LA CORTE COSTITUZIONALE BOCCIA IL DIVIETO DI DONATORI ESTERNI PREVISTO DALLA L.40/2004
di Avv. Marusca Rossetti
In settimana un nuovo stop da parte della Corte Costituzionale e questa volta a farne le spese, per così dire, è la L. 40/2004 sulla fecondazione assistita.
Sì perché in un comunicato stampa emesso dallo stesso Palazzo della Consulta si legge che la Corte, nel corso della Camera di Consiglio del 9 aprile 2014, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale degli artt. 4, co. 3, 9 co. 1 e 3 e 12, co. 1 della menzionata legge.
Le motivazioni della decisione verranno, come di consueto, pubblicate entro un mese, ma intanto la notizia non ha mancato di suscitare reazioni e commenti contrastanti.
Questa ennesima battuta di arresto, messa a segno nei confronti di un testo di legge che in dieci anni dalla sua adozione è finita in tribunale ventotto volte, segna la caduta di quello che è stato da molti etichettato come il suo “mattone” più importante: viene meno, infatti, il divieto di fecondazione assistita eterologa, previsto dall’art. 4 comma 3 della legge, che riportava: “E’ vietato il ricorso a tecniche di procreazione medicalmente assistita di tipo eterologo”, cioè eseguite mediante utilizzo di materiale genetico di terzo donatore.
Quando, infatti, uno dei due partner è sterile, vi è la necessità di ricorrere a spermatozoi o ovociti “esterni”alla coppia per concepire un bambino e questa pratica, fino ad ora, era vietata in Italia.
Con un effetto domino, questa dichiarazione di illegittimità trascina inevitabilmente con sé altri due incisi che recitano entrambi “in violazione del divieto di cui all’art. 4, comma 3”,cioè in violazione del divieto di eterologa, contenuti nei commi 1 e 3 dell’art. 9.
Il primo dei due, infatti, prevedeva “Qualora si ricorra a tecniche di procreazione medicalmente assistita di tipo eterologo in violazione del divieto di cui all’articolo 4, comma 3, il coniuge o il convivente il cui consenso e’ ricavabile da atti concludenti non puo’ esercitare l’azione di disconoscimento della paternita’ nei casi previsti dall’articolo 235, primo comma, numeri 1) e 2), del codice civile, ne’ l’impugnazione di cui all’articolo 263 dello stesso codice”. L’altro comma, invece, stabiliva che “ In caso di applicazione di tecniche di tipo eterologo in violazione del divieto di cui all’articolo 4, comma 3, il donatore di gameti non acquisisce alcuna relazione giuridica parentale con il nato e non puo’ far valere nei suoi confronti alcun diritto ne’ essere titolare di obblighi”.
Incostituzionale, infine, anche l’art. 12 comma 1 sulle sanzioni: “Chiunque a qualsiasi titolo utilizza a fini procreativi gameti di soggetti estranei alla coppia richiedente, in violazione di quanto previsto dall’articolo 4, comma 3, è punito con la sanzione amministrativa pecuniaria da 300.000 a 600.000 euro”.
Questa Sentenza, così come precisa Severino Antinori, uno dei “padri”della fecondazione assistita in Italia, segna “una svolta rivoluzionaria per le coppie: fino ad oggi se uno dei due partner era sterile erano costretti ai viaggi di speranza all’estero, oggi possono venire nei centri italiani, usufruire di tecniche all’avanguardia, che noi abbiamo messo a punto già anni fa, ma che non ci hanno fatto utilizzare per colpa di una legge medievale e oscurantista”.
E proprio l’impossibilità di compiere questi viaggi è uno dei motivi che hanno spinto tre coppie, di Firenze, Milano e Catania, a rivolgersi ai Tribunali delle rispettive città nel 2010: l’Avv. Baldini, uno dei legali coinvolti nella vicenda precisa che “Le coppie che questa volta hanno sollevato la questione sono affette dalla sterilità assoluta di uno dei partner e dunque la richiesta di accedere alla donazione di gamete rappresenta l’unica procedura medica in grado di consentire di aver un figlio e quindi di poter perseguire un progetto genitoriale. Il risultato dell’eliminazione del divieto di fecondazione eterologa consente finalmente all’Italia, di evitare d’ora innanzi vergognosi fenomeni di turismo procreativo come accade oggi, e nel contempo permette ai propri cittadini in piena sicurezza e senza discriminazioni (spesso basate sul censo), di realizzare il proprio progetto genitoriale in condizioni di massima sicurezza”.
