di Doganalista Barbara Satulli
https://www.fattodiritto.it/i-quattro-errori-da-non-fare-sullorigine-delle-merci-parte-prima/
Origine preferenziale
L’origine preferenziale è prevista a seguito di disciplina pattizia tramite Accordi bilaterali (o multilaterali) dell’UE con Paesi terzi, ovvero per concessione unilaterale dell’UE al gruppo dei Paesi in Via di Sviluppo PVS nell’ambito del Sistema delle Preferenze Generalizzate SPG.
Queste regole di origine spesso sono più rigide rispetto a quelle dell’origine non preferenziale.
L’origine preferenziale di una merce consente alla stessa un trattamento fiscale daziario di favore, che vale a titolo reciproco tra l’UE e il Paese accordista (es: UE/Messico, UE/Repubblica di Corea, UE/Canada, UE/Norvegia, UE/Marocco, etc.) o a titolo unilaterale dall’UE verso i PVS.
I beni dovranno essere realizzati con utilizzo di materie prime o componenti originari del Paese beneficiario o dell’UE o essere sottoposti nel Paese beneficiario o nella UE a specifiche lavorazioni sufficienti a conferire l’origine preferenziale.
I singoli Protocolli di origine o le norme unionali che disciplinano l’origine preferenziale elencano le lavorazioni che i beni realizzati con materiali non originari devono subire al fine di ottenere lo status di prodotti originari. La lista delle lavorazioni necessarie a conferire l’origine è strutturata in base alla classificazione della merce.
Una nozione molto importante è che l’origine preferenziale non esiste come concetto assoluto, ma è sempre in riferimento al Paese terzo verso il quale è effettuata la vendita all’esportazione del prodotto.
Questo ci porta a chiarire un altro terribile (ma frequente) errore
3 “Il prodotto che esporto nel Paese A è di origine preferenziale UE, dunque è di origine preferenziale UE anche per il Paese B ”
FALSO
Sebbene la struttura generale dei singoli Accordi di origine sembri abbastanza uniforme, le regole di origine possono prevedere significative differenze tra Accordo e Accordo.
Dunque se la regola che conferisce l’origine preferenziale UE al prodotto con il Paese terzo A è rispettata, non è affatto detto che nell’Accordo sull’origine dell’UE con il Paese terzo B sia prevista identica regola per tale merce.
Ciascun Paese terzo ha negoziato ed accordato con l’UE la scelta della “sua” regola, per quella qualità di merce identificata nella classificazione tariffaria.
I prodotti di origine preferenziale possono beneficiare delle disposizioni dell’Accordo sull’Origine col Paese terzo o della concessione unilaterale UE verso il PVS, su presentazione di un certificato di circolazione, di un certificato di origine, di una dichiarazione su fattura fatta da un esportatore autorizzato o di dichiarazioni del fornitore extra UE. Tali documenti correderanno in tale eventualità la bolletta doganale che è l’atto con cui si materializza l’operazione doganale di importazione o di esportazione.
4 “Non ho controllato la specifica regola di origine (preferenziale o non preferenziale) del prodotto che importo in Italia /esporto dall’Italia, non è necessario”
FALSO
Va ricordato che i prodotti commerciati sono quelli che hanno come destinatario finale il consumatore, degno di particolare attenzione ai sensi del Codice del Consumo D. Lgs 6 settembre 2005, n. 206 (cfr. art. 6).
L’elusione della normativa sull’origine (preferenziale e non preferenziale) dà luogo, tra l’altro, a violazioni punite con sanzioni amministrative o anche penali.
In ambito nazionale l’art. 4 comma 49 e 49 bis, della L. 24 dicembre 2003, n. 350, prevedono quanto segue:
49. L’importazione e l’esportazione a fini di commercializzazione ovvero la commercializzazione o la commissione di atti diretti in modo non equivoco alla commercializzazione di prodotti recanti false o fallaci indicazioni di provenienza o di origine costituisce reato ed e’ punita ai sensi dell’articolo 517 del codice penale.
