernenti un procedimento penale, da lui apprese per avere partecipato o assistito ad un atto del procedimento stesso, è punito con la reclusione fino a un anno. La stessa pena si applica alla persona che, dopo avere rilasciato dichiarazioni nel corso delle indagini preliminari, non osserva il divieto imposto dal pubblico ministero ai sensi dell’articolo 391-quinquies del codice di procedura penale.
Articolo aggiunto dall’art. 21, L. 7 dicembre 2000, n. 397 (Gazz. Uff. 3 gennaio 2001, n. 2).
I. INTRODUZIONE ALLA NORMA.
1. Oggetto della tutela penale.
L’articolo 379-bis è stato introdotto dalla legge 7 dicembre 2000 n. 397 (Disposizioni in materia di indagini difensive) allo scopo di rafforzare la tutela penale del segreto processuale. In particolare è tutelato l’interesse al corretto svolgimento dell’attività giudiziaria mediante l’incriminazione di condotte atte ad alienare la ricostruzione processuale della verità dei fatti (GAROFOLI, (1), 430).
Il reato di rivelazione di segreti inerenti a un procedimento penale (art. 379-bis c.p.) prevede due distinte ipotesi, laddove punisce da un lato l’indebita rivelazione della notizia segreta da parte di chi ha partecipato o assistito ad un atto del procedimento e, dall’altro, da parte di chi ha rilasciato dichiarazioni sulle quali il Pubblico Ministero ha esercitato il potere di segretazione di cui all’art. 39– quinquies c.p.p.
II. IL COMMENTO
1. Soggetto attivo.
Il reato di rivelazione di segreti inerenti a un procedimento penale è un reato proprio, nel senso che può essere commesso solo da chi ha “partecipato o assistito” ad un atto del procedimento ovvero da chi ha rilasciato dichiarazioni sulle quali il pubblico ministero ha esercitato il “potere di segretazione” di cui all’art. 391-quinquies c.p.p.
Trattasi di reato che si differenzia da quello di cui all’art. 326 c.p. (rivelazione ed utilizzazione di segreti d’ufficio) solo per un’estensione dell’ambito dei possibili soggetti attivi, ricomprendendovi anche soggetti sforniti di qualifiche pubbliche. Stante la clausola di riserva contenuta nella norma, è da ritenere che sia applicabile la più grave fattispecie di rivelazione di segreto d’ufficio (art. 326 c.p.) nel caso in cui il segreto sia violato da un soggetto che ha la qualifica di pubblico ufficiale.
2. Nucleo centrale della condotta: l’individuazione delle notizie segrete.
Quanto alla condotta tipica, essa può consistere anzitutto nella indebita rivelazione di notizie segrete concernenti un procedimento penale. Può consistere, inoltre, nella violazione del segreto nell’ipotesi in cui, per specifiche esigenze attinenti all’attività d’indagine, il pubblico ministero abbia vietato alle persone sentite di comunicare i fatti e le circostanze oggetto d’indagine di cui abbiano conoscenza (art. 391 c.p.p.).
Per l’individuazione delle notizie segrete è necessario fare riferimento alle norme processuali che disciplinano gli atti segretati ed in particolare l’articolo 329 c.p.p., il quale stabilisce che gli atti di indagine compiuti dal pubblico ministero e dalla polizia giudiziaria sono coperti dal segreto fino a quando l’imputato non ne possa avere conoscenza e, comunque, non oltre la chiusura delle indagini preliminari.
Nel caso di indebita rivelazione della notizia segreta da parte di chi ha partecipato o assistito a un atto del procedimento, il divieto di rivelazione ha ad oggetto solo l’atto d’indagine in quanto tale, cui ha partecipato o assistito la persona, nonché la sua documentazione, ma non anche il fatto storico oggetto dell’atto e dell’indagine di cui il soggetto abbia avuto conoscenza in precedenza, cioè a prescindere dall’atto d’indagine.
Non è stato, pertanto, ritenuto integrato il reato di rivelazione di segreti inerenti ad un procedimento penale nel caso di consegna ad un giornalista di files contenuti in un notebook oggetto di sequestro, essendo avvenuta tale consegna dopo la restituzione del computer alla proprietaria ed in assenza di qualsiasi avvertimento formale circa l’obbligo di mantenere il segreto sul contenuto del notebook, mancando nel decreto di restituzione una disposizione in tal senso (Cass. Pen. Sez. VI, 16 febbraio 2011 n. 20105).
