I disabili mentali, i Giudici e la comunità: il nodo delle misure di sicurezza

CONCETTO DI IMPUTABILITA’ E VIZIO DI MENTE PER MALATI PSICHIATRICI AUTORI DI REATO (ULTIMA PARTE)

di Avv. Marusca Rossetti

stop_opg_jpgCon questo quarto e ultimo appuntamento si conclude il ciclo di articoli dedicato al tema degli ospedali psichiatrici giudiziari in Italia.
La storia dei manicomi giudiziari e dei loro ospiti, i “matti da legare”, è una storia travagliata e disseminata di ipocrisia e disinteresse da parte non solo delle istituzioni, ma dell’intero tessuto sociale. Sono la vergogna di una società, come la nostra, che si vanta di definirsi civile, dove l’uso di questo termine dovrebbe significare, innanzitutto, rispetto per la dignità dell’uomo, garanzia dei diritti della persona, attenzione per le problematiche di chi, meno fortunato, nel corso della sua esistenza entra in contatto con delle realtà che non è in grado di gestire.
Abbiamo trattato nelle ultime settimane le problematiche giuridiche e medico-legali collegate al concetto di non imputabilità per vizio di mente e di pericolosità sociale, soffermandoci ad analizzare quelle pronunce della Corte Costituzionale che hanno permesso di smantellare un sistema di presunzioni atto principalmente solo a stigmatizzare e sulla base delle quali si è iniziato a parlare di auspicabile e possibile superamento della pena manicomiale.
Ma dalle pronunce del 2003 e del 2004 ad oggi la situazione è rimasta pressoché invariata. nonostante sia oramai chiaro che la categoria della non imputabilità non possa essere cancellata e che il cuore della questione consiste “nel trattamento da destinare a individui che rientrano a pieno titolo nella categoria dei malati e, in quanto tali, abbisognano di cure”.

Il DPR 1°aprile del 2008, che ha previsto il trasferimento della sanità penitenziaria nell’ambito del Servizio sanitario nazionale, all’art. 5 aveva contemplato analogo trasferimento alle ASL delle funzioni sanitarie afferenti agli Ospedali psichiatrici giudiziari ubicati nel territorio regionale: per tale via le regioni avrebbero dovuto attuare gli interventi necessari in conformità ai principi definiti dalle linee guida contenute nell’Allegato C) dello stesso decreto i quali prevedevano esplicitamente che il trattamento sanitario degli internati potesse avvenire, oltre che all’interno degli OPG, anche presso strutture di accoglienza regionali gestite dai Dipartimenti di salute mentale sul territorio. L’Allegato C), relativamente agli OPG, prevedeva un programma di azione articolato in tre fasi temporali ben delineate.
In una prima fase, una volta avvenuto il passaggio di competenze, la responsabilità della gestione sanitaria degli OPG sarebbe stata assunta interamente dalle Regioni in cui gli stessi avessero avuto sede. Contestualmente i Dipartimenti di salute mentale nel cui territorio di competenza insistevano gli OPG, in collaborazione con l’équipe responsabile della cura e del trattamento dei ricoverati dell’istituto, avrebbero dovuto provvedere alla stesura di un programma operativo che prevedesse: la dimissione degli internati che avessero concluso la misura della sicurezza, con soluzioni concordate con le Regioni interessate, che dovevano prevedere forme di inclusione sociale adeguata, coinvolgendo gli Enti locali di provenienza, le Aziende sanitarie interessate e i servizi sociali e sanitari delle realtà di origine o di destinazione dei ricoverati da dimettere; il riportare nelle carceri di provenienza i ricoverati in OPG per disturbi psichici sopravvenuti durante l’esecuzione della pena e inoltre si sarebbe trattato di assicurare che le osservazioni per l’accertamento delle infermità psichiche fossero espletate negli istituti ordinari.

A distanza di un anno avrebbe dovuto prendere il via una seconda fase la quale sarebbe stata costituita da una prima distribuzione degli attuali internati in modo che ogni OPG, senza modificarne in modo sostanziale la capienza e la consistenza, si sarebbe configurato come la sede per i ricoveri di internati delle regioni limitrofe o comunque viciniori, in modo da stabilire immediatamente rapporti di collaborazione preliminari per ulteriori fasi di avvicinamento degli internati alle realtà geografiche di provenienza. Tra la regione titolare della competenza gestionale dell’OPG e le regioni limitrofe e/o viciniore avrebbero dovuto prendere il via idonei programmi di cura, di riabilitazione e di recupero sociale di ciascuno degli internati prevedendo rapporti tra i diversi servizi sociali e sanitari utili e necessari per realizzare il programma di ulteriore decentramento nelle regioni di provenienza.

La terza fase, a distanza di due anni, prevedeva la restituzione ad ogni regione italiana della quota di internati in OPG di provenienza dai propri territori e l’assunzione della responsabilità per la presa in carico, attraverso programmi terapeutici e riabilitativi da attuarsi all’interno della struttura, anche in preparazione alla dimissione e all’inserimento nel contesto sociale di appartenenza. Le soluzioni possibili, compatibilmente con le risorse finanziarie, dovevano andare dalle strutture OPG con livelli diversificati di vigilanza, a strutture di accoglienza e all’affido ai servizi psichiatrici e sociali territoriali, sempre e comunque sotto la responsabilità assistenziale del Dipartimento di salute mentale della azienda sanitaria dove la struttura o il servizio è ubicato. Tuttavia, pur bello e dettagliato sulla carta, il programma contemplato nel DPR del 2008 è rimasto sostanzialmente inattuato mentre, nell’estate del 2010, una serie di visite compiute da parte della Commissione parlamentare sull’efficacia e l’efficienza del servizio sanitario nazionale (cd. Commissione Marino), costituita presso il Senato, ha portato alla luce la gravità delle condizioni di vita e di cura all’interno degli OPG, puntualmente denunciata nella Relazione della Commissione approvata il 20 luglio 2011.

