FOCUS: I privilegi processuali dei Parlamentari

1 PARTE: IMMUNITÀ PARLAMENTARE E INTERCETTAZIONI TELEFONICHE

di Avv. Marusca Rossetti

UnknownIl 4 dicembre l’Aula del Senato ha opposto il proprio diniego alla richiesta di autorizzazione all’uso delle intercettazioni del senatore Antonio Azzollini, presidente della commissione Bilancio, coinvolto nell’inchiesta sugli appalti per il porto di Molfetta, richiesta trasmessa a palazzo Madama dalla procura di Trani. 160 i sì e 36 i no.

Azzollini è indagato per la presunta maxifrode da 150 milioni di euro legata alla costruzione del nuovo porto di Molfetta (Bari), città in cui lo stesso è stato per molti anni sindaco.

Nell’ottobre 2013 gli è stato notificato avviso di garanzia per associazione a delinquere, abuso d’ufficio, reati ambientali, truffa e falso. All’epoca disse immediatamente che avrebbe chiarito tutto ai magistrati ma, il mese successivo, convocato in procura per l’interrogatorio, si avvalse della facoltà di non rispondere. Secondo la procura di Trani, il Comune di Molfetta, guidato da Azzollini, sapeva dal 2005 che sui fondali del nuovo porto c’erano decine di migliaia di ordigni bellici inesplosi. Nonostante questo nel 2007 appaltò i lavori per la costruzione della diga foranea e del nuovo porto commerciale, opere a tutt’oggi non realizzate. L’ intervento, per il quale inizialmente era stato previsto un costo di 72 milioni di euro, nel tempo è lievitato a 147 milioni a causa della necessità di bonificare l’area da proiettili, bombe e fusti contenenti cianuro, iprite, acido clorosolfonico, fosforo e fosgene. Ma gran parte dei finanziamenti pubblici furono poi distratti dal Comune che li ha utilizzati – secondo i pm – per rimettere in forma un bilancio cittadino che altrimenti non avrebbe rispettato il patto di stabilità.

L’immunità parlamentare assolve a un compito di estrema importanza in quanto protegge i parlamentari dagli abusi che l’esecutivo potrebbe esercitare per mezzo dell’autorità giudiziaria e garantisce l’indipendenza del potere legislativo, trovando il suo fondamento, all’interno del nostro ordinamento, nell’art. 68 della Costituzione il quale, all’origine, prevedeva una tutela molto ampia: “I membri del Parlamento non possono essere perseguiti per le opinioni espresse e per i voti dati nell’esercizio delle loro funzioni. Senza autorizzazione della Camera alla quale appartiene, nessun membro del Parlamento può essere sottoposto a procedimento penale; né può essere arrestato, o altrimenti privato della libertà personale, o sottoposto a perquisizione personale o domiciliare, salvo che sia colto nell’atto di commettere un delitto per il quale è obbligatorio il mandato o l’ordine di cattura. Eguale autorizzazione è richiesta per trarre in arresto o mantenere in detenzione un membro del Parlamento in esecuzione di una sentenza anche irrevocabile”.

Nel 1993, immediatamente dopo la chiusura delle indagini relative ai fatti di Mani Pulite, i ripetuti dinieghi opposti dalle Camere alla magistratura indussero nell’opinione pubblica il sospetto che le decisioni istituzionali fossero suggerite da spirito corporativo, volto alla difesa dei propri adepti. La goccia che fece traboccare il vaso fu il diniego della Camera dei deputati di concedere l’autorizzazione a procedere nei confronti dell’allora deputato Bettino Craxi, coinvolto nelle inchieste sui finanziamenti illeciti ai partiti. Le manifestazioni di dissenso che spontaneamente riempirono le piazze, indussero la parte politica a modificare l’art. 68 Cost. al fine di poter riguadagnare un minimo di credibilità. Così, con legge costituzionale 29 ottobre 1993 n. 3, il testo originario dell’art. 68 venne abrogato e sostituito con il testo attualmente in vigore: “I membri del Parlamento non possono essere chiamati a rispondere delle opinioni espresse e dei voti dati nell’esercizio delle loro funzioni. Senza autorizzazione della Camera alla quale appartiene, nessun membro del Parlamento può essere sottoposto a perquisizione personale o domiciliare, né può essere arrestato o altrimenti privato della libertà personale, o mantenuto in detenzione, salvo che in esecuzione di una sentenza irrevocabile di condanna, ovvero se sia colto nell’atto di commettere un delitto per il quale è previsto l’arresto obbligatorio in flagranza. Analoga autorizzazione è richiesta per sottoporre i membri del Parlamento a intercettazioni, in qualsiasi forma, di conversazioni o comunicazioni e a sequestro di corrispondenza”.