Per converso, è stato ritenuto responsabile del reato di cui all’art. 379-bis c.p. l’avvocato che, quando ancora gli atti erano coperti dal segreto d’indagine e i responsabili non erano ancora stati individuati, ha rivelato nel corso di un’intervista in una trasmissione televisiva circostanze apprese dal suo consulente di fiducia nel corso dello svolgimento dell’esame autoptico (Tribunale Trapani, 30 aprile 2009) .
Nel secondo caso previsto dalla norma in esame, in ragione del provvedimento di segretazione del Pubblico Ministero, la sanzione penale colpisce qualunque comunicazione di notizia che attenga all’oggetto dell’indagine e, quindi, ai fatti inerenti all’indagine. In questo caso la rivelazione che integra il reato non riguarda gli atti di indagine ed il loro contenuto, ma attraverso il richiamo della disposizione processuale viene a comprendere i fatti e le circostanze oggetto dell’indagine. In altri termini, qui la sanzione penale colpisce qualunque comunicazione di notizia che attenga all’oggetto dell’indagine e, quindi, ai fatti inerenti all’indagine. Tale allargamento della tutela del segreto è determinato, pertanto, dal provvedimento di segretazione del Pubblico Ministero.
La rivelazione delle notizie deve inoltre essere indebita, ossia non deve trovare alcuna giustificazione, né sulla base di norme di carattere sostanziale né sulla base di norme processuali.
3. L’elemento soggettivo.
L’elemento soggettivo richiesto ai fini della sussistenza della norma è il dolo generico, ossia la rappresentazione e la volontà di rivelare notizie segrete concernenti un procedimento penale.
III. LE QUESTIONI APERTE.
1. La nozione giuridica di segreto.
La funzione giuridica svolta dal segreto consiste nell’assicurare la tutela di interessi contrastanti con quello dell’acquisizione della conoscenza e ritenuti dal legislatore prevalenti. Esso, sostanzialmente, costituisce una particolare tecnica di protezione di tali interessi e consiste nell’assicurare l’appropriazione di una determinata informazione ad una cerchia ristretta di soggetti, con la consequenziale esclusione di tutti gli altri. Il segreto in senso giuridico consta, pertanto, di un elemento oggettivo ossia il fatto o la notizia, di un elemento soggettivo identificabile nel titolare della conoscenza e nei terzi esclusi da essa, e di un elemento normativo quale il divieto di divulgazione (FIORENTINO (2), 3).
In ragione della sua funzione, il segreto si pone in chiara contrapposizione con la libertà di informare ed essere informati, fondata sull’articolo 21 della Costituzione.
In generale, l’ambito di tutela offerta dall’intero ordinamento giuridico all’interesse del soggetto ad acquisire la conoscenza si è andato nel tempo notevolmente ampliando. Tale evoluzione, in ambito civilistico, è stata attuata dapprima attraverso l’elaborazione della categoria dei doveri di protezione (cioè quegli obblighi accessori al rapporto obbligatorio, fondati sui doveri di correttezza e buonafede, tra i quali si annovera il dovere di informare la controparte di tutti i fatti idonei a pregiudicare il suo interesse negoziale), poi attraverso la legislazione di matrice comunitaria che ha introdotto specifici e puntuali obblighi di informazione. D’altra parte, il diritto alla riservatezza, in origine sostanzialmente marginale, ha anch’esso acquisito un ruolo primario essendo ora considerato un elemento conformativo di tutti i diritti di libertà. Può, pertanto, affermarsi che lo strumento preferenziale attraverso il quale l’ordinamento prescrive la limitazione della conoscenza è costituito attualmente dalla privacy piuttosto che dal segreto. Anche nel campo del diritto amministrativo, l’introduzione legislativa del diritto di accesso (attuata con L. 7 agosto 1990 n. 241) ha fatto sì che, in luogo del tradizionale principio della segretezza degli atti d’ufficio, il ruolo di principio generale informatore dell’attività della pubblica amministrazione è stato assunto dalla trasparenza.
