ANCORA UN BEL LIBRO DI SERGIO SINIGAGLIA
– ANCONA – di Enrico Mariani – La soffitta di una vecchia casa di campagna; la curiosità di Paolo, un ragazzino 14enne; una cassapanca polverosa che nasconde “il diario ritrovato” dello zio Roberto, morto anni prima, la cui storia personale è misteriosamente nascosta dai genitori a Paolo: questi elementi costituiscono la cornice narrativa entro la quale l’anconetano Sergio Sinigaglia colloca uno spaccato del 1975, visto dalla prospettiva di un militante di “Lotta continua” il cui accorato attivismo politico si scontra con la moderata linea politica familiare, e non è frenato nel momento in cui è chiamato a prestare servizio militare per un anno.
Le esperienze vissute durante la “naia” – significative sia da un punto di vista personale che politico per lo zio Roberto e legate a doppio filo a fatti realmente accaduti – conquisteranno moltissimo il nipote mai conosciuto. E il diario ritrovato coinvolge i protagonisti nella duplice ricerca di una consapevolezza critica, dinamica e dirompente nelle rispettive epoche storiche.
Il libro è stato presentato il 28 novembre scorso ad Ancona al foyer del Teatro delle Muse, con la partecipazione del giornalista Loris Campetti e dalla docente di Sociologia Patrizia David. L’attenzione dei relatori si è concentrata sulle numerose tracce del connubio inscindibile tra l’impegno politico dell’autore e la caratterizzazione dei personaggi, con i loro relativi investimenti valoriali, stati emotivi e prese di posizione su questioni la cui complessità permane: come l’emancipazione delle donne all’interno della struttura sociale o la necessità di un impegno politico senza remore, vissuto, se necessario, con una buona dose di incoscienza.
Alcuni passaggi dell’autore sono frutto della rielaborazione di un vissuto militante, altri di una ricerca d’archivio che costituisce una delle ricchezze dell’opera, poiché contribuisce a comporre realisticamente l’universo della finzione in cui si svolge la vicenda, con il costante richiamo all’escalation di rivendicazioni, tensioni e violenza in molti casi fine a se stessa, che caratterizzano i cosiddetti “anni di piombo”.
L’espediente del diario e del narratore in prima persona spingono il lettore ad essere sempre più preso dalla vicenda. E conferiscono nuova linfa al dato storico, che si presta così ad essere ampiamente plasmato e modellato dall’uso della strategia narrativa: i movimenti e la partecipazione dei personaggi al mondo possibile rigenerano e attualizzano la materia storica, rivendicando nel contempo il loro spazio e la propria voce all’interno di essa. In questo modo l’espediente non si limita a mero artificio letterario, cornice asettica: il contesto passato (e relativo clima politico, atteggiamenti, valori) si riflette ed entra in una sorta di muta dialettica con l’altro mondo possibile, quello contemporaneo vissuto dal giovane Paolo.
Come scrive Massimo Raffaelli nella brillante introduzione all’opera, le due storie sembrano “rincorrersi mutamente nel tempo” e la memoria disseppellita, scavata, tramite la lettura del vecchio diario, irrompe nel presente del ragazzo, che opera una riabilitazione della figura dello zio, lontana da una mitizzazione acritica. Questo coinvolgimento emotivo trasmetterà al giovane Paolo coscienza della disobbedienza civile di fronte alle disuguaglianze, quando sarà il momento di intraprendere una lotta nei confronti di antagonisti ben riconoscibili nella contemporaneità.
Proprio questo passaggio di valori, trasmissione di conoscenze intergenerazionale, è uno dei topic che pervadono il romanzo: la curiosità di Paolo, il rafforzarsi e svilupparsi costante del suo spirito critico, corrisponde, nelle intenzioni dell’autore, a colmare nel presente le lacune create dall’insufficiente narrazione del fermento di certi anni, attualmente smorzato e sopito.
(tratto da Urlo – mensile di resistenza giovanile)