Costituisce falsa indicazione la stampigliatura “made in Italy” su prodotti e merci non originari dall’Italia ai sensi della normativa europea sull’origine; costituisce fallace indicazione, anche qualora sia indicata l’origine e la provenienza estera dei prodotti o delle merci, l’uso di segni, figure, o quant’altro possa indurre il consumatore a ritenere che il prodotto o la merce sia di origine italiana incluso l’uso fallace o fuorviante di marchi aziendali ai sensi della disciplina sulle pratiche commerciali ingannevoli , fatto salvo quanto previsto dal comma 49-bis, ovvero l’uso di marchi di aziende italiane su prodotti o merci non originari dell’Italia ai sensi della normativa europea sull’origine senza l’indicazione precisa, in caratteri evidenti, del loro Paese o del loro luogo di fabbricazione o di produzione, o altra indicazione sufficiente ad evitare qualsiasi errore sulla loro effettiva origine estera. Le fattispecie sono commesse sin dalla presentazione dei prodotti o delle merci in dogana per l’immissione in consumo o in libera pratica e sino alla vendita al dettaglio.(…)
49 bis. Costituisce fallace indicazione l’uso del marchio, da parte del titolare o del licenziatario, con modalità tali da indurre il consumatore a ritenere che il prodotto o la merce sia di origine italiana ai sensi della normativa europea sull’origine, senza che gli stessi siano accompagnati da indicazioni precise ed evidenti sull’origine o provenienza estera o comunque sufficienti ad evitare qualsiasi fraintendimento del consumatore sull’effettiva origine del prodotto, ovvero senza essere accompagnati da attestazione, resa da parte del titolare o del licenziatario del marchio, circa le informazioni che, a sua cura, verranno rese in fase di commercializzazione sulla effettiva origine estera del prodotto. (…) Il contravventore e’ punito con la sanzione amministrativa pecuniaria da euro 10.000 ad euro 250.000.
Mentre la sanzione amministrativa per la fallace indicazione è dunque definita dall’art. 4 comma 49 bis, la sanzione penale per la falsa indicazione rinvia all’ art. 517 Codice penale, che tratta la vendita di prodotti industriali con segni mendaci, e prevede “Chiunque pone in vendita o mette altrimenti in circolazione opere dell’ingegno o prodotti industriali, con nomi, marchi o segni distintivi nazionali o esteri, atti a indurre in inganno il compratore sull’origine, provenienza o qualità dell’opera o del prodotto, è punito, se il fatto non è preveduto come reato da altra disposizione di legge, con la reclusione fino a due anni e con la multa fino a ventimila euro.”
Non finisce qui. Qualora venga erroneamente indicata, ad esempio l’origine preferenziale di un prodotto in una cessione verso un Paese quando tale prodotto non risulta invece avere acquisito l’origine preferenziale UE secondo la regola dello specifico Accordo, tale dichiarazione espressa con un certificato di origine EUR1 o una dichiarazione su fattura, finisce a corredare documentalmente la bolletta doganale, facendone parte integrante.
La bolletta doganale ha natura di atto pubblico a formazione progressiva (dichiarazione di parte – presentazione ad opera dello spedizioniere doganale – attestazione del pubblico ufficiale ricevente). Il codice penale prevede, tra i delitti contro la fede pubblica, all’art. 483 il reato di falsità ideologica commessa dal privato in atto pubblico: “Chiunque attesta falsamente al pubblico ufficiale, in un atto pubblico, fatti dei quali l’atto è destinato a provare la verità, è punito con la reclusione fino a due anni. (…)”
Conclusioni
Per affacciarsi con la dovuta prudenza e godere dei benefici (senza farsi penalizzare) dai mercati internazionali, è imprescindibile conoscere a perfezione la tipologia di prodotto che la propria azienda produce o commercializza e che importa da e/o esporta verso Paesi extra UE.
Tra i parametri imprescindibili che devono essere oggetto di studio, vanno considerati in primis:
– l’esatta definizione merceologica, il codice di classificazione esplicitato con la voce doganale del prodotto ottenuto per effetto delle lavorazioni, e giocoforza
– la corretta origine che il bene ha maturato a seguito delle lavorazioni subite, eventualmente anche le specifiche “condizioni” recate dal singolo Accordo in ragione del Paese di destinazione finale.
Nessuna impresa merita di lanciarsi sul mercato internazionale facendo un disastroso salto nel vuoto.