I sostenitori del divieto alla metodica PMA(Procreazione Medicalmente Assistita) eterologa hanno da sempre ritenuto che la stessaviolasse il diritto del nato all’identità genetica, comportando, al contempo, rischi di commercializzazione del corpo umano e il rischio di relazioni atipiche.
Coloro che, a contrariis, l’hanno tacciato di essere un divieto anacronistico, principalmente hanno richiamato l’attenzione sul fatto che lo stesso ha da semprepenalizzato e discriminato proprio coloro che presentano forme di sterilità assoluta, non consentendo di realizzare il progetto genitoriale e di famiglia di tante coppie e impedendo l’esercizio di un diritto alla procreazione cosciente e responsabile come sancito in leggi nazionali e dichiarazioni internazionali.
Ciò in considerazione anche delle pronunce della Corte EDU del 2009 (SH c Austria ) e del 2010, nonché di un quadro normativo che a livello europeo ammette e regola in quasi tutti i paesi la PMA eterologa.
Sin dal suo esordio la Legge 40 è stata definita come “Lo statuto dei diritti dell’embrione”, mettendo in risalto la sproporzione esistente circa il grado di tutela accordato ai vari soggetti coinvolti nelle procedure di fecondazione assistita.
Ciò che, infatti, è risaltato più di ogni altro è stato l’impianto fortemente garantista predisposto nei confronti dell’embrione, difficilmente conciliabile con le esigenze delle coppie che per problematiche diverse, desiderano ricorrere alla fecondazione medicalmente assistita.
Da un lato sono stati contemplati i «diritti del figlio», ossia gli aspetti concernenti la tutela dell’embrione e dall’altro lato il «diritto al figlio», ossia gli aspetti concernenti i requisiti soggettivi ‘necessari’ per poter accedere alle tecniche di fecondazione medicalmente assistita, ma a fronte di numerosi e dettagliati articoli dedicati alla disciplina della tutela del concepito (artt.1, 8, 13 commi 1, 2, 3, 4, 5, art. 14 commi 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7, 8, 9), riguardo la tutela degli interessi delle coppie che ricorrono al supporto medico per giungere alla procreazione, nella legge 40/2004 è stato ribadito a più riprese che il ricorso alla fecondazione artificiale è consentito solo come «soluzione dei problemi riproduttivi derivanti dalla sterilità o dalla infertilità umana» (artt. 1, 4, 5, 6): ovvero, il ricorso alla procreazione assistita deve avere carattere residuale e vi si può ricorrere solo qualora non vi siano altri mezzi terapeutici per rimuovere le cause di sterilità o infertilità.
Va da sé che quel forte sbilanciamento a cui accennavamo sopra in ordine alla tutela delle due differenti situazioni soggettive, a tutto favore dell’embrione, quale soggetto considerato debole dal legislatore, è balzato immediatamente all’occhio.
Una legge disseminata di divieti (il divieto di fecondazione eterologa, di sperimentazione sugli embrioni, di crioconservazione degli embrioni ecc.) basati sull’esigenza di salvaguardare sempre e comunque il concepito, individuando in ciò l’interesse preminente da tutelare, condannando, di pari passo, un modo di procreare diverso da quello naturale considerato una minaccia per il modello classico di famiglia.
Confrontando gli interessi posti in gioco dalla fecondazione medicalmente assistita, non si è potuto non sottolineare come il concepito sia stato tutelato “in un modo irrazionale privo finanche di una coerenza interna, come se l’embrione fosse l’unico soggetto coinvolto nella vicenda” a scapito degli interessi e dei diritti della coppia di aspiranti genitori, svalutati e ritenuti meno meritevoli del favor del legislatore.