Nel frattempo scese in campo anche Silvio Berlusconi, alle elezioni del 27 marzo 1994 e nel 2003, nella duplice veste di presidente del Consiglio e di imputato nel processo Sme, promosse per mezzo del suo esecutivo una proposta di legge che per due anni era rimasto su una scrivania della Commissione Affari Costituzionali. Il 30 maggio 2001 l’on. Boato (gruppo misto, Verdi-Ulivo), constatato il fatto che alla riforma dell’art. 68 non erano seguite le norme di attuazione, e che durante la legislatura precedente era già in corso di approvazione un progetto di legge in materia che non aveva superato il vaglio del Senato, presentava alle nuove Camere il testo di legge così come era stato approvato dalla Camera dei Deputati nella XIII legislatura.

Il disegno di legge, approvato dalla Camera il 9 aprile 2003, passa al Senato che lo approva il 5 giugno con 152 voti favorevoli e 107 contrari. Il testo modificato dal Senato passa nuovamente alla Camera, che lo approva definitivamente il 18 giugno 2003 con maggioranza schiacciante: 302 favorevoli, 17 contrari, 13 astenuti. L’articolo 1 della legge 20 giugno 2003 n. 140, meglio noto come Lodo Schifani, è però ben diverso dal testo originale. Se in primis si stabiliva soltanto la preminenza giuridica delle norme di cui all’art. 68 rispetto alla normativa ordinaria in materia di autorizzazioni a procedere delineata dall’art. 343 e seguenti del codice di procedura penale, il testo licenziato dalle camere stabilisce che “non possono essere sottoposti a processi penali, per qualsiasi reato anche riguardante fatti antecedenti l’assunzione della carica o della funzione, fino alla cessazione delle medesime: il presidente della Repubblica, salvo quanto previsto dall’articolo 90 della Costituzione – che riconosce la responsabilità del presidente della Repubblica in caso di alto tradimento o per attentato alla Costituzione – il presidente del Senato della Repubblica, il presidente della Camera dei deputati, il presidente del Consiglio dei ministri, salvo quanto previsto dall’art. 96 della Costituzione – che sottopone i membri dell’esecutivo, anche se cessati dalla carica, alla giurisdizione ordinaria per i reati commessi nell’esercizio delle loro funzioni, previa autorizzazione del Senato della Repubblica o della Camera dei deputati, secondo le norme stabilite con legge costituzionale – il presidente della Corte Costituzionale. Dalla data di entrata in vigore della presente legge sono sospesi, nei confronti dei soggetti di cui al comma 1 e salvo quanto previsto dagli articoli 90 e 96 della Costituzione, i processi penali in corso in ogni fase, stato e grado, per qualsiasi reato anche riguardante fatti antecedenti l’assunzione della carica o della funzione, fino alla cessazione delle medesime. Nelle ipotesi di cui ai commi precedenti si applicano le disposizioni dell’articolo 159 del codice penale – che regola l’istituto della sospensione del corso della prescrizione”.

Un vero e proprio colpo di Stato, che fortunatamente non supera il vaglio della Corte Costituzionale.

