LIBRO AMARCORD DI STEFANO SPAZZI
– ANCONA – di Andrea Maccarone – Ancona un angolo nascosto di Carnaby Street? A qualcuno piace ricordarla così. O magari un antro fumoso di un vecchio club di Liverpool. Il Cavern, perché no? Le memorie di chi ha vissuto i 60’s in città sono piene di romanticismo. E con lo stesso piglio l’avvocato Stefano Spazzi ha voluto raccogliere in un libro i più bei ricordi di chi ha contribuito a rendere indelebile questa piccola-grande storia della “swingin’ dorica”.
“Ancona Beat” è il racconto, tramite interviste e descrizioni, di quanto accadde in città nella seconda metà degli anni Sessanta. Le band, i locali, le manifestazioni. Concerti e storie di una gioventù “ribelle” s’intrecciano regalando una stesura assai godibile ed entusiasmante. Il riferimento è più che mai chiaro: il dualismo Beatles-Stones. Una dicotomia a cui si sono ispirati tanti musicisti dorici. Ma i 60’s erano anche gli anni della musica soul. La Motown dettava legge. E anche in Italia l’eco della black music americana si faceva sentire. Nel resto del Paese trionfavano i Camaleonti, l’Equipe 84, i Dik Dik, i Giganti, i Corvi. E potremmo stare qui per ore a citare decine e decine di complessi. Ma ad Ancona, cosa accadeva? Nè più né meno di ciò che stava succedendo in tutta la penisola: orde di adolescenti coi capelli a caschetto cominciavano ad animare feste ed eventi in città, a suon di chitarre e batteria. C’erano i Gobbi di Roberto Cimetta, Le Garcons di Roberto Bacchiocchi, The Wanted di Adriano Celani e Miro Belvederesi, gli Spirituals, i Players di Ugo Borghi, i Pronipoti, i Tabù, i Kings, e molti altri. Chi riproduceva un suono più corrosivo e tagliente, alla Kinks e alla Rolling Stones. Altri si ispiravano alle melodie più orecchiabili dei Beatles. Ma la stoffa di certo non mancava. Seppure i gruppi dorici non ebbero mai un successo nazionale, riuscirono comunque a contornarsi di un discreto numero di fans pronti a seguirli ad ogni concerto. E a questo punto il libro di Spazzi s’inerpica in un divertente sentiero che racconta le rivalità territoriali che contrapponevano le band e i rispettivi supporters. Fino a scoprire che, a differenza di quanti abbiano erroneamente creduto che il centro città fosse la culla della beat generation nostrana, la zona del rione Piano fu, invece, La Mecca della scena beat anconetana. E si scopre, così, che The Wanted ne furono i principali animatori e rappresentanti. E intorno a loro si creò un vero e proprio movimento.
Uno dei capitoli più interessanti del libro di Spazzi è sicuramente quello relativo alla geografia dei club. Un’impressionante tripudio di dancing e locali dove ogni fine settimana facevano capolino i complessi beat della zona. In molti ricordano il Five Club, al Viale della Vittoria. O il dancing all’aperto alle Piscine del Passetto. La Greppia, a Pietralacroce. O La Boite, al Trave. E ancora: il Mini Piper in via Piave, La Taverna del Pirata (dove poi sorse l’ex pizzeria La Bussola), l’Aquila d’Oro in Piazza Stracca, il Ciro’s (che i più giovani ricorderanno sicuramente come Lascensore Jazz Club). E poi i tanti circoli sparsi per la città, dove settimanalmente prendevano vita feste e appuntamenti rigorosamente live.
Una menzione speciale va anche ai festival e alle manifestazioni che vedevano sfilare su un unico palco tutti i protagonisti della musica beat locale: il Trofeo Davoli, il Trofeo Eko, il Cantagiro con ospiti nazionali e il Festival di Ancona. La dovizia di particolari e retroscena rende il libro di Spazzi assai esaustivo e completo. La nostalgia può assalire il lettore più attempato, che vede scorrere nella mente i ricordi di quella straordinaria stagione. Mentre ai più giovani non resta che rimpiangere un capoluogo che un tempo regalava una moltitudine di spazi d’aggregazione, tendenza che trova, oggi, un triste primato in negativo.
(tratto da Urlo – mensile di resistenza giovanile)