1 – CONTESTO NORMATIVO E LEGGE DELEGA
Di Elia Emma (Studente presso UNIMC – Università degli Studi di Macerata Facoltà di Giurisprudenza)
Prima di addentrarci nel mare magnum della riforma del Terzo Settore è bene fare chiarezza e capire cosa rappresenta, e cosa ricomprende, questo “settore” di cui raramente sentiamo parlare.
In tal senso ci viene in aiuto l’art. 1 della legge 6 giugno 2016, n. 106, il quale recita: “per Terzo settore si intende il complesso degli enti privati costituiti per il perseguimento, senza scopo di lucro, di finalità civiche, solidaristiche e di utilità sociale, che […] promuovono e realizzano attività di interesse generale, mediante forme di azione volontaria e gratuita o di mutualità o di produzione e scambio di beni e servizi”.
Per intenderci, quindi, rientrano nella definizione di Terzo Settore “le organizzazioni di volontariato, le associazioni di promozione sociale, gli enti filantropici, le imprese sociali, incluse le cooperative sociali, le reti associative, le società di mutuo soccorso, le associazioni, riconosciute o non riconosciute, le fondazioni e gli altri enti di carattere privato diversi dalle società”1.
Fatta questa doverosa premessa, cerchiamo di capire perché il legislatore ha avvertito la necessità di riformare una normativa che, sebbene complessa nella sua articolazione, già disciplinava il non profit italiano da diversi anni (basti pensare che la normativa dedicata alle ONLUS risaliva al 1997).
Il motivo che in primis ha spinto il Parlamento a questa riforma è stato certamente il carattere frammentario ed eterogeneo che caratterizzava la legislazione del tempo, “spalmata” su una pluralità di leggi e decreti: APS2, ODV3, ONLUS4 e impresa sociale5 erano tutte dotate di autonoma disciplina, la quale andava sapientemente intrecciata con le più generiche disposizioni del Codice Civile6 in materia di associazioni “generiche” e fondazioni, nonché con quanto sancito dal TUIR7 e da altre normative fiscali di settore.
È facile capire come destreggiarsi in quella giungla di norme, disposizioni, articoli e commi non fosse affatto semplice, dovendo per altro fare una continua “navetta” tra una legge e l’altra, le quali spesso ribadivano concetti simili (se non identici), come il divieto di ridistribuzione degli utili.
Pertanto, al fine di individuare disposizioni generali e comuni applicabili a tutti gli enti del Terzo settore, nonché di provvedere al riordino dell’ingente mole normativa di cui sopra in una sorta di “Testo Unico”, il 6 giugno 2016 il Parlamento approva la legge n. 106 rubricata “Delega al Governo per la riforma del Terzo settore, dell’impresa sociale e per la disciplina del servizio civile universale”; è qui che ha inizio l’iter della riforma.
Ma cosa conteneva quest’atto normativo da cui tutto ebbe inizio?
1 Decreto Legislativo 3 luglio 2017, n. 117 “Codice del Terzo Settore”
2 Associazioni di Promozione Sociale, legge 7 dicembre 2000 n. 383
3 Organizzazioni di Volontariato, legge 11 agosto 1991 n. 266
4 Organizzazioni Non Lucrative di Utilità Sociale, D.lgs. 4 dicembre 1997 n. 460 5 D.lgs. 24 marzo 2006 n. 155
6 Libro I, Titolo II, artt. 11-42 bis
7 Testo Unico delle Imposte sui Redditi, D.P.R. n. 917 del 22 dicembre 1986
Come in ogni legge delega che si rispetti, e con un generoso termine di dodici mesi dalla data di entrata in vigore, il Parlamento affidava al Governo il delicato compito di adottare uno o più decreti legislativi al fine di provvedere:
- – alla revisione del titolo II del libro I del Codice Civile, riguardante associazioni, fondazioni e altre istituzioni di carattere privato senza scopo di lucro, riconosciute come persone giuridiche o non riconosciute;
- – al riordino e alla revisione organica della disciplina speciale relativa agli enti del Terzo Settore, mediante la redazione di un apposito codice;
- – alla revisione della disciplina in materia di impresa sociale;
- – alla revisione della disciplina in materia di servizio civile nazionale.
Un obiettivo tanto ambizioso quanto complesso quello della legge delega, la quale disegnava un percorso che difficilmente si sarebbe potuto completare in dodici mesi; di fatti l’iter della riforma è tutt’altro che concluso.
Vero è che i decreti legislativi che il Governo avrebbe dovuto adottare entro il termine annuale sono tutti venuti alla luce (seppur con un leggero, ma perdonabile, ritardo di qualche mese), riuscendo in un’azione “illusoria” tutt’altro che semplice: con l’adozione dei decreti previsti infatti si potrebbe pensare che “il grosso” sia ormai fatto, ma non è esattamente così.
Come spesso accade, invero, i decreti varati dal Governo hanno subordinato la loro efficacia (sebbene parzialmente) all’adozione di altri atti normativi, di rango inferiore ma di carattere tecnico: i decreti ministeriali.
Per comprendere la portata del periodo precedente bastano pochi numeri: i decreti ministeriali necessari per poter considerare completa la riforma sono ben quarantatré, di cui “soltanto” ventiquattro legati al Codice del Terzo Settore (il cuore della riforma); di questi quarantatré decreti solamente quindici sono stati adottati, mentre pochi altri sono in fase di elaborazione8. Dei rimanenti nessuna notizia.
Nei prossimi articoli analizzeremo singolarmente e nel dettaglio le novità introdotte dalla riforma, con riguardo al Codice del Terzo Settore e alla disciplina ad esso collegata.