2 PARTE: L’EVOLUZIONE DEL SISTEMA, TRA GARANZIE E ANACRONISTICI VANTAGGI
di Avv. Marusca Rossetti
La Corte Costituzionale, con la Sentenza n. 390/2007 ha dichiarato la illegittimità dell’art. 6 della L.140/2003 per la parte in cui prevedeva che, laddove la Camera di appartenenza del Parlamentare intercettato “casualmente”, non avesse autorizzato l’utilizzo delle registrazioni pur essendo l’attività di indagine rivolta a terzi, l’autorità giudiziaria avrebbe dovuto “immediatamente”procedere alla distruzione del supporto materiale contenente la traccia fonica della conversazione, con conseguente “privilegio derivato” del quale avrebbe goduto quisque de populo che avesse avuto l’accortezza o la ventura di conversare con un parlamentare, perché quelle conversazioni non sarebbero state utilizzate neppure verso di lui. In quella occasione la Corte, che pure per le regole procedimentali da seguire poté solo pronunciare la illegittimità della parte della norma per la quale era stato attivato il suo sindacato, non mancò di fare una serie di importanti considerazioni che non avrebbero potuto terminare se non con una declaratoria di incostituzionalità dell’intero articolo laddove ciò fosse stato possibile.
Si rende senz’altro necessaria una premessa: pretendere un’autorizzazione preventiva della Camera di appartenenza “per sottoporre i membri del Parlamento ad intercettazioni, in qualsiasi forma, di conversazioni o comunicazioni e a sequestro di corrispondenza” (art. 68, comma 3, Cost.), sul piano politico-istituzionale, costituisce un “beffardo sberleffo” alla magistratura, cui viene imposto di portare a conoscenza dell’interessato e di altri trecento o seicento suoi colleghi, l’intenzione di ricorrere ad un atto di indagine che fonda sul fattore sorpresa ogni possibilità di risultare efficace! Con il risultato che il meccanismo prefigurato più che proteggere, semmai fosse necessario, il potere politico dalle abusive intromissioni di quello giudiziario, priva semprequest’ultimo di un prezioso strumento investigativo, quando l’indagine riguardi un parlamentare o, pur concernendo terzi, richieda necessariamente una intrusione nella sua sfera comunicativa. Concentrandosi solo sul tema delle intercettazioni, appare impresa ardua negare che la disciplina dettata dalla l. n. 140 del 2003 fuoriesca in più punti dal “contenitore” costituzionale: in particolare, secondo anche quanto affermato da autorevole dottrina, mentre la disposizione sovraordinata parla di autorizzazione al compimento di operazioni di ascolto di comunicazioni, quella ordinaria, ovvero l’art. 6, fa riferimento alla autorizzazione all’utilizzo dei risultati dell’avvenuta captazione.
Inoltre, mentre tutte le intercettazioni “dirette” del parlamentare, qualunque sia la sua posizione rispetto al procedimento, rientrano nell’ambito applicativo dell’art. 4, le intercettazioni c.d. indirette (rectius, casuali) rientrano nell’ambito applicativo dell’art. 6 solamente se esperite in un procedimento riguardante terzi (cioè, soggetti non parlamentari): resta priva di disciplina l’ipotesi in cui venga fortuitamente intercettato un parlamentare nel corso di un procedimento che lo veda indagato. E poiché in materia di deroghe al principio di uguaglianza dinanzi alla giurisdizione, come la stessa Corte costituzionale ha ribadito nella Sentenza n. 370/2007, sono ammesse soltanto le interpretazioni strettamente aderenti al dato letterale della norma, non dovrebbe essere possibile porre rimedio in via esegetica alle lacune dell’art. 6 l. n. 140 del 2003, ricorrendo ad un’estensione analogica.
Se così è, nel caso di intercettazione indiretta di un parlamentare nel corso di un procedimento che lo vede indagato, in difetto di una disposizione derogatoria specifica, i risultati dovrebbero intendersi liberamente utilizzabili. Ovvio che una simile ricostruzione comporterebbe che la disciplina complessiva della materia presenterebbe caratteri di così marcata irragionevolezza, da essere in evidente contrasto con l’art. 3 Cost.
La Sentenza di cui si tratta come già detto in precedenza, ha dichiarato costituzionalmente illegittimi i commi 2, 5 e 6 dell’art. 6 l. n. 140 del 2003, “nella parte in cui stabiliscono che la disciplina ivi prevista si applichi anche nei casi in cui le intercettazioni debbano essere utilizzate nei confronti di soggetti diversi dal membro del Parlamento, le cui conversazioni o comunicazioni sono state intercettate”. Il che ha determinato che l’autorità giudiziaria non deve più “munirsi dell’autorizzazione della Camera, qualora intenda utilizzare le intercettazioni solo nei confronti dei terzi”; mentre, ove invece intenda farne uso anche nei confronti del parlamentare e debba quindi chiedere l’autorizzazione, l’eventuale diniego “non comporterà l’obbligo di distruggere la documentazione delle intercettazioni, la quale rimarrà utilizzabile limitatamente ai terzi”.
Ma la disciplina delle intercettazioni delineata dall’art. 6 l. n. 140 del 2003 “non può ritenersi in effetti riconducibile alla previsione dell’art. 68, terzo comma, Cost.”, atteso che qui manca qualsiasi riferimento al controllo politico “postumo” sulle intercettazioni occasionali espletate. Né si può ritenere che tale riferimento sia implicitamente desumibile dalla locuzione “in qualsiasi forma”, che pure vi è contenuta. Essa – secondo la Corte, che mostra di condividerne una lettura già prospettata– va riferita “unicamente alle modalità tecniche di captazione e ai tipi di comunicazione intercettata; non già al carattere “diretto” o “casuale” della captazione”.
