APPROFONDIMENTO
di Maria Cristofori Marinucci
La prima sentenza del 2021 della Corte Costituzionale mette fine alla questione legata all’ammissione al gratuito patrocinio, a spese dello Stato, a favore delle vittime di maltrattamenti in famiglia, violenza sessuale e atti persecutori, chiarendo come questa possa considerarsi automatica e indipendente dalla loro situazione reddituale. Dalla sentenza dell’11 gennaio 2021, n. 1 emerge quindi la volontà della Corte di facilitare le vittime a denunciare maltrattamenti, abusi e reati contro la libertà e l’autodeterminazione sessuale, riconoscendo automaticamente a loro favore il diritto al patrocinio gratuito, indipendentemente dal dato economico.
Il Testo Unico in materia di Spese di Giustizia (T.U.S.G.), entrato in vigore il 1-7-2002, è stato oggetto di varie correzioni e aggiornamenti, le ultime apportate proprio grazie alla sentenza della Corte Costituzionale, la quale ha portato a stabilire che l’accesso al gratuito patrocinio è sempre possibile, anche in deroga ai limiti di reddito altrimenti previsti, per le vittime di violenza sessuale, stalking e maltrattamenti.
La Corte ha, attraverso detta sentenza, dichiarato non fondata la questione di illegittimità costituzionale, sollevata dal gip del tribunale di Tivoli, nei riguardi dell’art. 76, comma 4-ter, del “Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese di giustizia” (d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115), nella parte in cui prevede l’automatica ammissione al patrocinio a spese dello Stato della persona offesa dai reati indicati nella norma, imponendo però un limite reddituale.
La Corte era stata chiamata a decidere sulla questione di legittimità costituzionale, in riferimento agli articoli 3 e 24 della Costituzione, dell’art. 76, comma 4-ter del d.p.r. 30 maggio 2002, n. 115, recante “Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese di giustizia (Testo A)”, nella parte in cui determina l’automatica ammissione al patrocinio a spese dello Stato della persona offesa dai reati indicati nella norma medesima, di cui agli artt. 572, 583-bis, 609-bis, 609-quater e 612-bis, nonché, se commessi in danno di minori, dai reati di cui agli artt. 600, 600-bis, 600-ter, 600-quinquies, 601, 602, 609-quinquies e 609-undecies del codice penale, a prescindere dai limiti di reddito previsti e senza riservare alcuno spazio di apprezzamento a discrezionalità valutativa al giudice.
La lista dei reati è stata meticolosamente inclusa nella sentenza, oltre ad essere presente nella norma, e riguarda le persone colpite dai maltrattamenti in famiglia, le mutilazioni degli organi genitali femminili, le violenze sessuali, gli abusi sessuali su minori, gli stupri di gruppo, lo stalking e altri atti persecutori, la riduzione a schiavitù, la prostituzione minorile, la pedopornografia, il turismo sessuale, il sesso davanti a minori e l’adescamento di minorenni
Secondo quanto già affermato dalla giurisprudenza di legittimità, infatti, è confermato il diritto della persona offesa da uno dei reati sopra indicati a fruire del patrocinio a spese dello Stato per il solo fatto di rivestire detta qualifica, a prescindere dalle proprie condizioni di reddito che, quindi, non devono nemmeno essere oggetto di dichiarazione o attestazione normalmente richiesta. Questa soluzione sarebbe imposta proprio dalla ratio della normativa e dalla sua finalità che pare essere quella di assicurare alle vittime di tale tipologia di reato un accesso alla giustizia favorito dalla gratuità dell’assistenza legale e così determinando una conseguenza inderogabile, ossia l’ammissione a codesto beneficio senza che vi sia alcun margine di valutazione in capo al giudice in ordine alle condizioni reddituali e patrimoniali.
Di conseguenza si può ben capire come l’idea del remittente si presenti apparentemente in contrasto con quanto predisposto dall’art. 3 della Costituzione, in quanto istituisce un automatismo legislativo di ammissione al beneficio del gratuito patrocinio al solo verificarsi del presupposto di assumere la veste di persona offesa di uno dei reati indicati dalla norma, con esclusione di qualsiasi spazio di apprezzamento e discrezionalità valutativa del giudice, disciplinando in modo identico situazioni del tutto non eterogenee sotto il profilo economico.
