AMBIENTATO AD ANCONA NEL 1943
ANCONA – di Giampaolo Milzi – Un libro che scorre come un film del Neorealismo. Dall’effetto amarcord, e fortemente nostalgico, per i lettori che hanno vissuto l’Ancona della seconda guerra mondiale. Perché il 70% di quell’Ancona non c’è più, spazzata via dalle infinite ondate di bombe sganciate dagli aerei inglesi e americani nel biennio 1943-1944, e negli anni successivi dalle ruspe di una ricostruzione dissennata. Un libro che racconta con le tonalità ingiallite ma vivide e romantiche da cineteca “Una storia popolare” (come recita il sottotitolo), una grande storia fatta di piccole storie che s’intrecciano. Come s’intrecciavano i vicoli stretti, oscuri e brulicanti di vita del “Guasco” (titolo dell’opera), il rione più antico del capoluogo dorico, arrampicato come una inestricabile matassa urbanistica dal mare su per il colle su cui ancora svetta la cattedrale di San Ciriaco. La stessa che fa da splendido sfondo alle immagini più note di “Ossessione”, il capolavoro considerato il padre del Neorealismo cinematografico, girato da Luchino Visconti nell’estate del 1943. Ecco, richiama alla mente “Ossessione”, questo “Guasco – Una storia popolare”, romanzo d’esordio dell’anconetano Stefano Puliti (Affinità Elettive, 2016), agente di commercio appassionato di letteratura. E soprattutto appassionatamente capace di concretizzare, con ottime doti di scrittura, agile e rievocativa, il “suo sogno nel cassetto, un atto d’amore per la memoria sopita della mia città, in particolare per il quartiere porto, con la speranza che questo atto ci aiuti a non dimenticarlo, quel quartiere che di Ancona costituiva il cuore pulsante, e spinga le istituzioni a valorizzarne quel poco, preziosissimo, che ne resta”. Così l’autore, nel corso della presentazione del volume il 27 novembre scorso alla Mole Vanvitelliana.
Le pagine scorrono, come un intrigante diario, dal 19 ottobre al 1 novembre 1943. E, un po’ come in “Ossessione”, scorrono le ambientazioni nelle stradine di cui restano solo fotografie d’epoca: via del Calvario, dell’Arsenale, del Pozzetto, del Padrone, della Cisterna (per citarne alcune). Lo stesso vale per piazza San Primiano, con la sua omonima chiesa a due passi dalle banchine e dal cantiere navale. O, soprattutto, per via Saffi (o via del Porto) – di cui sopravvive appena un piccolo tratto -, nei primi decenni del ‘900 e durante i primi anni del secondo conflitto trafficatissima, coi palazzi nobiliari che si alternavano alle botteghe, alle case borghesi dei commercianti e a quelle umilissime dei pescatori. In via Saffi e nel reticolo di viuzze di cui costituiva l’asse popolare e popolatissimo, dove l’odore della salsedine si mixava con quello delle mercanzie, del vino delle cantine e dell’incenso proveniente dai luoghi di culto, si dipanano vicende talmente veridiche da non sembrare frutto di fantasia. I cui protagonisti – fortemente caratterizzati, vicini nei luoghi di residenza ma lontani come classi sociali d’appartenenza – dialogano, agiscono e interagiscono sullo sfondo di una precisa documentazione storica. L‘onesto e scrupoloso tenente dei carabinieri Fontana, l’arrogante centurione della milizia fascista Carletti, il piccolo ladruncolo Gatto che vive di espedienti, il giovane operaio disoccupato Fabrizio e la bellissima Elisa innamorati, il piccolo commerciante d’arte e libri Silvano (per citare i principali) vivono giorno dopo giorno – come i 6.000 abitanti del Guasco (Ancona allora ne contava circa 60.000) – un’esistenza precaria, in bilico, come “sospesa”: da un lato fra il dramma di una guerra che aveva già manifestato il suo aspetto tracico col primo bombardamento del 16 ottobre 1943 (colpiti il quartiere di Montirozzo, via Marconi, il Cavalcavia, via de Pinedo (oggi via Giordano Bruno), la Stazione, la Palombella; 200 morti e 300 feriti), che obbligava a fare i conti col coprifuoco, le sirene degli allarmi aerei, le tessere annonarie, l’occupazione dei tedeschi, i crescenti odi della guerra civile; dall’altro una sorta di fatalismo misto al coraggio, all’ingenua speranza che proprio quella maledetta guerra sarebbe presto finita, alla volontà di credere con fiducia nel futuro prossimo, perché Ancona sarebbe stata chissà perché risparmiata da ulteriori lutti.
Questa storia popolare del Guasco si chiude il 1° novembre 1943, giorno festivo di Ognissanti, quando due micidiali e cieche incursioni dal cielo il Guasco lo sbriciolano, e uccidono 1500 tra uomini, donne e bambini, quasi la metà dei quali accalcati nel rifugio delle carceri di Santa Palazia. Proprio in quel ricovero, rivelatosi una trappola infernale, Fabrizio ed Elisa, separati da rocambolesche circostanze, finalmente si ritrovano. “Andrà tutto bene, Elisa, sono qui con te”, sono le parole di Fabrizio con cui si conclude il romanzo. La città sarà privata per sempre della sua anima storico-urbanistica. Ma per il resto andrà bene, risorgerà con forza e con amore.
(tratto da Urlo – mensile di resistenza giovanile)