La legge 40/2004 avrebbe dovuto semplicemente delineare le ‘regole d’uso’ delle tecniche di fecondazione medicalmente assistita, invece si è trasformata in una legge dei divieti.
In essa infatti non è stata prevista l’attribuzione di nessuna facoltà in capo ai soggetti coinvolti, ma sono stati solamente fissati dei limiti, oggettivi e soggettivi, alla libertà procreativa così raggiungendo un risultato paradossale per cui una legge in tema di procreazione artificiale ha solo disciplinato ‘in negativo’, ossia tramite tutta una serie di disposizioni che impongono divieti, uno ‘statuto dei diritti dell’embrione’.
A ben vedere l’embrione è stato addirittura tutelato più del concepito quanto alla legge civile, perché il concepito acquista diritti solo alla sua nascita, e di più del feto, perché il feto può essere soppresso se sussistono i presupposti per l’applicazione della legge sull’aborto.
Ma poiché concepito, embrione e feto si riferiscono sempre alla medesima ‘persona’, cioè a medesimo soggetto che, una volta concepito e sviluppato nel feto, poi potrebbe venire alla luce, “questa disciplina appare del tutto illogica, perché rispetto alla medesima ‘persona’ propone tutele differenziate a seconda dell’età e dello stadio di sviluppo, oltre al fatto che crea uno status giuridico superiore per l’embrione e deteriore per il feto”.
L’interesse del solo concepito, oggetto e non soggetto di diritto, un essere possibile che però ancora non c’è, è stato tutelato dal legislatore e posto al di sopra di ogni altra cosa, di ogni altro interesse, di ogni altra situazione giuridicamente rilevante.
Ora, per l’aspetto che qui interessa, la ratio de divieto alla fecondazione eterologa doveva rinvenirsi nell’intento di impedire la realizzazione di una metodica considerata potenzialmente pregiudizievole allo sviluppo psico-sociale del nato che presentava rischi elevati in ordine a possibile: mercificazione del materiale genetico umano, realizzazione di parentele atipiche (discendenza biologico-genetica non coincidente con quella giuridico-sociale), violazione del diritto del figlio di conoscere le proprie origini genetiche.
Tuttavia, partendo dalla premessa che tutti gli ordinamenti europei già conoscono e disciplinano fenomeni analoghi (si pensi alla normativa sull’espianto e la circolazione degli organi umani nonché a quella sull’adozione), non può non riscontrarsi una evidente e irragionevole sproporzione del mezzo utilizzato, consistente nel divieto generalizzato di PMA eterologa, per perseguire il fine posto dato che una normativa puntuale che «neutralizzi» tali supposti rischi risulta tecnicamente possibile oltre che socialmente auspicabile (per l’analogia del ragionamento cfr. Corte EDU, 1 aprile 2010, cit. in part. §§ 76,77,81; Trib. Firenze 6-9-2010).
Come evidenziato da Gianni Baldini, “analogamente a quanto avvenuto negli ordinamenti che hanno accettato e disciplinato la metodica (e si tratta della maggioranza dei paesi della UE), optare per regole che assicurino: l’anonimato del donatore, la disciplina puntuale del sistema delle banche del seme (con specifico riguardo alla eventuale previsione di gratuità delle donazioni e alla loro non reiterabilità da parte del medesimo donatore), indagini sulle origini genetiche del nato (con una eventuale precisazione dei presupposti analogamente a quanto previsto per l’adozione), rappresenterebbe una soluzione normativa ragionevole che esprime la sintesi tra tutti gli interessi coinvolti diversamente dalle palesate ipotesi di divieto generalizzato e simmetricamente, di accesso indiscriminato”.
Ora però non resta che attendere che venga pubblicato l’iter logico, giuridico e argomentativo che ha portato la Corte Costituzionale ad emettere una sentenza di questa portata, storica per il nostro Paese.
Famiglia Cristiana ha commentato la pronuncia parlando di “fecondazione selvaggia per tutti” e di “ultima follia italiana”.
Il pensiero di chi scrive, invece, corre a tutte quelle coppie che ad oggi vedono riaccendersi un barlume di speranza a poter essere un giorno genitori.