Poi è stata la volta dell’articolo 3-ter del decreto legge 22 dicembre 2011, n. 211, convertito, con modificazioni, in legge 17 febbraio 2012, n. 9, recante disposizioni per il definitivo superamento degli ospedali psichiatrici giudiziari, il quale aveva previsto la chiusura degli ospedali psichiatrici giudiziari entro il 31 marzo 2013. Ma ritardi sia nell’attuazione dei programmi regionali di accoglienza degli internati che della disciplina attuativa da parte dello Stato hanno portato il Governo, con la legge 57 del 2013, a differire della chiusura degli OPG al 1° aprile 2014, con la L. 57/2013. E al 1°aprile 2014 ci siamo oramai arrivati e ancora una volta, immancabilmente, prevale lo stallo!

 E’del 27 marzo 2014, ovvero di appena ieri, il convegno tenutosi a Roma presso il Palazzo Giustiniani, sede del Senato, sugli ‘Impegni per il superamento degli Ospedali Psichiatrici Giudiziari’. Le Regioni, responsabili dell’assistenza sanitaria all’interno delle strutture, non sono ancora pronte nonostante le proroghe già concesse e gli impegni assunti. Così è stato necessario negoziare l’ennesimo un nuovo rinvio.

E’ una situazione paradossale che provoca una grande sofferenza ai mille internati delle sei strutture presenti sul territorio nazionale, definite dallo stesso Presidente della Repubblica Napolitano indegne per un paese civile” ha dichiarato Stefano Cecconi, responsabile delle politiche della salute della Cgil nazionale, tra i promotori con la Fp Cgil del comitato stopopg.

Per questo abbiamo rilanciato il nostro impegno e ottenuto un’interlocuzione con il parlamento. Non è accettabile una proroga senza precisi vincoli: Per prima cosa occorre creare una cabina di regia con le istituzioni, un’autorità in grado di seguire il percorso di superamento degli Opg impedendo nuove proroghe. E’ necessario, come previsto dalle norme e dalle sentenze della Corte Costituzionale, organizzare misure alternative all’internamento e destinare, da subito, almeno metà degli internati a comunità, residenze, strutture protette che garantiscano loro le cure necessarie e che permettano il recupero. Per questo la legge deve “imporre” a tutte le regioni (Asl e Dipartimenti di Salute Mentale) di presentare i progetti terapeutico riabilitativi individuali, per organizzare le dimissioni degli attuali internati e prevenire futuri internamenti. Progetti che permettano alla magistratura di optare per misure alternative. Ci sono le risorse per questa operazione e portarla a termine vuol dire potenziare i servizi di salute mentale nel territorio per tutti i cittadini, non solo per gli internati”.

Si tenga infatti presente che con la legge 9/2012 fu autorizzata la spesa di 38 milioni di euro nel 2012 e 55 milioni di euro a decorrere dall’anno 2013 per applicare la legge, in particolare per poter “assumere personale qualificato da dedicare anche ai Percorsi Terapeutico Riabilitativi (PTRI) finalizzati al recupero e reinserimento sociale dei pazienti internati…”. Non solo: il co. 6 dell’art. 3-ter ha previsto lo stanziamento anche di 180 milioni in conto capitale “per la riconversione e la realizzazione delle strutture” (120 milioni di euro nel 2012 e 60 milioni nel 2013). Dunque finanziamenti abbondanti ci sono stati… Portare a compimento una soluzione come quella auspicata significherebbe soprattutto restituire al personale sanitario funzioni di cura e non di custodia, che si avrebbero qualora le Regioni insistessero nel costruire al posto degli Opg le REMS(Residenze per l’esecuzione delle misure di sicurezza), i cosiddetti “mini Opg” regionali. Le Rems, invece, devono diventare residuali e comunque la misura di sicurezza deve avere un termine certo, oggi non è così e lo provano “gli ergastoli bianchi”. Tuttavia, così come ricorda lo stesso Cecconi, per chiudere definitivamente la stagione dei manicomi è indispensabile una modifica della legge penale in tema di misure di sicurezza. “Senza un intervento sostanziale sul Codice Rocco, che ha dato vita ai manicomi giudiziari, resta aperto il rubinetto che li alimenta. Chi commette un reato deve essere giudicato, scontare una pena se colpevole, e se ha bisogno di cure essere assegnato ad un “luogo” adatto, sapendo bene che né carcere né manicomio sono luoghi di cura”.
Ma nel momento in cui scrivo potrebbe essere già in fase di elaborazione un decreto legge che dovrebbe addirittura rinviare fino al 2017 la chiusura di questi luoghi definiti dal Presidente della Repubblica un orrore per un paese appena civile, allungando indefinitamente un’agonia che dura oramai da tempi immemorabili.

 

 

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