In aggiunta manifesta un illusorio contrasto anche con l’art. 24, comma 3, della Costituzione, in quanto l’ammissione indiscriminata e automatica al beneficio di qualsiasi persona offesa da uno dei reati indicati dalla norma medesima porterebbe a includere anche soggetti agiati che vantino capacità economiche sufficienti e adeguate, a discapito della salvaguardia dell’equilibrio dei conti pubblici e di contenimento della spesa in tema di giustizia.
Nonostante questa importante e non trascurabile precisazione, secondo il giudice questa normativa non appare lesiva del principio di parità di trattamento, dato che si considera e si valuta il tutto avendo come base la vulnerabilità delle vittime dei reati in materia sessuale e la previsione di una sanzione proporzionata al danno subito, oltre che le esigenze di garantire il venire alla luce di tali reati. La Corte Costituzionale ha interpretato univocamente la norma nel senso dell’automaticità e dell’obbligatorietà dell’ammissione al gratuito patrocinio, affermando che dove nel Testo unico viene scritto ‘può’ il giudice è tenuto a considerare un ‘deve’, un obbligo, senza dare spazio ad una libera valutazione.
Risulta necessario trattare poi del preambolo del decreto-legge sulle “Misure urgenti in materia di sicurezza pubblica e di contrasto alla violenza sessuale, nonché in tema di atti persecutori,” (d.l. 23 febbraio 2009, n. 11 ) convertito, con modificazioni, nella l. n. 38 del 2009. La Corte ricorda come nel preambolo del decreto-legge n. 11/2009, che ha dettato misure urgenti in materia di sicurezza pubblica e di contrasto alla violenza sessuale, nonché in tema di atti persecutori, si richiami “la straordinaria necessità ed urgenza di introdurre misure per assicurare una maggiore tutela della sicurezza della collettività, a fronte dell’allarmante crescita degli episodi collegati alla violenza sessuale, attraverso un sistema di norme finalizzate al contrasto di tali fenomeni e ad una più concreta tutela delle vittime dei suddetti reati.” Una necessarietà ed urgenza che ha trovato risposta nell’introduzione di novità a favore delle vittime e che possiamo ben individuare nella ratio della disciplina in commento.
Appare ora evidente che la ragione di detta disciplina sia rinvenibile in una precisa scelta di indirizzo politico-criminale che ha come obiettivo quello di offrire un concreto sostegno alla persona offesa, la cui vulnerabilità è accentuata dalla particolare natura dei reati di cui è vittima, e a incoraggiarla a denunciare e a partecipare attivamente al percorso di emersione della verità.
Il patrocinio gratuito per le vittime di reati sessuali è una scelta politica insindacabile del legislatore, finalizzata al sostegno delle vittime di questi illeciti penali mediante l’incoraggiamento alla loro denuncia e, proprio per questo motivo, l’istituto deve prescindere dal reddito, in nome della necessità di contemperare il diritto di difesa dei più deboli con il contenimento della spesa pubblica in materia di giustizia.
Nella giurisprudenza costituzionale è difatti frequente il riferimento al generale obbiettivo di limitare le spese giudiziali, come sostenuto dal remittente, ritenendo cruciale, in tema di patrocinio a spese dello Stato, l’individuazione di un punto di equilibrio tra la garanzia del diritto di difesa per i non abbienti e la necessità di contenimento della spesa pubblica giudiziale.
Per il Giudice la disposizione sopracitata viola il principio di uguaglianza, previsto dall’art. 3 della Costituzione, e contrasta con l’affermazione contenuta nell’art. 24 della Costituzione, la quale dispone che “Sono assicurati ai non abbienti, con appositi istituti, i mezzi per agire e difendersi davanti ad ogni giurisdizione”.
Questa asseverazione è stata però smentita dalla Corte Costituzionale la quale, soffermandosi sulla questione della sindacabilità delle scelte del legislatore, ha chiarito che, in merito a quanto dispone l’art. 76 comma 4-ter del d.P.R. n. 115/2002, la scelta effettuata con la disposizione in esame rientra nella piena discrezionalità del legislatore e non appare né irragionevole né lesiva del principio di parità di trattamento, considerata la vulnerabilità delle vittime dei reati indicati dalla norma medesima oltre che le esigenze di garantire al massimo il venire alla luce di tali reati.