L’art. 6 l. n. 140 del 2003, peraltro, è estraneo non soltanto al contenuto precettivo dell’art. 68, comma 3, Cost., ma anche alla sua ratio. La norma costituzionale, infatti, “non mira a salvaguardare la riservatezza delle comunicazioni del parlamentare in quanto tale”, bensì ad “impedire che l’ascolto di colloqui riservati da parte dell’autorità giudiziaria possa essere indebitamente finalizzato ad incidere sullo svolgimento del mandato elettivo, divenendo fonte di condizionamenti e pressioni sulla libera esplicazione dell’attività”. Nel caso delle intercettazioni fortuite, disciplinate dall’art. 6 l. n. 140 del 2003, “l’eventualità che l’esecuzione dell’atto sia espressione di un atteggiamento persecutorio”, o comunque di un uso distorto del potere giurisdizionale diretto ad interferire indebitamente sul libero esercizio della funzione rappresentativa, resta esclusa “proprio dalla accidentalità dell’ingresso del parlamentare nell’area di ascolto”.
La Corte, nel proseguo della trattazione, si è concentrata sulla ricostruzione della portata precettiva del comma terzo dell’art. 68 Cost., spesso riduttivamente intesa. Una volta “qualificata “diretta” o “indiretta” l’intercettazione a seconda che le espressioni captate siano proferite da locutore che, rispettivamente, si avvalga o non si avvalga dell’utenza sottoposta ad intercettazione, l’equivoco sta nel ritenere che l’art. 68, comma 3, Cost. si riferisca alle sole intercettazioni dirette”. In realtà, la disposizione costituzionale pretende la preventiva autorizzazione per sottoporre ad intercettazione non le utenze del parlamentare, bensì le sue comunicazioni, a prescindere dal mezzo che le veicola: “quello che conta”, come si legge in Sentenza, “non è la titolarità o la disponibilità dell’utenza captata, ma la direzione dell’atto di indagine”. Per questa ragione il disposto costituzionale non conosce la figura dell’autorizzazione “postuma”: l’autorità inquirente sa sempre anticipatamente quale sia il suo bersaglio investigativo e soltanto in funzione di esso deve stabilire se è tenuta a munirsi di un nullaosta politico prima di procedere.
In quest’ottica, quindi, la previsione dell’art. 68, comma 3, Cost. risulta “interamente soddisfatta” dall’art. 4 l. n. 140 del 2003, che – in coerenza con il precetto costituzionale – deve trovare applicazione “tutte le volte in cui il parlamentare sia individuato in anticipo quale destinatario dell’attività di captazione, ancorché questa abbia luogo monitorando utenze di diversi soggetti”.
Intuibili le ripercussioni di questa impostazione sull’art. 6 l. n. 140 del 2003: l’autorizzazione successiva prevista, “ove configurata come strumento di controllo parlamentare sulle violazioni surrettizie dell’art. 68, comma 3, Cost., non solo non sarebbe indispensabile per realizzarne i fini ma verrebbe a spostare in sede parlamentare un sindacato che trova la sua sede naturale nell’ambito dei rimedi interni al processo”. E verosimilmente la Corte si riferisce a quello rappresentato dall’inutilizzabilità delle intercettazioni indirette del parlamentare, ove risulti che, sia pure monitorando altre utenze, l’autorità giudiziaria abbia in realtà teso l’orecchio alle dichiarazioni di questi. Si sarebbe di fronte, infatti, ad una prova acquisita in violazione del divieto stabilito dalla legge di sottoporre ad intercettazione un membro del Parlamento senza il placet di questo.
Ma vi è un altro, più radicale corollario. Se l’esigenza di preservare la funzionalità e la piena autonomia decisionale delle Assemblee legislative “da indebite invadenze del potere giudiziario”, l’unica ragion d’essere del disposto costituzionale, è integralmente garantita dal citato art. 4, non si riesce ad immaginare quale possa essere il parametro decisorio cui debba attenersi la Camera investita della richiesta di autorizzazione ai sensi dell’art. 6 l. n. 140 del 2003. Ogni criterio diverso da quello imperniato su tale esigenza comporterebbe una deroga al principio di uguaglianza dinanzi alla giurisdizione, a tutela di interessi (come, ad esempio, la riservatezza, l’onorabilità, la serenità del parlamentare) costituzionalmente inidonei a giustificarla.
Successivamente alla Sentenza n. 370/2007 la Corte Costituzionale è stata nuovamente investita più volte di questioni di legittimità attenenti all’art. 6 l. 140/2003, tuttavia in nessuna occasione si è comunque spinta a concludere quel processo demolitorio principiato con quella pronuncia. Questo ha dato l’impressione che i la Corte si sia investita di un ruolo di mediazione fra il potere giudiziario e quello politico, in attesa che sia quest’ultimo a prendere iniziativa per restringere(noi si auspica, eliminare) il sistema di “privilegi processuali”dei Parlamentari.
La parte dottrinale è da riferirsi a un contributo di Glauco Giostra “La disciplina delle intercettazioni fortuite del parlamentare è ormai un dead rule walking” comparso su www.costituzionalismo.it.