Nell’ambito penalistico, che qui ci compete, l’esame della dottrina sulla nozione di segreto induce a ritenere che una definizione generalmente condivisa non esiste. Secondo una prima autorevole definizione “il segreto è un concetto di relazione materiale o personale che indica il limite posto da una volontà giuridicamente autorizzata alla conoscibilità di un fatto o di una cosa, per modo che questi siano attualmente destinati a rimanere occulti per ogni persona diversa da quelle che legittimamente li conoscono, ovvero per coloro ai quali non vengono palesati da chi ha il potere giuridico di estendere o di togliere il detto limite, o da forze volontarie o involontarie indipendenti dalla volontà di chi ha la giuridica disponibilità del segreto” (MANZINI (3), 199). La complessa articolazione di tale definizione rende immediatamente chiara la portata della difficoltà di definire concettualmente il segreto. Secondo altro autore, il segreto consiste più che in una cosa o un fatto – che di per sé soli sono neutri – in un concetto di relazione, i cui termini sono costituiti dalla conoscenza di una notizia da parte di un soggetto e dall’interesse di un altro soggetto ad evitare la divulgazione (CRESPI (4); ANTOLISEI (5), 188). Meritano un cenno anche altre definizioni, considerate tuttavia eccessivamente sintetiche e foriere di imprecisioni, come quella che definisce segreto “tutto ciò che non è destinato ad essere liberamente conosciuto” (GRISPIGNI (6), 163), ovvero quella che afferma che “il segreto è uno stato di fatto garantito dal diritto per cui una notizia deve essere conosciuta solo da una persona o da una ristretta cerchia di persone” (NUVOLONE (7)). Sul punto, l’elaborazione giurisprudenziale non offre alcun contributo rilevante.
In realtà, tra i fattori ostativi all’elaborazione di una nozione unitaria del segreto in senso giuridico, vanno annoverate sia l’eterogeneità degli interessi che ne costituiscono il fondamento sostanziale, sia le differenti modalità mediante le quali la legge si propone di assicurarne la tutela. Per questa ragione descrivere il segreto sotto il profilo strutturale è un’operazione estremamente difficoltosa e, secondo alcuni, addirittura non necessaria, costituendo il segreto non l’oggetto della tutela ma solo uno strumento predisposto a protezione di un rapporto o di una situazione (PISA (8), 106).
Quel che è certo è che la tutela del segreto non è mai fine a se stessa, ma è strumentale alla protezione di un interesse ulteriore (identificato con il bene giuridico tutelato dalla norma incriminatrice) del titolare della conoscenza. Necessaria è pertanto una preliminare operazione di selezione e di individuazione degli specifici interessi sottostanti, fra loro fortemente eterogenei (si pensi alla varietà delle fattispecie penali che tutelano beni giuridici a mezzo del segreto, come ad esempio, oltre alla fattispecie in esame, gli artt. da 256 a 263 c.p., l’art. 326 c.p., gli artt. da 616 a 623 c.p., gli artt. da 682 a 685 c.p.).
BIBLIOGRAFIA: (1) GAROFOLI, Manuale di diritto penale. Parte speciale, Neldiritto Editore, Roma, 2011; (2) FIORENTINO, Il segreto come elemento penale della fattispecie, www.iniurepresentia.eu; (3) MANZINI, Trattato di diritto penale, vol. IV, 4a. ed.,Utet, 1962; (4) CRESPI, La tutela penale del segreto, Palermo, 1952; (5) ANTOLISEI, Manuale di diritto penale. Leggi complementari, a cura di Conti, Milano, 1985; (6) GRISPIGNI, Diritto penale italiano, vol. II, Padova, 1932; (7) NUVOLONE, I reati di stampa, Milano, 1951; (8) PISA, Il segreto di Stato. Profili penali, Milano 1977.
Buongiorno e complimenti per l’articolo.
Mi piacerebbe sapere se per procedimento penale si intendono anche le attività svolte dalla PG su delega dell’autorità giudiziaria a seguito di un esposto, con inserimento della possibile notizia di reato all’interno del modello 45.
Mi chiedevo se, nello specifico, aver rivelato genericamente il compimento di un atto da parte della PG (nel caso concreto un campionamento dell’aria a seguito di un esposto per inquinamento di una zona industriale) possa integrare la violazione dell’articolo 379bis cp.
Saluti
Buonasera e grazie per l’interessante domanda. Sicuramente per procedimento kpenale si intendono anche le attività delegate dal Pm alla PG in fase di indagine.
Quanto allo specifico caso della sua domanda, direi proprio che la condotta descritta (quantomeno per quel che mi è dato capire dalla sua descrizione) non integri il reato de quo, in quanto non si rientra nel concetto di notizie segrete. non tutte le rivelazioni attinenti un atto di indagine, infatti, costituiscono una indebita rivelazione di segreto. In questo caso il fatto che la notizia di reato sia stata iscritta nel modello 45 (ovvero atti non costituenti reato) a mio avviso toglie ogni dubbio sul fatto che non vi fosse alcun segreto istruttorio da preservare.
Ovviamente come detto per una risposta certa e più esauriente occorrerebbero più dettagli. Saluti. Avv. Tommaso Rossi