Il 13 gennaio 2004, chiamata a esprimersi su richiesta del tribunale di Milano, la suprema Corte si pronuncia per l’incostituzionalità della norma poiché, si legge nella sentenza 24/2004: “Viola gli articoli 3 (uguaglianza dei cittadini) e 24 (diritto di accesso alla giustizia) della Costituzione”.
Secondo la Corte “negli artt. 68, 90 e 96 Cost. l’immunità ha il fondamento e il limite nell’esercizio della funzione. Per effetto della censurata normativa il presidente del Consiglio dei ministri già sottoposto, previa autorizzazione parlamentare, alla giurisdizione ordinaria per i reati funzionali, ne è viceversa sottratto ope legis per quelli comuni. Il che è contraddittorio, perché in base all’art. 96 Cost. l’autorizzazione a procedere può essere negata solo nei casi ivi previsti. Poiché l’unico soggetto sottoposto a processo, per ‘fatti antecedenti l’assunzione della carica o della funzione’, era l’onorevole Berlusconi, si è in presenza di una legge personale di favore, definita da autorevole dottrina come lesiva dell’art. 3 Cost., in quanto volta a estendere, oltre i casi previsti dalla Costituzione, le ipotesi di improcedibilità soggettiva e le garanzie costituzionali impedienti la immediata attuazione della legge. Infatti, tali improcedibilità e garanzie privano di concreta efficacia la legge rispetto a determinati cittadini e creano diseguaglianze formali tra i medesimi”.

In seguito alla sentenza della Consulta, l’art. 1 della legge decade per manifesta incostituzionalità, tuttavia la sua breve vita permette a Silvio Berlusconi di sospendere il processo Sme. Il processo riprenderà, ma il suo iter dovrà ricominciare dall’inizio; si svolgerà inoltre davanti a un altro collegio del tribunale di Milano rispetto a quello che nel novembre 2003 aveva condannato i coimputati di Berlusconi, Cesare Previti e Renato Squillante. Pur mutilata del primo articolo, la legge 140/2003 è tuttora in vigore; in particolare l’art. 4 disciplina le intercettazioni “dirette” ossia quelle per eseguire le quali va richiesta apposita autorizzazione alla Camera di appartenenza del parlamentare indipendentemente dal fatto se quest’ultimo sia indagato o meno: ciò che qui rileva è che il membro del Parlamento sia «il destinatario dell’atto investigativo».

Mentre l’art. 6 stabilisce che “qualora, su istanza di una parte processuale, sentite le altre parti nei termini e nei modi di cui all’articolo 268, comma 6, del codice di procedura penale, ritenga necessario utilizzare le intercettazioni o i tabulati di cui al comma 1, il giudice per le indagini preliminari decide con ordinanza e richiede, entro i dieci giorni successivi, l’autorizzazione della Camera alla quale il membro del Parlamento appartiene o apparteneva al momento in cui le conversazioni o le comunicazioni sono state intercettate”.

Quindi l’art. 6 «attiene ai casi in cui le comunicazioni dell’esponente politico vengano intercettate fortuitamente»: si tratta, dunque, di intercettazioni “indirette”, ove ciò che va autorizzato non è l’esecuzione dell’atto, che già è stato compiuto, bensì «l’utilizzazione processuale dei suoi risultati». Dunque questa disposizione fa riferimento ad intercettazioni effettuate «nel corso di procedimenti riguardanti terzi»: e se, come nel giudizio principale, il procedimento involge anche il parlamentare intercettato? Si può comunque applicare l’art. 6 censurato?

Nel caso del senatore Azzollini, mentre è stato autorizzato l’uso di intercettazioni casuali inerenti comunicazioni avvenute tra lo stesso e un altro soggetto, destinatario quest’ultimo dell’attività di intercettazione; il diniego è sopraggiunto per l’uso di tre tentativi di chiamata falliti da parte di utenza mobile intestata al Senatore verso il numero del sottoposto a intercettazione, in quanto la loro acquisizione, sebbene finalizzata a riscontrare le eventuali conversazioni telefoniche fra il soggetto sottoposto a intercettazione e l’Azzollini, potrebbe ragionevolmente essere interpretata come finalizzata a riscontrare a posteriori il contenuto delle captazioni occasionali circa i contatti telefonici del Senatore con il funzionario della regione Puglia e dunque era necessaria l’autorizzazione preventiva della Camera.

 FINE PRIMA PARTE: La seconda sarà pubblicata domenica prossima su F&D Magazine

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