di avv. Tommaso Rossi (Studio Legale Rossi-Papa-Copparoni)
Ancora una voce internazionale autorevole si scaglia contro il glifosato, e i rischi sulla salute dell’uomo che deriva dal suo uso in agricoltura. La rivista BMJ Journals ha recentemente pubblica un articolo (Pesticides and public health: an analysis of the regulatory approach to assessing the carcinogenicity of glyphosate in the European Union) che mette in discussione e critica l’approccio scientifico impiegato in Europa per classificare la pericolosità del glifosato per la salute pubblica. Gli autori dell’articolo infatti hanno analizzato e criticato il metodo con cui l’Autorità europea per la sicurezza alimentare (EFSA) e l’Agenzia europea per le sostanze chimiche (ECHA) hanno analizzato i dati su questo pesticida molto usato in agricoltura da sempre, in Europa, metodo che parte dalle medesime linee guida per la valutazione del rischio previste dal Regolamento europeo 1272/2008.
Il comitato per la valutazione dei rischi dell’ECHA aveva dichiarato circa un anno fa il glifosato non cancerogeno, confermando le conclusioni a cui era giunta l’Efsa a novembre 2015 e contraddicendo invece la posizione dell’Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro (IARC), che aveva classificato il glifosato come “probabile cancerogeno”.
Il fatto che secondo l’ECHA non vi sarebbero prove scientifiche attualmente in grado di soddisfare i criteri per classificare il glifosato come cancerogeno, mutageno o tossico per la riproduzione non equivale a dire con certezza che lo stesso sia innocuo per la salute delle persone oltre che per l’ambiente. La tossicità della sostanza è fuori discussione, e in base al principio di precauzione a cui dovrebbe uniformarsi in materia ambientale e di salute l’Unione Europea, bisognerebbe auspicare misure maggiormente idonee a tutelare salute delle persone e ambiente indipendentemente dalla certezza scientifica della cancerogenicità di una sostanza.
Ma in ballo c’era l’autorizzazione all’utilizzo del glifosato per altri 15 anni: ovviamente, lo capite tutti, interessi economici enormi!
Ma che cos’è il glifosato? E’ un diserbante non selettivo, il più usato al mondo in agricoltura e orticoltura per combattere le erbe infestanti che competono soprattutto con colture Ogm ,come soia, mais e colza, rese artificialmente resistenti al prodotto stesso. Destinato anche al giardinaggio e alla cura del verde pubblico. Prodotto dalla Monsanto, azienda multinazionale statunitense, con il nome commerciale di Roundup, presentato per la prima volta nel 1974, come una rivoluzione per la sua capacità di bloccare i nutrienti minerali essenziali per la vita di alcune piante, rapidamente, in maniera biodegradabile e non tossica.La Monsanto oggi non detiene più il brevetto del glifosato, essendo scaduto, ma l’erbicida Roundup è tuttora fondamentale per la multinazionale perché venduto insieme ai prodotti di punta: soia, mais e cotone Roundup Ready, tutti Ogm resi immuni all’azione del diserbante che può essere tranquillamente utilizzato per eliminare le piante infestanti senza danneggiare le colture.
In questi ultimi anni si è iniziato a comprendere come il glifosato non sia da considerare così innocuo come definito alla sua presentazione : le sue tracce rimangono nell’ecosistema, riducendo la biodiversità, inquinando le falde acquifere ed entrando nella nostra catena alimentare, nei cibi di origine animale, ma soprattutto nei vegetali. Dalle verdure alla farine.
L’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), attraverso la sua emanazione l’Agenzia Internazionale sulla Ricerca sul Cancro (IARC) ha affermato all’inizio di quest’anno, rendiconto pubblicato sulla rivista Lancet Oncology, che il glifosato è genotossico e probabilmente cancerogeno per l’uomo classificandolo nel Gruppo 2A (probabili cancerogeni). La valutazione della pericolosità si basa sulla capacità di indurre tumore nell’uomo e in animali da laboratorio, oppure di provocare modificazioni genetiche in colture di cellule umane . Studi sugli agricoltori suggeriscono che l’utilizzo del pesticida favorisce la comparsa di Linfomi non-Hodgkin.