È inoltre fondamentale ricordare che il gratuito patrocinio è un istituto che vale nelle procedure di volontaria giurisdizione, come separazioni consensuali o divorzi congiunti, e nei processi civili, per ogni suo grado e per tutte le procedure connesse, consentendo alla persona non abbiente di ottenere la nomina di un avvocato e la sua assistenza a spese dello Stato, purché le sue pretese non risultino manifestamente infondate. Legittimati a chiedere il gratuito patrocinio sono i cittadini italiani, gli stranieri regolarmente soggiornanti, gli apolidi e gli enti, o associazioni, non profit. Il reddito dell’interessato non deve essere però superiore a € 11.493,82, come stabilito dal D.M 16 gennaio 2018, limite dal quale è possibile svincolarsi successivamente alla recente decisione della Corte Costituzionale.
La falsità o le omissioni contenute nell’autocertificazione relative alle condizioni di reddito sono punite con la reclusione da uno a cinque anni e con la multa da € 309,81 a € 1549,37.
Sono comunque esclusi dal gratuito patrocinio tutti coloro che hanno ricevuto una condanna definitiva per reati di associazione di tipo mafioso o associazione a delinquere, finalizzata al contrabbando di tabacchi lavorati esteri, e i condannati per produzione, traffico e detenzione illecita di sostanze stupefacenti o psicotrope.
L’ ammissione al beneficio del Gratuito Patrocinio ha come effetto principale la difesa da parte di un difensore di fiducia scelto dall’interessato tra gli iscritti negli elenchi degli avvocati per il gratuito patrocinio tenuti presso i consigli dell’ordine. Dato che non possono percepire dall’ assistito compensi o rimborsi a nessun titolo, il difensore e il consulente ricevono un compenso anticipato dall’erario ma ridotto alla metà. Nel caso in cui non rispettino questo vincolo intercorrono in un grave illecito disciplinare professionale e sul punto non rilevano né il fatto che, quantomeno per colpa, non fossero a conoscenza dell’ammissione al beneficio, né la successiva revoca del medesimo. Il compenso all’avvocato e al consulente è liquidato dal giudice contestualmente al merito al termine di ogni fase o grado del procedimento.
L’Erario è inoltre tenuto all’indennità delle spese di viaggio dei magistrati e degli ufficiali giudiziari per gli atti compiuti fuori sede; all’ indennità delle spese di spedizione delle notifiche e degli atti di esecuzione a richiesta di parte; alle spese per notificazioni a richiesta d’ufficio, per la legale pubblicità dei provvedimenti e, infine, per le spese necessarie per il compimento di opere non eseguite o andate perse.
Lo Stato può esercitare rivalsa se la parte ammessa vince la causa e perciò si trova in condizioni di poter restituire allo Stato quello che è stato speso per lui, come le spese anticipate, che possono essere richieste in ogni caso, qualunque sia la somma conseguita. Inoltre, se la parte non ammessa al patrocinio perde la causa può essere obbligata al pagamento delle spese a favore dello Stato.
Tutto ciò trova fondamento nel diritto alla difesa garantito dalla Costituzione e riconosciuto addirittura a livello internazionale, come, ad esempio, dall’articolo 57 della Convenzione di Istanbul, il quale afferma che le vittime hanno diritto all’assistenza legale e al gratuito patrocinio alle condizioni previste dal diritto interno.
La nostra Costituzione nell’ art. 3 attribuisce a tutti i cittadini, in misura uguale, il diritto alla pari dignità sociale, assegnando allo Stato il compito di rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che impediscono il pieno sviluppo della persona umana.
In aggiunta l’art 24 definisce il diritto alla difesa come diritto inviolabile dell’individuo e, sulla base di questo, ha previsto degli istituti a favore dei meno abbienti, con lo scopo di garantirgli i mezzi per agire e difendersi davanti ad ogni giurisdizione, ossia nel processo civile, penale, nonché nella mediazione civile e commerciale.
Questa decisione della Corte è stata quindi vista come una scelta a sostegno delle vittime dei reati sessuali, per fornire loro un aiuto “concreto” e incoraggiarle a intraprendere un percorso di denuncia e di uscita dalla violenza.
Questo provvedimento è stato inoltre giudicato molto importante anche dalla commissione parlamentare sul femminicidio, perché visto come un sostegno concreto, materiale e psicologico per chi denuncia, e rappresenta un ulteriore grande passo in avanti a favore delle vittime, affinché non si sentano sole e siano spinte alla denuncia.
Sitografia:
-https://www.gazzettaufficiale.it/
-Marani S.,” Vittime di reati sessuali ammesse al gratuito patrocinio a prescindere dal reddito”, https://www.altalex.com/ ;
– “Maltrattamenti e stalking: l’avvocato è gratis”, https://www.diritto.it/