A volte un nome è legato ad un destino. A volte un nome è un presagio, o un cattivo presagio. A volte un nome si fa beffa del suo destino, e sembra volerlo per forza stravolgere. George Best poteva essere il migliore, “the best”.
E invece ha ingozzato la sua vita in alcol e autodistruzione, fagocitandosi un destino che sembrava fatto per una storia a lieto fine.
Molto dotato tecnicamente, George Best, nordirlandese, fu scoperto dagli osservatori del Manchester United a 15 anni. Debutto’ in campionato a 17 anni e il 28 dicembre 1963 segnò il suo primo gol con i Red Devils. La stagione successiva fu tra gli artefici della conquista del campionato inglese da parte dei Reds.
Gol, assist, numeri, fantasia, genio, sregolatezza in campo e nella vita. Nel 1968, Best vince in Pallone d’Oro. Sembra un predestinato. Uno dei più grandi campioni della storia del calcio. Capocannoniere del campionato inglese nel 1970-’71, nel ’71-’72 miglior marcatore e miglior assistman del campionato. Giocò 37 partite con la nazionale dell’Irlanda del Nord, andando a segno 9 volte dall’esordio nel 1964.
“Nel 1969 ho dato un taglio a donne e alcool. Sono stati i venti minuti peggiori della mia vita“. L’alcol, quella bestia silenziosa che ti divora dentro. George Best aveva tutto: soldi, successo, fama, belle donne e macchine veloci. Erano gli anni della contestazione, il 1968, la musica che veniva da Liverpool, i Beatles. George era chiamato “il quinto Beatle”, per la sua zazzera e quel modo anticonformista di stare in campo e nella vita.L’alcol come un tarlo, il desiderio di autodistruzione incomprensibile per chi ha tanto, ma infido e tagliente. Per tutta la vita.
Un cippo pieno di garofani rossi davanti al Bar Zambon, in Corso Re Umberto a Torino è il ricordo che resta di un ragazzo che ha sfidato un’epoca. Molti passano lì davanti senza capire per chi siano quei fiori rossi.
Rossi come la maglia granata che aveva cucita sulla pelle.
«Non potrò mai dimenticare quella terribile frenata, quella drammatica notte. Il giorno dopo l’incidente molta gente ancora urlava e piangeva. Quando vado a portargli fiori piango anch’io” Dice la signora Zambon, padrona del bar. Fu l’ultima a vedere Gigi Meroni vivo, il 15 ottobre 1967. I granata avevano giocato la partita con la Sampdoria, poi la cena tutti insieme e l’allenatore Edmondo Fabbri che lascia liberi i ragazzi per la serata. aveva lasciati in libertà. Meroni si era accorto di non avere le chiavi di casa. Telefonò a Cristiana, la sua compagna, perché scendesse ad aprirgli il portone. Era insieme al suo amico, il terzino Poletti, Un attimo di distrazione, una macchina che attraversa Corso Re Umberto troppo veloce. La frenata, il colpo. Gigi Meroni steso sull’asfalto caldo, come tante volte sul prato verde falciato da un avversario che aveva irriso cui suoi dribblig. Questa volta l’avversario di lamiere aveva avuto la meglio e si era portato via il destino di vittorie e gioia che attendeva Gigi.
Luigi “Gigi” Meroni era nato a Como il 24 febbraio del 1943. La sua carriera calcistica si lega a doppio filo ai rossoblù del Genoa. L’inizio è difficile poi il Genoa viene affidato in panchina a Beniamino Santos, tecnico argentino che intuisce subito il grande talento di Gigi. Fascia destra, maglia numero 7. Dopo na grande stagione di Gigi Meroni, il tecnico Beniamino Santos era andato a passare le vacanze estive in Spagna. L’ultimo giorno di mercato, la beffa: Gigi Meroni, su cui il tecnico aveva intenzione di impostare la squadra per la stagione 1964, fu venduto al Torino, per circa 300 milioni. Una follia per l’epoca. Santos decise di interrompere le vacanze. Salì in macchina per raggiungere Genova e dare le dimissioni. Ma era arrabbiato, fuori di sé. La sua auto si schiantò contro un albero: moglie e figlia riportarono solo qualche ferità, Beniamino Santos morì sul colpo.
Gigi Meroni era soprannominato talvolta “farfalla” per il suo stile di gioco leggiadro ma anche per il suo stile di vita fuori dagli schemi. Era uno scandalo vivente in quegli anni per la sua convivenza con Cristiana Uderstad, giovane polacca separata, l’amore per l’arte e quel suo look da capellone, troppo presto di qualche anno per essere accettato. Il “beatnik” del gol, veniva chiamato. Formava una coppia gol strepitosa in maglia granata con l’argentino Nestor Combin. Partecipò ai mondiali di Inghilterra del 1966, con la nazionale azzurra guidata da Edmondo Fabbri. Più di 20.000 persone parteciparono ai suoi funerali, Torino era una città ammutolita per il dolore.La Chiesa si oppose al funerale e prese provvedimento contro il cappellano del Torino calcio Don Francesco Ferraudo, per aver officiato il funerale di un “peccatore pubblico”. Gigi Meroni era una grande calciatore e un ragazzo per bene, innamorato della vita e dell’amore, del calcio e dell’arte.
Nel 2000 George venne ricoverato per gravi danni al fegato dovuti ai problemi di alcolismo. Nel 2002 si tentò la strada del trapianto di fegato, a soli 56 anni. Ma il destino era ormai segnato. “Ho speso molti soldi in donne, alcool e macchine sportive, il resto l’ho sperperati.” Nel 2005 il ricovero in terapia intensiva in una clinica privata di Londra, per un’infezione polmonare. Il 20 novembre 2005 il tabloid News of the world pubblicò, su sua esplicita richiesta, le foto di Best sul letto di ospedale con le sue ultime parole al pubblico “Don’t die like me” (“non morite come me”). Cinque giorni dopo George Best, il migliore che ha preso a calci la sua vita, che ha trangugiato la sua fortuna, morì. George credeva di essere immortale, George era spavaldo, George correva sul filo del rasoio con le macchine e viaggiava sempre a mille con le donne. L’alcol era la sua benzina, il campo di calcio era il suo circuito, la vita è stato il suo precipizio.
T.R.