Come spesso accade, il mondo scientifico non è sempre unanime nelle valutazioni. Infatti l’EFSA ( European Food Safety Authority) dopo una rivalutazione dei dati pertinenti ha concluso che : è improbabile che il glifosato sia genotossico o che presenti minaccia di cancro per l’uomo. Non si propone di classificarlo come cancerogeno nel regolamenti UE in materia di classificazione, etichettatura e imballaggio delle sostanze chimiche.
Gli esperti dell’EFSA fanno presente che la loro valutazione riguarda solo il glifosato singolarmente considerato, mentre il dati dell’IARC riguadano sia il glifosato, sia i formulati a base di glifosato; pertanto è probabile che gli effetti osservati siano collegati alla presenza di altri componenti con azione sinergica.
Anche in Italia il glifosato è molto utilizzato, anche se da noi non si può per legge coltivare piante Ogm. Un rapporto dell’Ispra ( Istituto Superiore per la Ricerca Ambientale) del 2016 ha messo in evidenza il problema dei residui di diserbanti nelle acque , sia superficiali che sotterranee. Su 1469 punti di monitoraggio delle acque superficiali, il 17,2 % ha mostrato concentrazioni superiori ai limiti. Nelle acque sotterranee, su 2145 punti i superamenti sono stati il 6,3%. Il glifosato è la sostanza che più spesso supera i limiti.
Cosa prevedono i Paesi europei circa l’uso di pesticidi in agricoltura?
Il termine “pesticidi” è comunemente usato come sinonimo di prodotti fitosanitari. Il termine “pesticidi” è tuttavia termine più ampio che comprende anche prodotti come i biocidi, che non sono destinati sì all’uso su piante, ma servono a debellare organismi nocivi e portatori di malattie come insetti, ratti e topi, e non rientrano nell’ambito di competenza dell’EFSA.
I prodotti fitosanitari sono pesticidi che vengono utilizzati principalmente per mantenere in buona salute le colture e impedire loro di essere distrutte da malattie e infestazioni. Comprendono erbicidi, fungicidi, insetticidi, acaricidi, fitoregolatori e repellenti.
I prodotti fitosanitari contengono almeno una sostanza attiva. Tali sostanze possono essere sostanze chimiche oppure microrganismi, inclusi i virus, che permettono al prodotto di svolgere la sua azione. Una buona parte delle attività EFSA in ambito di valutazione del rischio nel settore dei prodotti fitosanitari è incentrata proprio su tali sostanze attive. L’EFSA fornisce consulenza scientifica indipendente ai gestori del rischio in base delle proprie valutazioni del rischio. La Commissione europea e gli Stati membri adottano decisioni di gestione del rischio su questioni normative, tra cui l’approvazione delle sostanze attive e l’impostazione dei limiti di legge per i residui di pesticidi nei prodotti alimentari e nei mangimi (livelli massimi di residui, o LMR).Prima che una sostanza attiva possa essere utilizzata nell’UE all’interno di un prodotto fitosanitario, deve essere approvata dalla Commissione europea. Prima che venga assunta una decisione ufficiale sulla loro approvazione, le sostanze attive sono oggetto di un approfondito processo di valutazione.
Regolamento quadro (CE) 1107/2009 disciplina la commercializzazione e l’utilizzo dei prodotti fitosanitari e dei loro residui negli alimenti. I prodotti fitosanitari non possono essere commercializzati o utilizzati se non prima autorizzati. Si usa un sistema a due livelli in cui l’EFSA valuta le sostanze attive contenute nei prodotti fitosanitari e gli Stati membri valutano e autorizzano i prodotti a livello nazionale. I prodotti fitosanitari sono disciplinati essenzialmente dal Regolamento quadro (CE) 1107/2009.
Tutte le questioni relative ai limiti di legge dei residui di pesticidi nei cibi sono trattati nel Regolamento (CE) 396/2005. Tale regolamento disciplina anche i controlli ufficiali sui residui di pesticidi negli alimenti di origine vegetale e animale, che possono residuare dall’impiego dei pesticidi per proteggere i vegetali.
- Diminuire rapidamente l’uso dei componenti più nocivi e che destano maggiore preoccupazione per la salute e l’ambiente;
- approfondire e stimolare la ricerca sull’impatto dei prodotti fitosanitari sulla popolazione;
- studiare alternative» per il mondo agricolo;
- rinforzare l’Ecophyto 2, un piano d’azione specifico designato dalla Chambre d’Agricolture France atto a ridurre l’uso di fitofarmaci nei campi.
