“Ho visto un Fo”, pagine originali e visionarie

SAGGIO DELLA GIORNALISTA G.MANIN

copertina-ho-un-visto-un-foMILANO – di Alessandra Milzi – C’è chi lo incontra in modo onirico, Dario Fo. Come Giuseppina Manin, giornalista del Corriere della Sera. Un’esperienza emozionante, tanto da spingerla a scrivere il 9 novembre scorso questo libro dedicato al Premio Nobel per la Letteratura, ad un anno dalla sua morte. Un libro sui generis “Ho visto un Fo”, originale, pieno d’inventiva, proprio come il suo protagonista, al quale sarebbe senz’altro piaciuto. “È il primo libro che ho scritto senza Dario, – ha detto la Manin nel presentarlo nel corso di un incontro svoltosi al Teatro Grassi di Milano –  eppure in qualche modo, da lontano, lui ha comunque partecipato guidandomi, incoraggiandomi. Tutto è iniziato con una visione, in sogno”. Ed è così infatti che ha inizio il libro, con il racconto del sogno, che sul palco del Grassi, Sara Bellodi – attrice, pittrice e assistente scenografa dello spettacolo teatrale “Una Callas dimenticata” – ci ha letto sapientemente: “Chi sei? Sono Manin. Ma non sei morta? No, Dario, a dire il vero sei tu che sei morto! No no, ti sbagli. Morti siete voi. Io sono vivo. Vivissimo!”.  E poi l’opera continua con un prezioso collage di ricordi, aneddoti, testimonianze sulla intensa vita di Dario Fo e di quella della sua amatissima moglie Franca Rame, in parte raccontateci con ironia – sempre al Grassi – dal loro figlio Jacopo. All’incontro sono intervenuti anche Sergio Escobar, direttore del Piccolo Teatro di Milano, Luigi Brioschi, presidente della “Guanda” che ha editato il libro, e l’attore Mario Pirovano, da sempre legato alla compagnia teatrale Fo Rame. Pirovano, nell’interpretare spezzoni degli indimenticabili monologhi di Dario Fo, ci ha davvero emozionati, illudendoci a tratti, fra le luci soffuse, che potesse esserci davvero Fo sul palco. 

“Ho visto un Fo”: un titolo che è anche un richiamo allo sberleffo “Ho visto un re”, forse la più famosa canzone di Dario Fo, tratta dallo spettacolo “Ci ragiono e canto” del 1969, che è pure il titolo di una canzone interpretata anche dal suo carissimo amico Enzo Jannacci e che costituisce un’ironica presa di posizione nei confronti dei potenti i cui interessi vanno sempre a scapito della gente comune. Ironia della sorte, è proprio davanti ad un re che il 9 ottobre 1997 Dario Fo si deve presentare, in frac, quell’abito che non gli piaceva proprio, (“Avrei gran voglia di buttare alle ortiche “sta marsina da pinguino e pure el cravattin”) per ricevere il Nobel. “Cari accademici, l’avete fatta grossa – scrive la Manin ricordando le parole di Dario Fo – siete su una brutta strada: qui avete premiato un ebreo (Isaac Singer) due neri (Wole Soyinka e Tony Morrison) e adesso un giullare… Dove finiremo?” 

(articolo tratto da Urlo – mensile di resistenza giovanile)

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