Gelosia e futili motivi: sino a che punto lo stato passionale può ritenersi aggravante

la Cassazione si pronuncia sulla configurabilità dell’aggravante di cui all’art. 61, co. 1 n. 1) c.p.

di Dott.ssa Chiara Carioli

marcello_mastroianni_-_dramma_della_gelosiaOggi più che mai i fatti di cronaca raccontano quasi quotidianamente episodi di violenza, aggressioni, o molestie scatenate da motivi sentimentali.

Grandi emozioni che l’essere umano, inteso nel suo senso generico di uomo senza differenze di sesso, spesso fa fatica a gestire.

Si innesca così giorno dopo giorno un sentimento di gelosia sempre più forte, fautore poi di gesti folli che in altre circostanze e con un’altra ragionevolezza non si sarebbero mai posti in essere.

Ed è proprio nelle aule dei palazzi di giustizia che Autorità Giudicante, Pubblica Accusa e difensori, si domandano fino a che punto –  o ancor meglio quando – la gelosia possa essere considerata idoneo fondamento dell’aggravante dei futili motivi.

Con la recentissima Sentenza n. 49129/2018 , la Suprema Corte si è pronunciata in materia a supporto degli operatori del diritto indicando circostanze e criteri che devono essere necessariamente valutati al fine della contestazione e dell’applicazione della sopracitata aggravante.

In primis occorre valutare l’entità dello “stimolo esterno” ricevuto: il fatto criminoso potrà essere considerato aggravato qualora derivi da un cd input banale e sproporzionato rispetto al reato e alla sua gravità.

Reazione, dunque, da considerarsi banale e sproporzionata secondo il comune modo di sentire, che risulterebbe insufficiente a giustificare l’azione criminosa e per tale motivo valutabile dall’esterno come un mero pretesto per lo sfogo di un impulso violento.

Nella Sentenza sopra meglio indicata, a supporto di una Giurisprudenza che già si stava consolidando (cfr. Sent. n. 32621/18  e Sent. n. 27213/18), gli Ermellini – in riforma a quanto pronunciato dal Giudice di prime cure – stabiliscono come i sentimenti di affetto e di amore che si vantano verso un’altra persona, sentiti come forti a tal punto da far scaturire dinanzi a determinate circostanze episodi di gelosia che offuscano la mente e portano a reagire con violenza, non possono essere considerati e genericamente classificati come futili motivi.

Ebbene, l’aggravante ex art 61 comma 1 n. 1 c.p. non può essere ritenuta sussistente dagli Organi Giudicanti quando alla base di tutto vi è un sentimento come l’amore, l’affetto, o il desiderio di condividere un percorso di vita assieme che, se pur manifestato in maniera abnorme, porta ad una reazione di gelosia  non definibile come “espressione di per sé di spirito punitivo nei confronti della vittima considerata come propria appartenenza, della quale pertanto non può tollerarsi l’insubordinazione”.

Pertanto, alla luce di quanto enunciato dalla Suprema Corte, si può parlare di futili motivi quando il reato commesso sia stato spinto da irrilevanza, banalità e sproporzione rispetto alla gravità del delitto apparendo secondo una “collettiva coscienza” non un vero e proprio motivo, ma un mero pretesto.

Futilità e pretestuosità che non possono essere dunque ascritte, secondo la recente giurisprudenza, al movente della gelosia quando la sproporzione sia così estrema da non potersi valutare come aggravante.

Questa valutazione della Corte di Cassazione, ci permette di concludere che quest’ultima certamente ritiene che commettere un reato contro una persona, ancor più se amata, sia considerevole di valutazione e se opportuno di contestazione e giudizio, ma eventualmente ai sensi e per gli effetti dell’art 90 c.p. che tiene conto degli stati emotivi e passionali del soggetto, non escludendone né diminuendone l’imputabilità.

 

 

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