E in Italia? In Italia è il decreto legislativo 150/2012 a disciplinare e normare l’uso di prodotti fitosanitari in agricolutra. Questo decreto prevede che chiunque debba acquistare e/o utilizzare prodotti fitosanitari e loro coadiuvanti deve essere munito di apposito certificato di abilitazione, ossia il cosiddetto patentino. Il concetto di “utilizzo” comprende: acquisto, trasporto, conservazione, manipolazione del prodotto concentrato, irrorazione del prodotto diluito, smaltimento di residui di prodotto (concentrato o diluito), smaltimento di contenitori vuoti.
In particolare l’art. 24 del decreto legislativo 150/2012 prevede testualmente sanzioni: “Salvo che il fatto che il caso non costituisca reato, chiunque acquista, utilizza, vende o detiene fitofarmaci, presti consulenze sui prodotti fitosanitari e dei coadiuvanti senza essere in possesso del certificato di abilitazione di cui agli articoli 8 e 9, è punito con la sanzione amministrativa pecuniaria del pagamento di una somma da 5.000 euro e 20.000 euro”.
Chi paga il prezzo più alto per la salute sono i bambini. Lo afferma l’Unicef in un interessante rapporto intitolato “Understanding the impacts of pesticides on children” pubblicato nel gennaio 2018 sull’impatto dei pesticidi sulla salute dei bambini nel mondo. Secondo quanto riportato nel rapporto, va premesso che l’età dello sviluppo è la più a rischio in quanto esistono specifiche “finestre di vulnerabilità”, cioè passaggi critici durante i quali «l’esposizione a sostanze tossiche può causare lesioni devastanti».
Nei primi dodici anni di vita, per fare un esempio, «è probabile che la stessa quantità respirata di una sostanza chimica sia dieci volte più tossica per un bambino che per un adulto».
Le forme di esposizione agli agenti chimici dei bambini sono moltissime e a volte inimmaginabili. Il bambino inizia ad essere vulnerabile ancor prima della nascita (“born pre-polluted”): sostanze tossiche e interferenti ormonali possono accumularsi nel sangue delle donne incinte, così come nella placenta e nel latte materno. Tracce di Ddt, che possono rimanere nel suolo per centinaia di anni, sono state ritrovate nei fluidi amniotici, nella placenta, nel cordone ombelicale e nei feti.
Anche il consumo di frutta e verdura contaminata, può avere un gravissimo impatto per la salute dei più piccini, spesso in spregio alle normative che impongono un limite massimo ai residui. Nel sud- est asiatico il problema è gravissimo: in Thailandia, per esempio, secondo quanto riscontrato dal Pesticide Action Network nel 2016, tracce di pesticidi pericolosi banditi dal commercio sono state ritrovate in percentuali enormi, dal 35% al 100% dei campioni analizzati, nei prodotti venduti dai locali mercati e negozi.
La questione si intreccia poi con quella, altrettanto drammatica, del lavoro minorile, diffuso ovviamente soprattutto nei Paesi meno sviluppati. Si stima che l’agricoltura assorba da sola il 71% del lavoro minorile, cioè che circa 108 milioni di bambini e bambine spesso esposti anche a gravissimi rischi per la salute.
Un’indagine sulla filiera del cacao pubblicata nel 2002, ha concluso che 284mila bambini lavorano nella trasformazione del cioccolato e 153mila di loro hanno irrorato pesticidi senza nessuna protezione.
Nel 2010, il Pesticide Action Network ha dichiarato che le vittime di avvelenamento acuto da pesticidi variano tra un minimo di 1 milione e un massimo di 41 milioni di persone ogni anno.
A rischiare di più sono i lavoratori e i consumatori dei Paesi più poveri e meno sviluppati, dove anche la sensibilità ambientale e riguardo queste tematiche è assai meno sviluppata che altrove, di pari passo con il minor livello culturale. Sebbene in queste aree vengano messi in commercio solo il 25% dei pesticidi diffusi a livello mondiale, è qui che si concentrano il 99% dei casi di morte dovuta al loro utilizzo.