SOLO TRE NEGOZI, ABBANDONATA E DESERTA
– ANCONA – di Giampaolo Milzi –
Una parabola con tristissima picchiata terminale ha segnato fin qui la storia della Galleria Dorica. Grande ed elegante spazio al coperto, storico simbolo di shopping e oasi d’incontri e appuntamenti, da un pezzo gonfia di amarezza il cuore del centro di Ancona. Una struttura di centinaia di metri quadri al coperto, con le entrate nei paralleli corso Garibaldi e Mazzini, e in via Marsala, sostanzialmente abbandonata più o meno da tutti. Specchio di una crisi, quella di Ancona, che non è solo economico-commerciale, ma anche sociale, culturale, politica. Dal 1956, quando fu costruita nel cratere scavato dai bombardamenti aerei della seconda guerra mondiale sul lato destro di corso Garibaldi nei pressi di piazza Roma, fu uno degli esempi della rinascita di un capoluogo regionale che era stato messo in ginocchio dalla furia bellica. Pulsante di decine di eterogenei negozi, radiosa di luci, vibrante del chiacchiericcio dei tantissimi che l’attraversavano per passare da un corso all’altro, e dell’allegro cicalio di giovani che “vi facevano gruppo” dal tardo pomeriggio nelle aree d’ingresso, da qualche anno è vuota, desolata, malconcia; un’ampia aula sorda e grigia, un pezzo di nobile urbanistica decaduto e senz’anima. A testimoniare la “belle époque” della Galleria Dorica, restano i magnifici mosaici pavimentali concepiti nell’anno della sua nascita da Emilio Ambron, artista a tutto tondo e architetto. Fu lui infatti a progettarla, su tre piani, con quel largo e arioso salone centrale al livello terra su cui si affacciavano le vetrine degli esercenti, l’ambiente underground anch’esso con negozi e magazzini; e quel ballatoio del piano superiore a mo’ di cornice, ringhiere sul lato interno e tutto vetrate dall’altro. Un ballatoio misterioso. Cui si accede solo dalle scalette di servizio dei palazzi che circondano la Galleria. Chissà perché mai utilizzato. Le cartoline d’epoca lo mostrano lindo, con cartelli pubblicitari, piante ornamentali, tale da poter accogliere i tavolini di un bar, una mostra… Una “belle époque”, che nella metà degli anni ’50 vedeva la Dorica ospitare perfino i meeting dei grossisti del mercato agricolo, manifestazioni, eventi attrattivi di tanta gente. Shopping a go go, avventori seduti ai caffè. E negli anni ‘60, ’70, ’80 – quando il corso Garibaldi era un fiume di traffico veicolare in piena – soprattutto ragazzi e giovani. Di ogni tipo. Studenti e lavoratori. In particolare, durante gli anni del “Movimento”, quelli della contestazione, gli alternativi, gli artisti. E poi i rockettari, gli amanti della cultura e del sound africani e giamaicani, i punk, i dark, i metallari, “armati” di grandi radio portatili e talvolta di chitarre. Il terzo millennio segna l’inizio della tendenza “encefalogramma piatto”. Soprattutto dopo la chiusura – relativamente recente – della Libreria Metrò e la sparizione dei suoi stand espositivi così calamitanti per molti.
Ci siamo andati più volte a tastare il polso della Galleria. Fredda, scarsamente illuminata, sporca. Con solo tre negozi ad affacciarsi sul “deserto”: il bar e l’ottica (lato corso Mazzini) e il barbiere nel piano sotterraneo. Una situazione in degrado, da brivido. Il tetto, anch’esso un tempo bello e trasparente, in piastrelle di vetro ora opache, lascia passare umidità e acqua. Quando fuori piove tanto, piove anche dentro. A volte, nel punto in cui inizia la piccola scalinata che porta in via Marsala, si formano delle pozzanghere. Perché? Cronica mancanza di una manutenzione degna di questo nome. La Galleria Dorica è fin dall’inizio stata di proprietà privata. Soprattutto della famiglia Ambron. Che, in particolare, dopo il 1972, iniziò a venderne o ad affittarne i locali. Nel decennio 80’ ne possedeva ancora alcuni, oggi pare le sia rimasto solo quello che fino a pochi anni fa ospitava la yogurteria. Già, proprietà privata. Ma con servitù ad uso pubblico. Per consentire il passaggio pedonale tra i due corsi. E per coinvolgere il Comune in alcune necessità gestionali, e di manutenzione, appunto. Ciò in base a una convenzione stipulata con il condominio unico dei proprietari. Scaduta il 31 dicembre 1988, non è stata più rinnovata, per mancanza di un accordo con l’Amministrazione comunale di allora. La servitù è rimasta in vigore solo per il passaggio pedonale. E il peso, la “responsabilità immobiliare Galleria” gravano solo sui privati. Che devono pagare l’illuminazione del vasto ambiente aperto e un’assicurazione, fare le pulizie. La pressoché totale privatizzazione ha determinato anche la decisione di piazzare le cancellate retrattili in ferro per sbarrare i quattro accessi. Di fatto, ad aprire al mattino presto e a chiudere la sera, ci pensa il personale del bar. La sera la Galleria diventa off limits intorno alle 20, tutta la settimana, d’inverno e d’estate. Tranne quando il bar, “eroicamente”, organizza concerti per giovani band. Ma capita, come domenica 25 gennaio, che all’1,30 di giorno i cancelli erano già chiusi.
Quanto ai ragazzi, ai giovani, anche la loro presenza si è rarefatta. “Dicono che diamo fastidio se ce ne stiamo troppo oltre gli ingressi, vicino o sulle scalette, ci scacciano….”, raccontano.
Galleria Dorica in stato comatoso cronico, dunque. A sentire i proprietari dei locali e i residui negozianti è un coro: “E’ colpa della crisi economica, della mancanza di parcheggi in centro e del Comune che l’ha dimenticata”. Una Galleria, potenziale gioiellino per la città, che “Ancona Bella addormentata sul Golfo” meriterebbe. Ma che le classi che detengono i poteri istituzionali ed economici ad Ancona non meritano. Probabilmente è questa la verità. Una speranza: che il Comune, il condominio e le organizzazioni delle categorie del commercio e dell’artigianato si siedano attorno a un tavolo per riavviare la Galleria Dorica verso una nuova “belle époque”.
(tratto da Urlo – mensile di resistenza giovanile)